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Altra Informazione, Blog, Comitati di Lotta, Cronache di Lavoro, Cronache Politiche, Cronache Sindacali, Cronache Sinistra Europea, Cronache Sociali, Culture, Politiche di Rifondazione, sanità e salute — Marzo 5, 2020 9:01 am

Cosa accade alle migranti che arrivano in Italia per lavorare nel settore domestico e dell’assistenza agli anziani quando invecchiano? Un’indagine sulle pensioni, a partire dal caso delle donne ucraine

L’invecchiamento delle assistenti familiari

Pubblicato da franco.cilenti

Foto: Unsplash/ Marek Studzinski

Se guardiamo la composizione per età delle migranti est-europee residenti in Italia notiamo un’elevata concentrazione nelle classi più elevate. Un fenomeno particolarmente evidente per la collettività femminile ucraina, che è composta per il 24% da ultrasessantenni. Una minima parte di queste donne è in pensione. In base ai dati Inps, nel 2016 i cittadini ucraini (uomini e donne) che percepivano qualche tipo di trattamento pensionistico in Italia erano 5.724 ovvero il 3,5% del totale degli ucraini conosciuti all’Istituto. La maggioranza continua a lavorare e svolge prevalentemente attività domestiche e di cura. Un lavoro notoriamente caratterizzato da un’elevata informalità che si traduce in esigui contributi pensionistici.

Siamo quindi di fronte a un generale invecchiamento di una componente significativa della popolazione femminile straniera residente in Italia che si accompagna a un parallelo invecchiamento delle lavoratrici impiegate come assistenti familiari. Giovani anziane che assistono persone anziane o molto anziane.

Per comprendere le origini di questo fenomeno è necessario ricostruire brevemente la storia migratoria delle migranti provenienti dall’ex Unione Sovietica, prendendo come caso emblematico quello delle ucraine. Negli anni Novanta e Duemila, a seguito della dissoluzione dell’Urss e delle politiche neo-liberiste adottate dai nuovi stati indipendenti, milioni di uomini e donne nel pieno della propria carriera lavorativa o già in pensione si trovano improvvisamente incapaci di sbarcare il lunario e intraprendono l’emigrazione internazionale. Le donne di mezz’età rappresentano un segmento significativo di questi flussi e tra queste le pensionate costituiscono una categoria tipica dell’emigrazione ucraina. Si tratta di 50enni che in molti casi erano appena andate in pensione dato che l’età pensionabile era di 55 anni e che percepivano un assegno irrisorio. Come ha raccontato Oleksandra, una donna ucraina, nel corso di un’intervista, per le pensionate era indispensabile integrare la pensione con un reddito da lavoro, ma alla fine degli anni Novanta le opportunità di lavoro per le donne mature erano decisamente scarse, quindi hanno iniziato a prendere in considerazione la possibilità di emigrare.

Siamo pensionate, non è facile trovarci un lavoro. Questo c’è per i giovani prima di tutto. Hanno chiuso tante fabbriche, tante agenzie, tante cose. Sono diminuite anche le scuole… Una volta tornando da lavoro, una donna sui 40 anni, dal fare un po’ leggero, mi raccontava che lavorava qui [in Italia], che aveva imparato la lingua e che guadagnava un po’ di soldi. Stava pensando di aiutare sua figlia a comprare un appartamentino. Mi sono detta: “io non sono più stupida di lei”. Noi come infermiere abbiamo avuto la possibilità di andare in pensione un pochino prima, non ci hanno obbligato ad arrivare a 55 anni. Così a 48 anni io ho deciso di andare in pensione e ho potuto fare questo [emigrare]. (Oleksandra, ucraina)

A fronte di una così forte perdita del potere d’acquisto di pensioni e salari, nonché della difficoltà di reperire un reddito da lavoro – anche informale – per integrare le entrate, l’emigrazione lavorativa rappresenta per le donne di mezz’età una delle poche strade percorribili per garantire la sussistenza a se stesse e alla propria famiglia, includendo in essa sia i figli sia i genitori anziani, in base al modello della ‘generazione sandwich‘.

Una volta arrivate in Italia, le migranti ucraine di mezz’età intraprendono una seconda carriera lavorativa prevalentemente nel comparto del lavoro domestico e di cura. Inizialmente sono obbligate a lavorare informalmente e ad accettare qualsiasi condizione di lavoro in attesa di regolarizzare la loro presenza nel paese di arrivo e di saldare i debiti lasciati nel paese di origine. Tuttavia, non appena la situazione legale ed economica migliora, esse iniziano a rielaborare il proprio progetto migratorio in relazione alla loro età e alle loro capacità lavorative. Anno dopo anno, esse divengono sempre più consapevoli che non possono tornare nei loro paesi di origine senza trovare prima una soluzione per assicurarsi una fonte di sostentamento per quando non saranno più in grado di lavorare.

Molte migranti ucraine dopo aver pagato gli studi ai figli e aver ristrutturato le proprie abitazioni, rimangono in Italia per raggiungere i requisiti minimi per accedere al sistema pensionistico italiano. Come racconta Olena, l’obiettivo è dunque lavorare il più possibile con la speranza di essere in grado, in termini di salute e forza fisica, di lavorare fino ai 65 anni nel migliore dei casi, per poi tornare in Ucraina con la pensione italiana.

Non so se rimango qua fino ad avere l’età della pensione… (pausa)… come già dal 2002, fino al… dicono che devi avere vent’anni di contributi… Allora, dal 2002, 2022, mancano sei anni e io avrò anche 65 anni per esempio, quasi l’età di pensione di qua. Eh, chissà. Vedremo. Non posso dire niente perché… vediamo come va con la salute. (Olena, ucraina)

Ma quali sono gli effetti dell’invecchiamento sulle carriere lavorative delle migranti? Con l’avanzare dell’età esse rischiano di diventare sempre più precarie, poiché le loro capacità lavorative sono poco spendibili in un mercato del lavoro che richiede lavoratrici né troppo giovani, considerate inadatte ad assistere gli anziani, né troppo anziane ritenute troppo deboli fisicamente. Un’intervistata ucraina sottolinea infatti il limbo in cui si trovano le sue coetanee: da un lato le difficoltà nel reperire un impiego in Italia e, dall’altro lato, il senso di inutilità che hanno quando tornano in Ucraina, dove non sono in grado di mantenersi e non rappresentano una risorsa per l’economia familiare poiché nella gran parte dei casi i nipoti sono ormai grandi. 

Ho parlato con una mia amica che è morta la sua vecchia e le ho detto: “vai a casa.” E lei mi ha risposto: “Ma, se vado a casa, cosa faccio a casa? Non ho nessuno, il figlio va a lavorare, la nuora anche lei, i nipoti non hanno bisogno di me”. A quest’età… verso 60 e più di 60 anni…  siccome io lo so che Italia e Ucraina non hanno quell’accordo per la pensione e in Ucraina prendono 60 euro, ma cosa fanno con quei pochi soldi?! Rimangono in Italia, ma arriva un giorno che non riescono a trovare, per esempio io conosco una donna che ha 65 anni compiuti il 6 di marzo, lei è robusta e lei da novembre non trova lavoro perché io capisco le famiglie italiane, se sua mamma ha 70 anni e verso gli 80, è malata, è certo che lei non vuole prendere una donna di 65 perché cominciano i problemi di salute, con tutto, io lo capisco. Lei dice che se la sente ancora, però chi ti paga soldi vuole vedere una persona forte… (Halyna, ucraina)

In conclusione, le lavoratrici domestiche ucraine, invecchiando diventano sempre più vulnerabili per via degli effetti perversi dall’intreccio tra età e occupazione. La precarietà lavorativa aumenta con l’aumentare dell’età, compromettendo non solo i mezzi di sussistenza nell’immediato, ma anche la possibilità di percepire una pensione in futuro poiché si riduce la capacità contributiva. Come testimonia Halyna le migranti arrivate nei primi anni Duemila, con grande difficoltà stanno raggiungendo i 20 anni contributivi. Le loro carriere sono infatti punteggiate da periodi di lavoro informale che non possono essere conteggiati. Pensiamo ai primi anni trascorsi in Italia lavorando in attesa di una sanatoria, così come ai lavori svolti senza un regolare contratto.

Finora gran parte delle migranti ucraine sono tornate nel loro paese di origine senza aspettare il raggiungimento dei requisiti pensionistici, facendo affidamento su un patchwork di differenti risorse economiche, come i propri risparmi, le rendite di piccoli investimenti, la pensione ucraina di cui erano titolari e, talvolta, l’aiuto dei figli. Nel prossimo futuro, ci aspettiamo un aumento del numero di migranti ucraine che percepirà un trattamento pensionistico. Buona parte delle future pensionate probabilmente tornerà in Ucraina dove potrà essere economicamente autonoma malgrado l’esigua pensione maturata in Italia. Una componente minoritaria, tuttavia, rimarrà in Italia dove ha messo radici. Questo spicchio di nuove pensionate rischia di percepire pensioni con importi molto contenuti e di sprofondare in condizioni di povertà, accentuate dalla ridotta possibilità di accedere a quel welfare familiare tanto cruciale nella società italiana.

Francesca Alice Vianello

4/3/20 www.ingenere.it

Nota

I testi in corsivo sono tratti dall’articolo Vianello F.A., Escrivà A. (2019), “Invecchiamento e pensioni delle lavoratrici domestiche migranti. Uno studio comparativo tra il caso delle ucraine in Italia e il caso delle peruviane in Spagna”, Mondi Migranti, 1. DOI: 10.3280/MM2019-001010

Riferimenti 

Inps (2017), Statistiche in breve. Anno 2016. Cittadini extracomunitari

Lulle A., King R. (2016), Ageing, gender, and labour migration. Basingstoke: Palgrave.

Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali (2018), La comunità ucraina in Italia

Vianello F.A (2009), Migrando sole. Legami transnazionali tra Ucraina e Italia, Milano: Franco Angeli

Tags: Anziani assistenti familiari assistenza domiciliare badanti Cittadini extracomunitari comunità ucraina in Italia donne migranti Francesca Alice Vianello lavoro di genere Legami transnazionali migranti migranti est-europee pensionati precarietà razzismo sfruttamento
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Autore: franco.cilenti
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