Libertè, égalité, fraternité ovvero socialismo o barbarie

La disaffezione al voto con quasi il 40% di astensioni dal voto nelle elezioni politiche del 25 settembre, una legge elettorale che con la quota maggioritario ha distribuito i seggi in modo sproporzionato rispetto alle quote delle forze politiche, premiando gli schieramenti capaci di coalizzarsi.  Non essendo in discussione la legittimità del voto ciò di cui si discute per l’ennesima volta è la rappresentatività delle istituzioni, la solidità degli orientamenti politici che hanno visto in pochi anni il succedersi di diverse forze politiche come forza egemone da ultimo M5S, Lega e FdI per non parlare del PD di Renzi al 40% alle europee del 20141.

Se alziamo la testa dal contesto italiano, dalla precarietà delle sue leggi elettorali, ci troviamo in Iran di fronte a tre settimane di proteste di piazza, ad una vera e propria crescente rivolta sociale a partire dall’uccisione il 13 settembre di Masha Amini, arrestata dalla ‘polizia morale’ – speciale reparto di polizia che vigila sul rispetto dei costumi privati dei cittadini-per aver infranto la legge che impone alle donne di coprirsi i capelli in pubblico. Una rivolta contro le limitazioni imposte alle donne dal regime che si sta trasformando in una rivolta generale contro le limitazioni alla libertà e per le condizioni di vita di gran parte della popolazione. Una rivolta che continua e si estende nonostante una repressione feroce che ha già prodotto decine di morti e oltre 1.500 arresti, la mobilitazione si è estesa alle università alcune delle quali sono state chiuse; negli anni scorsi ci sono già stati in Iran momenti di mobilitazione sociale, di proteste di piazza, nessuno dei quali aveva l’estensione, la forza e la durata di quello in corso.  Se è legittimo segnare la differenza tra regimi come quello iraniano con le sue restrizioni a libertà sostanziali, con la sua forma duale di governo, rispetto ai regimi politici dove vige, almeno formalmente la democrazia, non possiamo certo unirci al coro di chi, prendendo lo spunto dalle vicende del regime iraniano ed altri, nasconde la realtà del funzionamento delle istituzioni democratiche sotto un pesante velo di retorica, in un contesto di crescenti diseguaglianze sociali.

Le vicende iraniane ricordano le primavere arabe che scossero i regimi del medio oriente e della sponda sud del mediterraneo; ne conosciamo gli esiti e soprattutto la sovradeterminazione operata dagli interessi degli Usa, di Francia e Gran Bretagna e Russia, la fine di quei movimenti ha prodotto esiti diversi da paese a paese, con la deflagrazione di intere nazioni come la Siria e la Libia2. I movimenti di rivolta, la volontà di conquistare condizioni di maggiore libertà e giustizia sociale hanno dovuto fare i conti con la composizione sociale, culturale e politica dei diversi paesi, pensiamo al percorso egiziano con il prevalere dei partiti islamici e l’intervento dei militari, nel contesto dei rapporti di forza a livello geostrategico3.

Sarebbe opportuno oggi sviluppare un progetto di studio con l’obiettivo di comparare le traiettorie dei regimi politici nelle diverse regioni del globo, certo può assomigliare ad una sorta di ‘teoria del tutto’ come in fisica, si tratta in realtà, secondo un’ovvia metodologia di ricerca azione, di considerare l’evoluzione dei regimi politici come parte di un sistema complesso che abbraccia l’economia mondo con le specificità  sociali, economiche, culturali e politiche di ogni singolo paese e regione; si tratta di essere di parte, di cogliere il manifestarsi di soggettività in grado esprimere quanto meno una analisi critica della realtà fino alla capacità di produrre reali movimenti di liberazione. Queste soggettività possono costituire la rete globale, possono avere l’ambizione e le risorse per costruire un tale rete, in grado di produrre una intelligenza collettiva -laddove l’essere rete e l’attributo collettiva si fondano sulla capacità di evolversi, interagire nel massimo delle diversità e dei conflitti che inevitabilmente si generano- un progetto ed una pratica in divenire. Nulla di nuovo si dirà, certamente e per di più in un contesto terrificante caratterizzato dall’incrocio, dal manifestarsi di diverse crisi: dalla pandemia alla crisi climatica, alla guerra – esplicitazione di uno stato di belligeranza permanente a livello globale- sino alla crisi finanziaria, alla stagflazione indotta dagli interventi deflattivi delle principali banche centrali.

Nulla di nuovo, ma nuova è la situazione benché essa sia il frutto, come sempre, dall’intreccio tra tendenze di lungo periodo, e da rotture che si operano e discontinuità che si manifestano nel presente, laddove l’intervento dei diversi protagonisti sulla scena sono caratterizzate dall’eterogenesi dei fini.

Il confronto geostrategico che vede protagonisti Cina e Stati Uniti -ovvero due diversi tipi di capitalismo tende a sovradeterminare progressivamente tutte le situazioni regionali si alimenta dello sviluppo di un ecosistema tecnologico piegato alle esigenze di questo confronto; ambedue i contendenti si trovano di fronte a diversi passaggi critici, che in altra sede abbiamo esaminato. La Cina affronta questo passaggio critico nel XX congresso del Partito Comunista dove ci si aspetta Xi Jinping riceva un inedito terzo mandato alla segreteria generale costruendo un dispositivo politico autoritario –ma assieme capace di governare processi straordinari di trasformazione economica e sociali e interni e a livello globale– in grado di affrontare e superare le contraddizioni di questo passaggio per affrontare una fase ulteriore nel confronto con gli USA, che dovrebbe portare al predominio della potenza cinese.

In una zona d’ombra si trova la Russia, subordinata ormai al confronto Cina-Stati Uniti, dotata di un ingente armamento nucleare che ora si trova impantanata nella guerra frutto dell’invasione ucraina; un dato di novità sono le manifestazioni contro la guerra e la diserzione di fatto di centinaia di migliaia di cittadini che cercano uscire dai confini del paese. Una sorpresa, gravida di conseguenze, l’inefficienza delle forze armate nella campagna militare condotta in Ucraina, che apre ad una guerra senza fine, con conseguenze sociali e politiche imprevedibili, nonostante la presa del regime su gran parte della popolazione attraverso il controllo sui mezzi di comunicazione. La guerra scatenata dalla Russia ha avuto nel frattempo l’effetto di esaltare, se ancora ce ne fosse bisogno, la precarietà degli assetti politici ed economici dell’unione Europea, che manifesta sempre di più come un sistema guidato da accordi a geometria variabile tra gli stati, incapace di una strategia unitaria.

Negli USA la situazione è figlia della tensione da guerra civile che ha caratterizzato il passaggio dalla presidenza Trump alla presidenza Biden, situazione privilegiata per l’analisi di quel fenomeno variegato che va sotto la definizione di ‘populismo’. L’assalto a Capitol Hill non è stato un episodio fortuito, certo legato alla personalità dell’ex-presidente Trump, la cui presidenza è stata espressione di una polarizzazione politica e culturale profonda, che permane ovviamente –il partito repubblicano è tuttora lacerato dall’influenza trumpiana e quella tensione da guerra civile sembra permanere sotto traccia, del resto non estranea alla storia anche recente dei movimenti politici e sociali negli USA– frutto della stratificazione sociale, economica e territoriale del paese, nel modello di sviluppo che si è affermato nel nuovo secolo, delle profonde diseguaglianze che lo caratterizzano che si manifestano appunto in tutte le dimensioni della società.  La fluidità della composizione sociale delle società trasformate dai nuovi rapporti di produzione e riproduzione, definiti dall’ecosistema tecnologico fondato sul digitale, ha modificato profondamente la composizione politica dei paesi economicamente avanzati, ha visto l’emergere di proposte ed organizzazioni politiche che vanno sotto il nome generico di populismo, in tutte le sue varianti, comprese quelle che a sinistra sono state definite come tali, per il loro approccio alla nuova composizione sociale ed ai bisogni che esprime. Nel partito democratico si manifestano posizioni, espresse anche da rappresentanti eletti, che fanno riferimento alla tradizione socialista, espressione a loro volta dei movimenti che in questi anni hanno occupate piazze e strade delle città statunitensi, certo non sembrano in grado di superare le polarizzazioni presenti nella società americana e rovesciare l’esito reazionario della rabbia sociale.

Una situazione infine che è necessario citare è quella Brasiliana, con la l’inedita polarizzazione che si è espressa nel primo turno elettorale tra sud ed il nord del paese, con la prevalenza di Bolsonaro nelle principali aree metropolitane con l’influenza delle chiese evangeliche, che sembra far emergere antiche scissioni nella società brasiliana; l’esito della competizione elettorale non sarà senza conseguenze non solo sul Brasile stesso, ma sugli equilibri globali.

L’intreccio delle crisi tende contemporaneamente a destabilizzare e a irrigidire molti regimi politici, in una situazione globale che appare sostanzialmente instabile, con la possibilità di repentine ed impreviste rotture. La cifra di questa situazione è data dalla crisi climatica che colpisce senza alcun riguardo paesi come il Pakistan o la ricca Florida, senza che ci sia la capacità di una risposta coordinata ed efficace a livello globale; più che una transizione siamo in presenza di una deriva. Lo straordinario patrimonio tecnologico, la sua notevole capacità predittiva di molti fenomeni, sembra operare al servizio di una selezione neo-darwiniana dei ceti sociali destinati alternativamente a prosperare, a sopravvivere o a soccombere.

La percezione di questo stato di cose è destinata inevitabilmente a penetrare nella coscienza collettiva, in modo differenziato nei diversi soggetti sociali, gli esiti -lo si sta già vedendo- possono essere i più diversi e per ora non sembrano andare nella direzione di processo di liberazione globale. Le forme politiche attuali, anche le più formalmente democratiche, non sono il terreno di una sua nascita e crescita, non sono possibili soluzioni di corto respiro, non basta l’appello al conflitto sociale, la cui pratica è certo necessaria per ogni cambiamento radicale; dare un orizzonte globale ai movimenti, alle rivolte ai bisogni alle speranze che si esprimono è necessario, per questo una nuova dimensione internazionale è necessaria, tuttavia è richiesto in quella rete di cui sopra una sforzo straordinario di immaginazione politica che metta all’ordine del giorno  alcune parole d’ordine, alcune forme della politica e della società capaci di galvanizzare  una composizione culturale e sociale straordinariamente diversificata. Sarà un duro lavoro dall’esito incerto.

La consultazione vide la vittoria del Partito Democratico, guidato dal presidente del Consiglio dei ministri Matteo Renzi, che conseguì il 40,81% dei voti, il miglior risultato in percentuale mai ottenuto dal partito. L’affluenza alle urne subì un calo rispetto alle precedenti elezioni, fermandosi al 57,22%[]

https://www.internazionale.it/notizie/marta-bellingreri/2021/01/14/primavere-arabe-dieci-anni   [http://www.storiain.net/storia/la-primavera-araba-in-egitto/ []

Roberto Rosso

5/10/2022 https://transform-italia.it

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