L’epoca della transizione ecologica

ell’era del “capitalocene”, nella fase storica della pandemia da covid 19, sconvolgimenti climatici, virus potenzialmente mortali e devastazioni ambientali, fisiologiche al sistema dominante, sembrano oramai inarrestabili. Pare non ci sia scampo, che si debba imparare a convivere con tali fenomeni, a sopravvivere, e che anche riguardo le soluzioni a tali problemi non si abbia capacità alcuna di incidere, di scegliere, che si debba subire tutto passivamente “restando a casa”. La diffusione repentina di droni in tutti gli ambiti della vita (e della morte) sia che si tratti di consegnare i pacchi a casa, di mappare i terreni inquinati o di ammazzare il generale di uno stato nemico dall’altra parte del mondo, la diffusione di sementi geneticamente modificate, le vite vissute da sempre un numero maggiore di adolescenti in universi virtuali sono solo alcune disordinate testimonianze di come la società stia finendo nei tentacoli della tecnica e della tecnologia in funzione scientista, e di forme di controllo su vasta scala, il tutto giustificato, e normalizzato, dal fatto che saremmo tutti “colpevoli” (e nessuno per davvero) di quello che sta accadendo nel mondo, perché le responsabilità sono dell’uomo in quanto tale, e poiché “la natura si sta ribellando” dovremmo unire le forze dal momento che “siamo tutti sulla stessa barca”.

Questa narrazione è chiaramente deresponsabilizzante e va smontata pezzo dopo pezzo. Le responsabilità di quanto sta accadendo, come detto e scritto più volte, sono del 10% della popolazione mondiale più ricca responsabile del 53% delle emissioni climalteranti, come si evince dal rapporto di Oxfam del 2015 circa le disuguaglianze climatiche 1, emissioni che causano disastri “naturali” che secondo l’Internal Displacement Monitoring Centre (IDMC), a loro volta, nel 2020 hanno causato 30 milioni di migrazioni su 55 milioni totali, tre volte di più di quelle causate da guerre e conflitti. 2 Nei giorni in cui si scrive è stata pubblicata la bozza del rapporto del gruppo intergovernativo dell’Onu sui cambiamenti climatici (IPCC), nella quale viene asserito che “un riscaldamento globale al di sopra della soglia fissata dall’accordo di Parigi sul clima avrebbe “impatti irreversibili sui sistemi umani”: se si raggiungeranno i +2 gradi centigradi anziché +1,5, circa 420 milioni di persone in più sulla terra dovranno affrontare “ondate di caldo estremo” e fino a 80 milioni di persone in più nel mondo potrebbero essere minacciate dalla fame” aggiungendo inoltre che “La vita sulla terra può riprendersi dai grandi cambiamenti climatici evolvendosi in nuove specie e creando nuovi ecosistemi ma l’umanità non può”. 3 La natura, dunque, non si sta ribellando, non è un’entità astratta, altra rispetto all’umanità, l’umanità stessa è la natura, e le comunità umane devono divenire la vera natura che si ribella.

Contemporaneamente la società del lavoro, come preconizzato in tempi non sospetti dal filosofo André Gorz, sta inesorabilmente esaurendosi grazie all’evoluzione dell’informatizzazione e delle tecnologie, ed allo stesso tempo la ricchezza prodotta sta aumentando a dismisura ma è sempre più concentrata nelle mani di una piccola élite.

Ciò significa che sempre meno lavoratrici e lavoratori riescono ad accedere ad impieghi a tempo pieno, ed un numero in costante crescita di persone lavora ad intermittenza, è precaria o disoccupata, in quanto molte mansioni sono state sostituite da macchine in grado di compierle più velocemente, più precisamente, e con costi di produzione assai minori. In questo modo aumentano le forme di povertà, di incertezza e di insicurezza del futuro per milioni di persone, nonostante per la prima volta nella storia dell’umanità potenzialmente cessi di esistere la necessità di lavorare per sopravvivere: donne e uomini potrebbero impiegare il loro “tempo liberato” per la crescita e la cura di sé e della collettività se fossero previste modalità di redistribuzione della ricchezza e del lavoro.

A cambiare, dunque, devono essere innanzitutto i rapporti di forza e la cultura del lavoro. La necessità è quella di adoperarsi prioritariamente per la costruzione di una società nella quale la collettività non sia sottomessa alle logiche di mercato ma che la produzione sia assoggettata ai bisogni collettivi. Per farlo, bisogna scardinare alla base la società lavorista, neoliberista, partendo dal sistema di istruzione che educa l’individuo alla parcellizzazione del sapere in compartimenti stagni, inculcando l’idea secondo la quale soltanto se si è esperti, certificati, in micro discipline ci si può occupare delle mansioni per le quali sono stati condotti i propri studi. Tale convinzione è funzionale alla perdita della capacità di soddisfare i propri bisogni individuali e collettivi, in modo tale che possano essere appagati soltanto dal mercato. Il mercato, dunque, si sostituisce alle famiglie ed alle comunità, in quanto tutti i membri di esse sono occupati a svolgere mansioni funzionali all’ottenimento di un reddito necessario per soddisfare i propri bisogni primari e quelli indotti attraverso mode e campagne pubblicitarie che il mercato stesso produce.

Un sistema, inoltre, che non educa al, né insegna il, rispetto delle diversità culturali, religiose, sessuali, politiche, etniche, di genere, a vivere nella collettività avendo cura delle suddette differenze, ad esprimere le proprie emotività ed a condividere le proprie opinioni con l’altrx senza volerlx confutare, all’acquisizione della consapevolezza del proprio corpo ed al godimento di una sana sessualità.

A questo modello di società va contrapposta una prospettiva nella quale l’individuo non è contraddistinto o categorizzabile attraverso le mansioni che svolge, in quanto il lavoro non deve essere altro che una delle tante espressioni di sé, e che deve poter avere la sicurezza economica per coltivare le sue passioni, i suoi interessi, le sue relazioni nelle modalità che ritiene migliori ed appaganti. Una società con una totale redistribuzione del lavoro sintetizzabile con l’oramai celebre slogan “lavorare meno lavorare tuttx”, prevedendo, tra le altre cose, una sensibile diminuzione del numero di ore nel quale è necessario lavorare durante l’arco di tutta la vita, gestito nella maniera che gli individui ritengono più opportuno.

Quello capitalista, è stato scritto e riscritto, è un sistema predatorio che in nome della produzione, del profitto e del mantenimento di stili di vita lussuosi per pochissime persone rende possibile la depredazione delle risorse naturali con le conseguenti devastazioni di interi ecosistemi e l’impoverimento delle comunità autoctone, creando le basi per la mutazione del clima e la diffusione di virus sconosciuti all’essere umano.

Ma è anche un sistema in grado di rinnovarsi costantemente, rimodularsi, e di architettare soluzioni ai problemi che produce, creandone di nuovi, in un eterno circolo vizioso, sempre a discapito dei più deboli dal punto di vista della classe, del genere, della razza. Il rischio assai concreto è che lasciando montare le emergenze (climatiche, ambientali, della scarsità delle risorse) coloro che detengono il potere e le ricchezze adotteranno delle pratiche risolutorie tecnofasciste per risolvere le conseguenze nefaste dell’economia di mercato e per continuare a garantirsi le posizioni di dominio riproducendo in forme nuove le diseguaglianze esistenti.

Attraverso, cioè, la geoingegneria, l’ingegneria climatica, il controllo delle nascite e della natura (intesa come qualcosa d’altro rispetto all’uomo) in pieno stile malthusiano, lo sviluppo di intelligenze artificiali in grado di sostituire gli umani in quasi tutte le scelte della vita, la trasformazione degli umani in “cyborg”, in transumani, per emancipare lo spirito dall’universo fisico superando l’obsolescenza del corpo, in chiave biopolitica, potrebbero essere imposte decisioni autoritarie, calate dall’alto quindi, con conseguenti limitazioni delle libertà individuali e collettive. D’altronde ne abbiamo avuto un primo assaggio con la pandemia da covid 19, fase nella quale in quasi tutto il pianeta i governi hanno imposto alle proprie cittadine ed ai propri cittadini di non uscire di casa se non esclusivamente per recarsi nei luoghi di lavoro. Questa imposizione, normalizzata in un tempo brevissimo, è stata giustificata con la motivazione di dover affrontare l’emergenza, senza però far nulla per intaccare quelle che, a monte, sono le dinamiche che hanno reso possibile la diffusione globale del virus. “Non torneremo alla normalità perché la normalità è il problema” ci si è costantemente ripetuti durante la fase più intensa del lockdown eppure, a più di un anno dallo scoppio della pandemia, nulla è davvero stato messo in discussione.

In Italia, il Governo guidato da Mario Draghi ha istituito il Ministero della Transizione Ecologica che dovrebbe traghettare, per l’appunto, il Paese verso una società ecologista. Le priorità che si è dato riguardano il potenziamento del riciclo dei rifiuti, la riduzione delle perdite di acqua potabile della rete idrica, l’efficientamento energetico di 50.000 edifici pubblici e privati, la ricerca e lo sviluppo dell’uso dell’idrogeno nell’industria e nei trasporti, ma non sono ancora chiare le modalità attraverso le quali il suddetto ministero intenda raggiungere questi ed altri obiettivi. A prescindere da ciò, però, appare evidente già dalla sola lista delle priorità come un vero cambiamento di rotta non sia prospettato all’orizzonte e come, invece, le Istituzioni tentino di cavalcare l’onda ecologista sussumendo le pratiche e le proposte alternative e radicali promosse da movimenti quali Fridays For Future ed Extincion Rebellion, o i vari comitati italiani, facendone scemare la potenzialità rivoluzionaria, limitandosi a ridurre l’impatto ecologico delle attività esistenti piuttosto che lavorare alla trasformazione radicale del sistema produttivo. É il sistema capitalista che, attraverso le politiche dei governi delle democrazie liberali, si rimodula ponendosi come organo risolutore dei problemi che esso stesso ha creato.

Così come la manifesta incapacità della Regione Campania a smaltire rifiuti prodotti nel proprio territorio di competenza testimonia una modalità coloniale di ambientalismo laddove, come documentato dal giornalista Bernardo Iovene di Report, parte dei suddetti rifiuti sono stati smaltiti per mesi in Tunisia, un Paese nel quale non sono presenti impianti di trattamento degli stessi, finché il Ministro dell’Ambiente tunisino non è stato arrestato a causa di questa storia. 4

Anche le multinazionali fanno lo stesso gioco. Una fra tutte l’Eni, tra le più grandi multinazionali italiane dell’energia che, con una palese operazione di “greenwashing”, ha incentrato la sua strategia comunicativa degli ultimi anni sulla “sostenibilità ambientale”, sull’importanza delle “buone pratiche”, sull’”impronta ecologica”, tutti concetti atti ad individualizzare le responsabilità, come se il pianeta lo si salvasse chiudendo il rubinetto dell’acqua mentre ci si lava i denti, proprio per mascherare le oggettive ed enormi responsabilità che una società che ha un fatturato annuo di 45 miliardi di dollari, ricavati attraverso i settori del petrolio, del gas naturale, della chimica, della produzione e commercializzazione di energia elettrica e di energia da combustibili fossili, evidentemente ha. 5 Una multinazionale che, tra le altre cose, è stata condannata (in primo grado) a marzo del 2021 per traffico illecito di rifiuti nell’ambito delle estrazioni petrolifere in Basilicata, dal tribunale di Potenza, il quale ha disposto anche una sanzione amministrativa di circa 700mila euro e la confisca di oltre 44 milioni. 6

Nel frattempo Edison e Q8 avrebbero voluto realizzare un megadeposito di gas naturale liquefatto nell’aria della darsena petroli del porto di Napoli. Un tratto di costa devastato e totalmente interdetto alla popolazione, tanto da essere affissi, in alcuni tratti, dei cartelli che “invitano” ad evitare la balneazione a causa di un “pericolo di morte” dato che per anni sono state sversate tonnellate di liquami industriali; un luogo dove è presente un’alta concentrazione di patologie tumorali ed un alto rischio vulcanico, ma hanno dovuto fare i conti con le proteste dei comitati locali. 7

Come se non bastasse anche molte associazioni ambientaliste conosciute in tutto il mondo si comportano alla stessa maniera che è funzionale al sistema, ed al mantenimento dello status quo. Sono associazioni occidentali fondate ed animate da maschi bianchi e borghesi che per decenni hanno fatto del “conservazionismo” la loro ragione di esistere, intente a preservare aree considerate di pregio naturalistico e faunistico, fondando parchi “protetti”, sacralizzandoli e scindendoli completamente dall’umano. Convinti che l’uomo sia destinato (e giustificato) a devastare e depredare ovunque si insedia si è preferito tutelare una pseudo incontaminatezza piuttosto che sostenere ed immaginare modalità di vita che potessero strutturare relazioni di equilibrio tra uomo ed il resto della natura. Una prospettiva, quella della conservazione di specifiche aree, che è funzionale alla fuga domenicale dalle città in quanto luoghi dai quali si vuole scappare appena possibile, ed in contrapposizione alla trasformazione delle città stesse in spazi vivibili e salubri. Questo approccio consente tacitamente l’esistenza di luoghi sacrificabili predisposti alla produzione e quindi alla pauperizzazione, alla devastazione ed al saccheggio.

Una di queste associazioni è WWF International la quale esporta nel mondo queste modalità da ambientalismo coloniale che, a discapito delle esigenze e della volontà delle popolazioni locali, si fa portatrice malsana di un’idea di purezza, integrità e verginità, da tutelare a tutti i costi, andando a recintare intere fette di territorio, dal quale i nativi vengono allontanati, e che divengono ad esclusivo uso e consumo di chi può permettersene la fruibilità. A proposito di ciò la ong Survival Internazional ha di recente attaccato duramente il WWF il quale ha imposto dall’alto un progetto relativo alla trasformazione dell’area di Messok Dja, in Congo, in un parco nazionale, rendendosi “responsabile di abusi e violazioni dei diritti umani di scioccante portata” nei confronti del popolo Baka. 8

WWF Italia, invece, ha lanciato una campagna a fine 2020 affidata al comico Maccio Capatonda inerente la necessità di tutelare alcune specie di pesce ed i mari, contrastando la pesca eccessiva. Sarebbe una buona cosa se non fosse per le modalità adottate: nei video in questione i consigli che vengono dati sono tutti legati al bisogno di modificare le scelte di consumo. Quindi è tutto un “mangiamo troppo pesce”, “bisogna avere comportamenti responsabili”, “va mangiato solo il pesce di provenienza locale”, “vanno scelti pesci superiori alle taglie minime”, “bisogna scegliere specie di pesce meno conosciute”… insomma tutto legato alle scelte individuali delle persone, ancora una volta. 9

L’individualizzazione delle responsabilità legate al consumo sostenibile può sembrare una scelta casuale, dettata da buoni propositi. Invece è una chiara scelta politica soprattutto quando proviene da rappresentanti istituzionali in quanto, in questo modo, si deresponsabilizza la collettività, e dunque anche lo Stato, adducendo come unica possibilità risolutiva il cambiamento degli stili di vita. Indimenticabile nella sua potenza offensiva, ed indimenticata e continuamente ricordata da chi scrive, fu una dichiarazione dell’ex ministro della salute Lorenzin la quale affermò che «in Terra dei Fuochi si muore di più perché vengono condotti cattivi stili di vita» 10 Cioè a dire che se i campani si ammalano di patologie tumorali, anche rare, più che in altre regioni d’Italia è perché non fanno jogging, mangiano troppo ragù, troppe fritture di pesce (magari inferiori alle taglie minime).

A tali narrazioni tossiche è necessario che si controbatta attraverso contronarrazioni altrettanto potenti e smascheranti, così come alla retorica della transizione ecologica calate dall’alto va contrapposta l’esigenza di una riconversione ecologica ed energetica incentrate esclusivamente sulle fonti rinnovabili, oggi più che mai possibile e necessaria, attraverso il “Next Generation EU” e, conseguentemente, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) che ammonta a 222,1 miliardi di euro.

Che Fare? Nuove frontiere dell’immaginifico

La lezione fondamentale di André Gorz è stata quella di costruire immaginari considerati utopici ed impossibili, e condividerli proprio per dar loro forma e realizzabilità. “L’Utopia oggi non consiste affatto nel preconizzare il benessere attraverso la decrescita ed il sovvertimento dell’attuale modo di vita; l’utopia consiste nel credere che la crescita della produzione sociale possa ancora condurre ad un miglioramento del benessere, che essa sia materialmente possibile.” 11 A torto del concetto di utopia si è voluto dare ad esso un’accezione negativa, come se chi coltivasse utopie fosse unx bugiardx, un impostore, unx romanticx idealista che non ha ben saldi i piedi per terra. La verità è che non c’è nulla di più utopico (volendo mantenere l’accezione negativa) di un sistema che promette crescita infinita in un mondo finito e dalle risorse limitate, come quello capitalista.

Tuttavia un importante esercizio politico che andrebbe ripetuto costantemente è quello riguardante la riappropriazione dei concetti che la “controparte” ha fatto suoi, svilendoli, proprio come con il termine “utopia”. Nel caso specifico bisogna rivendicare di essere degli utopisti perché soltanto attraverso la capacità immaginifica di mondi altri, possibili, si può essere invogliati e stimolati a compiere i primi passi per renderli realizzabili. Così come ritengo sia fondamentale la riappropriazione del concetto di “sicurezza” inteso non più come diminuzione delle libertà a favore del controllo e della repressione da parte dello Stato, per tutelare la vita delle cittadine e dei cittadini, ma deve divenire sinonimo di sicurezza di poter condurre una vita dignitosa, senza correre pericoli di morte nei luoghi di lavoro, senza le paturnie e le ansie scaturite dalle diverse forme di precarietà, anche attraverso l’assegnazione di un reddito “sicuro” ed incondizionato. È questo il modo nel quale le istituzioni devono essere “rassicuranti”.

Tali concetti necessitano di divenire egemoni in senso gramsciano, e per renderli tali bisogna “uscire dalla propria bolla” di riferimento, cioè emanciparsi dalle microcomunità che si frequentano quotidianamente, senza per questo rinnegarle ma anzi rafforzarle, per divenire in grado di condividerli e raccontarli in ogni spazio possibile, anche (e soprattutto) in luoghi che non sono considerati confortevoli, anche alle iniziative di realtà considerate ostili. Bisogna allontanare definitivamente il timore infondato (ed insensato) di “perdere la purezza”. Contemporaneamente è necessario fondare “dal basso” scuole di educazione politica e di educazione emotiva.

In tutta l’opera di Gorz uno dei fondamenti è la necessità di risignificare il concetto di “lavoro”, e di reimmaginare le modalità di relazione con esso. Lavoro è tutto ciò che viene svolto per la crescita degli individui e della collettività, ed il lavoro deve essere sempre retribuito. E poiché il lavoro così concepito non può (e non deve) essere misurato e retribuito in base a quante ore ci si dedica ad esso, bisogna lottare per esigere un reddito di esistenza, poiché è l’esistenza stessa ad essere il Lavoro e non si può smettere di praticarlo. Ciò che invece non deve essere più praticato è il lavoro che impone la scelta tra salario e salute, tra la possibilità di “mettere il piatto a tavola” con il rischio altissimo di contrarre patologie tumorali, e varie altre malattie, e la fame (come avviene all’ex Ilva di Taranto ed in ancora troppi luoghi). Il lavoro se non è centrato sulle pratiche ecologiste non può più essere definito tale e va rifiutato.

Lorenzo Zaratta era un bambino di Taranto. La sua vita è stata segnata, senza alcuna possibilità di scelta, già al momento del concepimento per il solo fatto di essere figlio di genitori che vivono in un luogo che si è deciso di sacrificare. é morto a 5 anni, nel 2014, dopo aver contratto un astrocitoma, a 3 mesi. Oggi sappiamo che esiste una correlazione tra tumori infantili ed attività siderurgica dell’Ilva in quanto nel suo encefalo sono state riscontrate polveri, particelle metalliche, residui di combustione e fibre ceramiche, giunte lì attraverso il sangue placentare materno. 9 dirigenti Ilva sono indagati per omicidio colposo, ed il 22 luglio è stata celebrata la prima udienza preliminare.12

Per queste ed altre ragioni una delle prime rivendicazioni che dovremmo fare nostra ed imporre con forza nel dibattito pubblico è quella di un reddito di esistenza universale ed incondizionato che si contrapponga al reddito di cittadinanza. Un reddito slegato da qualsivoglia tipologia di mansione volontaristica in quanto, se fosse vincolato a forme diverse di compensazione economica, il volontariato smetterebbe di essere tale, ed il reddito perderebbe quelle che sono le sue funzioni primarie: quella di dotare tutte e tutti di un potere contrattuale tale da poter rifiutare lavori alienanti, usuranti e sottopagati, in un’ottica di contrasto alla retorica secondo la quale bisognerebbe lavorare a tutti i costi ed a qualsiasi condizione, e quello di permettere uno sviluppo illimitato di attività che sono valide in sé, in quanto necessarie allo sviluppo ed alla formazione del, ed al godimento della bellezza per , l’ individuo all’interno della collettività.

Un reddito in contrapposizione a quello di cittadinanza in vigore in Italia, perchè, pur essendo osteggiato da Confindustria che propina la narrazione secondo la quale il reddito di cittadinanza “scoraggerebbe le persone in cerca di un impiego” 13, questo è costruito su basi teoriche totalmente errate, controproducenti ed antitetiche al processo di emancipazione dai lavori usuranti e degradanti, in quanto il reddito di cittadinanza viene elargito nella misura in cui i beneficiari e le beneficiarie sottoscrivano un accordo con i centri per l’impiego con i quali si impegnano a frequentare corsi di formazione, a partecipare a lavori socialmente utili, ed accettino almeno una delle tre offerte di lavoro che gli verranno successivamente presentate. E qualora non dovessero ottemperare a tali obblighi perderebbero il diritto al reddito. Se tutto ciò non accade è soltanto perché, in Italia, i centri per l’impiego non funzionano affatto.

È chiaro che il reddito di esistenza, da solo, non è bastevole come strumento di redistribuzione delle ricchezze, un soddisfacente piano vertenziale dovrebbe comprendere, tra le altre, una seria patrimoniale, una strutturata tassazione sulle transazioni finanziarie e sulla robotizzazione delle imprese, la trasformazione dei brevetti in beni pubblici, un ritorno alla sovvenzione esclusiva delle strutture pubbliche da parte dello Stato e la distribuzione di un “reddito di cura”, che va sommato a quello universale, perché quello che va affermato con forza è che il lavoro di cura e di riproduzione devono essere equiparati totalmente ad ogni altro tipo di mansione retribuita.14

Bisogna, però, chiedersi chi siano i soggetti che dovrebbero costruire tale piano rivendicativo e trasformativo territoriale, nazionale ed internazionale. Perché è evidente che, almeno nel caso italiano, i partiti politici ed i sindacati confederali abbiano abdicato al loro ruolo di rappresentanza e tutela delle istanze popolari, che conservino una concezione novecentesca del concetto di lavoro e che pertanto, a mio parere, la risposta va ricercata nella costruzione di un movimento transnazionale ed intersezionale che sintetizzi le istanze ecologiste, femministe, antifasciste, antirazziste, anticapitaliste.

Andrè Gorz riteneva che per rendere possibile tutto ciò bisognasse creare delle comunità autonome ed indipendenti, conviviali, ciò però acquisisce fattibilità soltanto se contemporaneamente si costruisce un piano di lotte intersezionale che risponda a tono al sistema repressivo dello Stato neoliberale anche attraverso l’istituzione di assemblee permanenti funzionali alla necessità di ridivenire una moltitudine conflittuale e coesa. L’aspetto fondamentale, però, è e rimane quello di fondare tali relazioni, connessioni, reti su rapporti di fiducia, orizzontali e sani, dove esista reciprocità e non ci sia eccessivo squilibrio. Dove non ci sia bisogno di leader (la maggior parte delle volte maschi) che dettino la linea attraverso monologhi, imposizioni, egemonizzazioni e prestazionismi ma tuttx si sentano al sicuro nel dire la propria (che vale come quella di chiunque altrx) con i propri tempi e le modalità che si ritiene. Altrimenti l’intersezionalità rimarrà sempre e soltanto evocata nelle assemblee. Altrettanto fondamentale è il non limitarsi sempre e soltanto a rispondere alla controparte, subendone costantemente le decisioni, e ponendosi esclusivamente in maniera reattiva, fisica, macha. Abbiamo bisogno piuttosto di costruire percorsi totalmente altri, di metterci a nudo e di condividere in spazi sicuri i nostri timori, le nostre paure, le nostre solitudini. La cura è essenzialmente questo: contrasto alle più diverse e sottaciute forme di solitudine.

Una modalità altra di stare al mondo, insomma, che non è fuga dalla società ma costruzione collettiva di alterità incentrata sulla serenità universale che si fa contrattacco per il solo esserci ed essere possibile. Costruire spazi sicuri significa praticare l’alternativa e non limitarsi a teorizzarla, spazi come l’Orto Conviviale, un’oasi felice che sorge a Sant’Anastasia, nella periferia della città metropolitana di Napoli ed in piena “terra dei fuochi”, che resiste agli sversamenti ed ai roghi di rifiuti che continuano ad avvenire nei territori circostanti. Miriam, Enzo e la loro figlia Giorgia, assieme ad altri lavoratori, coltivano la terra che possiedono da generazioni e sulla quale sorge la loro casa, in un’ottica agroecologica, senza alcun utilizzo di pesticidi, e distribuendo i loro frutti a chilometro zero. Sono le amiche e gli amici di famiglia, della comunità, che il martedì ed il venerdì raggiungono l’orto per acquistarne le prelibatezze appena colte, e ad animare l’orto stesso durante le numerose iniziative ecologiste, femministe, educative per grandi e piccoli che vengono organizzate al suo interno poiché, l’aspetto fondamentale, è la cura delle relazioni e delle persone che attraversano questo posto fantastico.15

Esperienze come Terra di Resilienza di Caselle in Pittari, in Cilento, una cooperativa sociale che produce olio extra- vergine d’oliva, vino, e farina di alta qualità ottenuta grazie al recupero dei grani antichi cilentani, in un’ottica di economia circolare e di inclusione sociale attraverso l’inserimento lavorativo di individui in trattamento da dipendenze. Una realtà nata in un contesto geografico meraviglioso che si fa portatrice di un modo altro di fare agricoltura, incentrata sulle relazioni di prossimità ed in contrasto con quella intensiva, con le monocolture e con la grande distribuzione. Perché la resistenza al sistema capitalista ed il contrasto al biocidio le si fanno anche attraverso la “restanza”, che significa scegliere di restare lì dove si hanno le radici a difendere della terra ed a costruire concretamente modelli alternativi.16 O esperienze come Terranostra, un’area rurale occupata, sita a Casoria in un ex deposito militare di carburante, dove le attiviste e gli attivisti hanno dato avvio, tra le altre cose, ad un processo di fitodepurazione dei terreni, dopo averli fatti analizzare, attraverso la piantumazione di pioppi, funzionale alla restituzione di quei terreni a chiunque volesse coltivarli. Una vera e propria operazione di bonifica partita e gestita da basso, in maniera democratica.17

Alla società dell’individualismo spinto, dell’iper competizione, della performatività va dunque contrapposta la società della lentezza, bisogna camminare “al passo del più lento” come insegna il movimento No Tav, senza lasciare nessunx indietro. Serve creare comunità territoriali, conviviali, per contrastare le diverse e diffuse forme di solitudine, perché nessunx deve morire da solx come troppo spesso accaduto durante il lockdown e perché alla morte bisogna arrivarci pieni di vita, vissuta collettivamente, pienamente. Questo è il vero sviluppo.

Alle “miserie del presente” fatte di solitudini diffuse, di incapacità di esprimere la propria sofferenza, la propria emotività, di vergogna e senso di colpa, di inadeguatezza ed ansie da prestazione, di odii patiti ed ingoiati in silenzio, di scelte incomprensibili per chi rimane, va opposta la “ricchezza del possibile”, l’immaginifico. La cura della comunità, della famiglia, la solidarietà con l’altrx, come forme di radicale resistenza; il lavoro quotidiano per la costruzione di una società conviviale, come forma di rappresaglia, di avanguardia.

Per (i) Raffaele, Seid, Moussa Balde..

“A te detta Kay che dandomi Te, mi hai dato Io”

Bibliografia di riferimento

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1 Oxfam, Disuguaglianza climatica, 2015. https://www.oxfamitalia.org/wp-content/uploads/2015/12/mb-disuguaglianza_clima_021215-IT.pdf

2 Idmc, Global Report on Internal Displacement, 2020. https://www.internal-displacement.org/global-report/grid2020/

3 Rai News, Onu, clima: umanità a rischio. La bozza shock del rapporto Ipcc sul riscaldamento globale, in rainews.it. https://www.rainews.it/dl/rainews/media/Onu-Clima-umanita-a-rischio-La-bozza-shock-del-rapporto-Ipcc-sul-riscaldamento-globale-835a9c89-bf21-4783-90f0-4eba6b0f7a50.html#foto-1

4 Iovene, B. Terra Felix, in rai.it. https://www.rai.it/programmi/report/inchieste/Terra-felix-f4a19e8d-70f1-4fa7-b515-4a7796a5cf1a.html

5 Eni Video Channel, Eni + Luca è meglio di Eni – Insieme abbiamo un’altra energia, in youtube.com. https://www.youtube.com/watch?v=OxYvDXyc5_U&ab_channel=enivideochannel

6 F.Q., L’Eni condannata per traffico illecito di rifiuti nel centro Oli di Viggiano: confisca da 44,2 milioni, in ilfattoquotidiano.it. https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/03/10/leni-condannata-per-traffico-illecito-di-rifiuti-nel-centro-oli-di-viggiano-confisca-da-442-milioni/6129238/

7 Frattasi, P. Porto Napoli, comitati in piazza contro il nuovo mega-impianto di gas: “Vogliamo mare e turismo”. In fanpage.it. https://www.fanpage.it/napoli/porto-napoli-comitati-in-piazza-contro-il-nuovo-mega-impianto-di-gas-vogliamo-mare-e-turismo/

8 Vidal, J. Armed ecoguards funded by WWF ‘beat up Congo tribespeople’, in theguardian.com. https://www.theguardian.com/global-development/2020/feb/07/armed-ecoguards-funded-by-wwf-beat-up-congo-tribespeople

9 WWF, Maccio Capatonda ‘vittima’ del WWF per la pesca sostenibile, in wwf.it. https://www.wwf.it/pandanews/ambiente/maccio-capatonda-vittima-del-wwf-per-la-pesca-sostenibile/

10 Valesini, S. Terra dei fuochi: è lo stile di vita o l’inquinamento a mettere a rischio la salute? in wired.it. https://www.wired.it/attualita/ambiente/2014/10/03/terra-dei-fuochi-cibi-sigarette-mettere-rischio-salute/

11 Gorz, Ecologia e libertà, cit. pag. 40

12 Spera, D. Taranto, bimbo “simbolo” morto di tumore a 5 anni: nel suo cervello trovate le polveri dell’Ilva. In Il tacco d’Italia. https://www.iltaccoditalia.info/2021/07/02/taranto-bimbo-simbolo-morto-di-tumore-a-5-anni-nel-suo-cervello-trovate-le-polveri-dellilva/?fbclid=IwAR0AfcsP8UNMGCVXnVRWsdoLRVyNMSkpiH2q1iboQamkGu1pgxhITdDTunc

13 Coluzzi, T. Il presidente di Confindustria ribadisce che il reddito di cittadinanza è un fallimento, in fanpage.it. https://www.fanpage.it/politica/il-presidente-di-confindustria-ribadisce-che-il-reddito-di-cittadinanza-e-un-fallimento/

14 Barca, S. Appunti sul reddito di cura. In il manifesto.it https://ilmanifesto.it/appunti-sul-reddito-di-cura/

15 “L’Orto Conviviale”: da progetto di vita a progetto di comunità. In napolicittasolidale.it http://www.napolicittasolidale.it/portal/primo-piano/8470-%E2%80%9Cl%E2%80%99orto-conviviale%E2%80%9D-da-progetto-di-vita-a-progetto-di-comunit%C3%A0.html https://www.facebook.com/lortoconviviale/

16 http://www.montefrumentario.it/

17 https://www.facebook.com/terranostraoccupata/

18 Alcuni dei titoli che sono stati inseriti nella filmografia potrebbero apparire, ad una prima lettura, incoerenti con l’articolo. In realtà la cinematografia fantascientifica distopica e quella horror (che deriva dalla letteratura gotica) sono la testimonianza, secondo chi scrive, di una prima forma embrionale di ambientalismo, che è stato per prima cosa rigetto rispetto alle conseguenze che la rivoluzione industriale prima, e le evoluzioni tecnologiche poi, hanno avuto sull’ambiente, la natura, l’esistenza umana.

Vincenzo Forino

28/7/2021 https://www.intersezionale.com

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