Lettera a Lavoro e Salute “A che serve raccontarci ”

COPlesunogennaio2017

www.lavoroesalute.org

Caro Franco, mi hai chiesto più volte, anche la settimana scorsa, di scrivere, o parlandoti, di farti la cronaca di come stiamo lavorando in questi tempi di tagli di spesa e strutture nella mia asl. Ho deciso finalmente di scrivere qualcosa, però non quello che chiedi ma esterno pubblicamente le perplessità e le paure che mi bloccano e, ne sono convita, bloccano tanti miei colleghi nello scrivere del nostro lavoro.

Perché raccontarmi per evitare di farmi raccontare da chi ha, senza nulla rischiare, mi racconta comunque impunemente protetto dalla potenza finanziaria e politica?

E poi, anche mi raccontassi, eviterei di farmi raccontare come vivo e come lavoro?

Perché raccontare i miei problemi, le mie sensazioni, le mie emotività, i miei stati d’animo della giornata?

Perché costruire con i miei pensieri e le mie parole quello che avrei da proporre per chiedere di stare meglio, anche sul lavoro?

Perché farlo sapendo di correre il rischio di essere messa alla gogna dalla gerarchia, e anche da alcuni o tanti colleghi, con possibili e voluti fraintendimenti per snaturare le mie parole e la mia volontà?

Meglio stare zitti e leggermi, e leggerci, sui giornali quando succede periodicamente un fatto negativo negli ospedali poi amplificato dalla stampa?

Meglio stare zitti di fronte all’evanescenza delle rappresentanze sindacali sui nostri, problemi, piccoli o grandi che siano?

Infine, quali risultati sono possibili nel raccontare come ci fanno lavorare e rendere pubbliche le nostre paure?

Concordo che le paure si superano affrontandole altrimenti ne restiamo prigionieri e sono foriere di bournout lavorativo, sudditanza alle gerarchie e ai comportamenti arroganti dei nostri simili, e agli atti oppressivi quali mobbing, lo straining e lo stolking, incentivati all’ennesima potenza, in questi anni di discrezionalità dirigenziale, dalle leggi che hanno crepato profondamente i diritti individuali e quelli collettivi.

Te la invio convinta che la pubblicherai comunque, anche se, forse, penserai che con queste mie domande supporto le paure di altri.

Grazie, un caro saluto.

Emanuela

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Cara Emanuela, la tua lettera certifica uno stato d’animo di depressione di tanti nel mondo del lavoro, anche da noi in sanità ma, forse, rivela anche che dietro la paura di parlare pubblicamente sopravvive lo sdegno per un clima di passività collettiva, funzionale a quelle gerarchie che esercitano autoritarismo sulle debolezze ma sono deboli in capacità professionale e autorevolezza.

E’ anche vero che la paura di ritorsioni è spesso soggettiva, inconsciamente amplificata da una diffusa lettura dello stato di cose presenti influenzata dalla sfiducia generalizzata nella concreta possibilità di far cambiare qualcosa, anche fosse una di quelle piccole quotidiane questioni che ci affliggono nelle relazioni professionali e organizzative che viviamo sul lavoro.

Vero che è venuta meno la presenza attiva del sindacato ma sottovalutiamo la forza delle nostre ragioni, attese, più di quanto crediamo, da altri per superare insieme quelle paure. E attese, anche, da tanti di quelli che hanno incarichi dirigenziali sul campo, perchè anche loro vorrebbero superare la paura di esprimersi al meglio delle loro capacità facendosi forza sul nostro coraggio, per superare la loro sudditanza.

Comunque, grazie di aver superato il disagio di rendere pubbliche le tue paure, anche questo è un contributo importante per noi di Lavoro e Salute, perchè incentiva altri a interrogarsi.

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