L’Italia terra di lavoro, ma per gli Americani

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Se leggessimo il report Istat sui permessi di soggiorno con lo stesso approccio che avevamo dieci o quindici anni fa, saremmo portati a dire che una delle novità più importanti messe in luce dal rapporto è che la prima collettività per numero di ingressi per motivi di lavoro in Italia è quella statunitense. In passato infatti l’attenzione si concentrava soprattutto sulle migrazioni per lavoro che erano quelle che davano luogo anche alle principali novità nel panorama immigratorio italiano.Nel 2005, ad esempio, anche se erano già stati superati dai ricongiungimenti familiari, i permessi per lavoro rappresentavano circa il 38% dei nuovi flussi in ingresso ed erano per gli uomini la prima motivazione di arrivo nel nostro Paese; in quel periodo mettevano in luce l’estrema dinamicità delle collettività dell’Est Europa. Oggi, a dieci anni di distanza e con diversi anni di crisi economica alle spalle, il panorama è talmente cambiato che i flussi per lavoro rappresentano poco più del 9% dei nuovi ingressi e sono per gli uomini solo la terza delle motivazioni di immigrazione in Italia.

L’Italia che non attira più lavoratori

La composizione dei nuovi flussi in ingresso segnala chiaramente come in Italia sia finita – o almeno si sia presa una lunga pausa – l’epoca delle migrazioni per lavoro. Sul territorio italiano si arriva oggi principalmente per ricongiungimento familiare o per cercare protezione internazionale. È chiaro che chi fugge da guerre e persecuzioni cercherà poi anche un lavoro che gli consenta di sostenersi nel paese di accoglienza, ma non è più l’epoca degli ingressi di lavoratori con un progetto migratorio chiaro, ben definito. In realtà basterebbe fare riferimento ai decreti flussi per capire come la situazione sia cambiata negli ultimi anni. In quello per il 2015 sono stati autorizzati 17.850 ingressi per lavoro non stagionale, ma nella maggior parte dei casi sono state autorizzate delle conversioni del permesso (ad esempio da studio a lavoro), mentre i nuovi ingressi veri e propri autorizzati dall’estero sono stati meno di 6 mila. A questi vanno aggiunti 13 mila lavoratori stagionali. Il decreto flussi emanato a fine 2010 prevedeva invece l’ingresso per lavoro non stagionale di 86.580 cittadini non comunitari residenti all’estero. Per il 2005 era stato programmato l’ingresso di 159 mila lavoratori non stagionali (in quel particolare anno si faceva riferimento anche all’ingresso di neo-comunitari, vista la recente adesione all’Unione di alcuni paesi dell’Est Europa). A questo si deve aggiungere il peso che in passato avevano avuto le campagne di regolarizzazione degli immigrati irregolarmente presenti sul territorio. Le migrazioni per lavoro hanno perso così importanza e la prima nazionalità per numero di permessi di lavoro emessi per la prima volta nel 2015 è diventata proprio quella statunitense, con i nuovi arrivati che si concentrano intorno alle basi militari. Anche per gli indiani la quota di ingressi per lavoro sul totale dei nuovi permessi continua ad essere significativa (oltre il 22%), mentre non raggiunge il 10% per le altre nazionalità con un numero elevato di nuove documentazioni emesse nell’anno. Si continua ad arrivare per ricongiungimento familiare, ma sono soprattutto gli altri motivi a crescere. Segno di un’immigrazione che non solo matura, ma che sta anche cambiando rapidamente. È interessante notare come tra i cinesi solo il 7,2% abbia ottenuto un permesso per motivi di lavoro, mentre il 34,3% abbia ricevuto un’autorizzazione al soggiorno per motivi di studio.

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Migrare senza rete

Fra il 2014 e il 2015 i permessi per richiesta asilo politico e protezione umanitaria sono aumentati del 40,5%: nel 2015 sono diventati oltre 67mila e rappresentano più del 28% dei nuovi ingressi. Quello che era un flusso residuale di arrivi è diventato per i migranti maschi il principale motivo di ingresso nel nostro paese. Questo è un elemento di novità che cambia in modo significativo il quadro di riferimento non solo perché, come dice l’Istat, le persone che arrivano per questo motivo hanno caratteristiche peculiari rispetto agli altri migranti, ma anche perché danno luogo a percorsi di inserimenti sociale profondamente differenti. Chi si sposta per ricongiungimento ha una rete familiare ad attenderlo. Anche chi arriva per lavoro fa spesso riferimento a network amicali, familiari o di altro tipo che, oltre ad aiutarlo nella collocazione lavorativa e abitativa, ne favoriscono l’introduzione nella vita sociale del paese di accoglienza nel periodo immediatamente successivo all’arrivo. Completamente diverso è il percorso di chi fugge da paesi in guerra o da persecuzioni. Non solo spesso non c’è un vero e proprio progetto migratorio, ma talvolta la meta ambita non è – o quantomeno non era – l’Italia, ma un altro paese. Le persone in cerca di protezione arrivano solitamente senza poter contare su una rete familiare o amicale. Il loro inserimento, anche temporaneo, nel paese risulta più complesso e conseguentemente divengono più probabili i percorsi di marginalità. Le politiche di accoglienza decentrata stanno dando i loro frutti alleggerendo, almeno in parte, le regioni coinvolte dagli sbarchi. Tuttavia il sistema di prima accoglienza dovrà essere rapidamente adeguato in tutta Italia per consentire la gestione di flussi che non sembrano destinati a diminuire nel breve periodo. L’Italia si trova oggi a fronteggiare una presenza immigrata che probabilmente è più complessa ed articolata di quanto non lo sia stata in passato, in cui assumono grande rilevanza situazioni diametralmente opposte. Da una parte va gestita l’integrazione di un numero elevato di persone ormai radicate sul territorio, come dimostrato dalla quota ampia di permessi di lungo periodo, dal flusso ininterrotto dei ricongiungimenti familiari e dalle cifre crescenti delle acquisizioni di cittadinanza. Quest’ultimo aspetto costituisce un segnale senza dubbio importante anche in considerazione del fatto che sono sempre più numerosi coloro che diventano italiani per residenza, procedimento che per i non comunitari richiede almeno 10 anni di iscrizione ininterrotta in anagrafe D’altra parte il nostro paese più che in passato deve fronteggiare l’emergenza dei nuovi arrivi, sempre più speso motivati dalla ricerca di protezione internazionale, e la prima accoglienza di richiedenti asilo e minori non accompagnati. Continuano, quindi, ad esserci due Italie: quella del Mezzogiorno che affronta quotidianamente l’emergenza degli sbarchi e quella del Centro–Nord in cui le più “antiche” comunità immigrate (marocchina e albanese) possono risultare in apparente diminuzione, non per via dei rimpatri ma per effetto dell’acquisizione della cittadinanza italiana.

In mezzo al Mediterraneo

Siamo sicuramente in una fase di mutamento dei modelli migratori in cui la presenza straniera è sempre più connessa a fattori di spinta dalle aree di origine, piuttosto che a fattori di attrazione da parte delle realtà di destinazione. Questo potrebbe portare – e se ne vedono gli effetti iniziali – a una presenza per i nuovi migranti meno radicata sul territorio italiano, non necessariamente destinata a stabilizzarsi. È evidente che la prospettiva con la quale per anni si sono studiate le migrazioni, quella prevalentemente economico-lavorativa, deve in parte lasciare il passo a nuovi approcci e paradigmi interpretativi che tengano conto della mutata situazione e della diversità dei percorsi possibili. È anche importante comprendere che le migrazioni sono sempre più fortemente influenzate dalle politiche internazionali fuori e dentro l’Europa, aspetti di cui si dovrebbe tenere adeguatamente conto. In particolare, appare evidente come l’Italia e la Grecia non possano continuare a lungo a svolgere la funzione di stati-cuscinetto con la sponda Sud del Mediterraneo, senza che la situazione diventi assolutamente insostenibile. Le difficoltà nell’applicazione dell’accordo di Dublino suggerirebbero di rivedere non solo gli approcci di studio, ma anche le normativa europea in materia di asilo.

Cinzia Conti, Salvatore Strozza

5/10/2016 Fonte: www.neodemos.info

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