Ministro Poletti, volete fare di noi i camerieri d’Europa

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Lettera di Francesca Molinari

“Centomila giovani se ne sono andati dall’Italia? Sì, ma “non è che qui sono rimasti 60 milioni di pistola. Conosco gente che è andata via e che è bene che stia dove è andata, perché sicuramente questo Paese non soffrirà a non averli più fra i piedi”. Anzi, no, “mi sono espresso male: penso, semplicemente, che non è giusto affermare che a lasciare il nostro Paese siano i migliori e che, di conseguenza, tutti gli altri che rimangono hanno meno competenze e qualità degli altri”.

Io sono rimasta indignata, allibita, addolorata, preoccupata quando ho sentito queste parole da parte dell’attuale riconfermato Ministro del lavoro Poletti, parole che una volta dette rimangono e non ci sono scuse che tengano. Questo è il Ministro che dovrebbe occuparsi del lavoro per i nostri giovani, per i miei figli. Questo è colui al quale il 23 aprile 2014 furono delegate addirittura le funzioni del Presidente del Consiglio dei Ministri in materia di politiche giovanili e servizio civile nazionale, politiche della famiglia e integrazione. Mi sono chiesta: ma con che spirito, con che coinvolgimento, con che qualità di impegno mirato al suo compito ministeriale, che oggi è soprattutto il lavoro e il lavoro per i giovani, uno che si esprime in questo modo può mai espletare le sue funzioni? Perché nelle sue parole non è esagerato dire che c’è ostilità e disprezzo per i giovani che vanno all’estero dato che qui nel proprio Paese non trovano neppure di che vivere e non sono considerati professionalmente e neppure umanamente a sentire le parole del Ministro: “… sicuramente questo Paese non soffrirà a non averli più fra i piedi.” Forse si sarà sentito autorizzato a lasciarsi andare a dichiarazioni di questo tipo dalla linea di un Renzi che invita a non continuare con “la retorica della fuga dei cervelli”. Il totale dei giovani (da 15 ai 24 anni) disoccupati sul totale di quelli attivi (occupati e disoccupati) a luglio 2016 è pari al 39,2%. 4 giovani su 10 sono disoccupati. L’ISTAT, che fornisce questi dati, sottolinea come dal calcolo siano esclusi i ragazzi che non sono occupati e non cercano lavoro, nella maggior parte dei casi perché impegnati negli studi anche a plurilaurearsi, a mò di parcheggio virtuoso spesso per chi può, nonostante avere una laurea non sia di aiuto a trovare lavoro. Tra le giovani mamme: sei su dieci  rimangono a casa. Tra le donne sotto i 30 anni con figli piccoli, rileva l’Istituto, l’incidenza delle Neet (Not in education, employment or training) è al 64,4% Dal rapporto Migrantes impariamo che in dieci anni si registra un più 55% di italiani residenti all’estero, 107.000 se ne sono andati nel 2015 e di questi il 50% sono giovani. Questa è retorica? No. Accidenti questi sono i dolorosi fatti che ogni famiglia si ritrova (6 giovani su dieci vivono con i genitori). Se ne vanno i nostri ragazzi laureati. E non c’è più differenza: a prendere l’aereo o il treno verso la Germania non è più il figlio dell’impiegato o dell’operaio ma sul volo per Berlino o per Londra si trovano il figlio del preside e quello del dottore. Non sono più solo i ragazzi del Sud a lasciare il Mezzogiorno da sempre etichettato come “povero e in crisi”. Oggi se ne vanno soprattutto i Lombardi e i Veneti: quelli del Nord. Anche questa è retorica? Ma vi sembra che un problema di una simile gravità per i giovani, per le famiglie ma soprattutto per l’Italia, perchè l’Italia ha bisogno dei giovani, possa essere affrontato con queste parole, con questa linea politica, con questo atteggiamento che in fondo, come capita purtroppo ovunque, tende a pigliarsela col più debole, e coi giovani. C’è la crisi? ( nei primi 10 mesi del 2016 boom di licenziamenti disciplinari, Voucher in aumento, -32% di contratti stabili) e pigliamocela con i giovani che hanno la colpa di fuggire da un Paese che tra l’altro ormai ha scarsa attrattiva anche per gli studiosi stranieri, un Paese dove nelle Università molti docenti scaldano la sedia, dove c’è corruzione ovunque, dove i concorsi non si vincono per merito, dove i fondi sono scarsi e ripartiti male, facendo scadere la ricerca, posti pochi, infrastrutture scarse, dove un giovane non ha chance di entrare in un sistema dove c’è gente che aspetta da vent’anni di entrare. Queste le affermazioni che ho letto in un’intervista ad una giovane che scartata dall’Italia da 16 anni mi sembra, lavora in Olanda dove è stata valutata come si meritava e inserita in Università, anche se vorrebbe tornare in Italia, se potesse, anche per motivi familiari. Una giovane donna che desiderava disperatamente di “essere presa sul serio”.

Perché i giovani hanno il diritto di essere presi sul serio e anche l’Italia ne avrebbe tutti i vantaggi se pensiamo che i giovani imprenditori sono più bravi ed è un peccato che siano tenuti così a margine nella società italiana, perché quando hanno l’opportunità dimostrano di valere molto come nel caso delle microimprese, che rappresentano oltre il 85% delle unità produttive italiane, dove si registra che le aziende guidate da imprenditori giovani hanno aumentato i posti di lavoro più che quelle guidate da imprenditori anziani.

Per tutto questo forse c’è chi, lavorando con e per i giovani, si impegna anzi a prepararli ad andarsene dall’Italia, da un Paese dove a 40 anni sei ancora precario e se non lo sei devi avere due o tre occupazioni per poterti permettere una famiglia. “Non penseremo di farli rientrare in un’Italia dove anche solo per una visita medica devi conoscere qualcuno? Vogliamo davvero che le teste più belle di questo Paese crescano in uno Stato dove in Parlamento siedono condannati e indagati con in tasca magari solo un diploma di terza media?”(o tre anni di Istituto magistrale come la nostra attuale Ministra dell’Istruzione, Università e Ricerca, ndr). Sono parole di Alex Corlazzoli, insegnante e giornalista.

“Il punto centrale – dice Renzi per risolvere il problema della fuga dei giovani cervelli–è che bisogna aprirsi, bisogna trovare il modo di essere attrattivi, a me interessa quanto attraiamo altri talenti, aprendosi alla competizione internazionale”. Ma vogliamo veramente credergli? Ci sembra attraente un Ministro che si esprime come Poletti? Eppure è lui che ha in mano niente di meno che il Ministero del lavoro e dalle sue parole nulla lascia pensare che anche il suo operato per i giovani e per l’Italia sia affrontato con passione, motivazione, competenza, credibilità, serietà.

Io chiedo sommessamente a chi è nel PD di portare nel PD queste riflessioni perché venga fatto dimettere un Ministro come questo. Vorrei che la mia indignazione, la mia protesta come cittadina e come madre di figli che non hanno la vita facile con un lavoro che non c’è e un Ministro che gli vuole male, fosse condivisa da tante, tantissime altre persone. Facciamolo, ognuna e ognuno come possiamo e dove possiamo: chiediamo fermamente le dimissioni di Poletti, tanto per cominciare.

21/12/2016 www.italia.attac.org

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Lettera di Marta Fana

Ricercatrice In Economia (Parigi)

Il problema, ministro Poletti, è che lei e il suo governo state decretando che la nostra generazione, quella precedente e le future siano i camerieri d’Europa, i babysitter dei turisti stranieri, quelli che dovranno un giorno farsi la guerra con gli immigrati che oggi fate lavorare gratis. A me pare chiaro che lei abbia voluto insultare chi è rimasto piuttosto che noi che siamo partiti. E lo fa nel preciso istante in cui lei dichiara che dovreste “offrire loro l’opportunità di esprimere qui capacità, competenza, saper fare”. La cosa assurda è che non è chiaro cosa significhi per lei capacità, competenze e saper fare.Perché io vedo milioni di giovani che ogni mattina si svegliano, si mettono sul un bus, un tram, una macchina e provano ad esprimere capacità, competenze, saper fare. Molti altri fanno la stessa cosa ma esprimono una gran voglia di fare pure se sono imbranati. Fin qui però io non ho capito che cosa voi offrite loro se non la possibilità di essere sfruttati, di esser derisi, di essere presi in giro con 80 euro che magari l’anno prossimo dovranno restituire perché troppo poveri. Non è chiaro, Ministro Poletti, cosa sia per lei un’opportunità se non questa cosa qui che rasenta l’ignobile tentativo di rendere ognuno di noi sempre più ricattabile, senza diritti, senza voce, senza rappresentanza. Eppure la cosa che mi indigna di più è il pensiero che l’opportunità va data solo a chi ha le competenze e il saper fare. Lei, ma direi il governo di cui fa parte tutto, non fate altro che innescare e sostenere diseguaglianze su tutti i fronti: dalla scuola al lavoro, dalla casa alla cultura. E sì, perché questo succede quando si mette davanti il merito che è un concetto classista e si denigra la giustizia sociale. Perché forse non glielo hanno mai spiegato, o non ha letto abbastanza i rapporti sulla condizione sociale del paese, ma in Italia studia chi ha genitori che possono pagare e sostenere le spese di un’istruzione sempre più cara. E sono sempre di più, Ministro Poletti. Lei non ha insultato soltanto noi, ha insultato anche i nostri genitori che per decenni hanno lavorato e pagato le tasse, ci hanno pagato gli asili privati quando non c’erano i nonni, ci hanno pagato l’affitto all’università finché hanno potuto. Molti di questi genitori poi con la crisi sono stati licenziati e, finita la disoccupazione, potevano soltanto dirci che sarebbe andata meglio, che ce l’avremmo fatta, in un modo o nell’altro. In Italia o all’estero. Chieda scusa a loro perché noi delle sue scuse non abbiamo bisogno. Noi la sua arroganza, ma anche evidente ignoranza, gliel’abbiamo restituita il 4 dicembre, in cui abbiamo votato No per la Costituzione, la democrazia, contro l’accentramento dei poteri negli esecutivi e abbiamo votato No contro un sistema istituzionale che avrebbe normalizzato la supremazia del mercato e degli interessi dei pochi a discapito di noi molti. Era anche un voto contro il Jobs Act, contro la buona scuola, il piano casa, l’ipotesi dello stretto di Messina, contro la compressione di qualsiasi spazio di partecipazione.E siamo gli stessi che faranno di tutto per vincere i referendum abrogativi contro il Jobs Act, dall’articolo 18 ai voucher, la battaglia è la stessa.Costi quel che scosti noi questa partita ce la giochiamo fino all’ultimo respiro. E seppure proverete a far saltare i referendum con qualche operazioncina di maquillage, state pur certi che sugli stessi temi ci presenteremo alle elezioni dall’estero e dall’Italia.Se nel frattempo vuole sapere quali sono le nostre proposte per il mondo del lavoro, ci chiami pure. Se vi interessasse, chissà mai, ascoltare.

Da unoenessuno.blogspot.it

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