ll governo delle destre, le forme di una possibile risorgenza fascista e l’antifascismo

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di Rita Scapinelli

Nella nuova fase apertasi con la vittoria della coalizione di destra alle elezioni politiche e all’indomani della nomina del nuovo governo presieduto da Giorgia Meloni, fra i molti interrogativi che sorgono spontanei, uno fra quelli più frequenti è il seguente: vi è un pericolo concreto che l’ideologia e la pratica fascista possano essere resuscitati? Non si tratta di una domanda peregrina: in Europa in diversi Paesi hanno trovato affermazione non solo schieramenti di destra, ma anche forze politiche dichiaratamente nostalgiche o espressamente fasciste. In taluni casi queste hanno infiltrato gli esecutivi. Il caso italiano in cosa si distingue da queste esperienze o in cosa al contrario è a esse assimilabile?

Preliminarmente è necessario inquadrare il caso italiano in un contesto più ampio, perché le dinamiche socio-politiche che hanno investito il nostro Paese non sono per nulla scisse dalle nuove tendenze che sono emerse a livello internazionale. Al fondo vi è la crisi dei processi di globalizzazione o meglio la crisi della pretesa occidentale di governare la globalizzazione. L’emergere negli Stati Uniti del fenomeno Trump è la reazione a una percezione d’insicurezza che attraversa il centro del sistema capitalistico mondiale di fronte al venir meno di un’egemonia pluriennale. L’estendersi di scelte protezionistiche, l’avvio di contese commerciali con la Cina, il disimpegno parziale sul fronte militare a favore di una maggiore conflittualità commerciale, che hanno caratterizzato la presidenza Trump, sono il riflesso di un ripiegamento difensivo, cui ha fatto pendant la recrudescenza interna di spinte nazionaliste, xenofobe, securitarie.

In Europa la crisi della globalizzazione a egemonia occidentale è stata per molti versi ancora più acuta essendo l’Europa un anello debole, stretta dalla dipendenza dalle materie prime, subordinata alle strategie militari della Nato, confinante con la Russia, prospicente all’area medio orientale e nord africana a sua volta attraversata da crisi di origine bellica e sociale e istituzionalmente debole, per un assetto istituzionale che ne impedisce non solo un’azione autonoma efficace sulla scena internazionale, ma che alimenta anziché superare le differenze fra gli stati che vi appartengono, in virtù di politiche di austerity che ne discriminano una parte. Da qui una reazione nazionalista motivata dalla difesa degli interessi di alcuni Paesi che si è tradotta anche in un revival di sovranismo e di orientamenti xenofobi. Va individuato a questo livello il proliferare di movimenti neo fascisti in diversi Paesi europei e l’affermazione, in alcuni di questi, di governi molto spostati a destra.

Questi fenomeni hanno trovato un brodo di coltura ideale nella fascia di Paesi più fragili, anche se non hanno lasciato completamente indenni quelli più strutturati e con una base economica più solida. L’Italia non fa eccezione. Il successo recente della destra ha un’origine lontana ed è il portato di un’insoddisfazione crescente dei settori economici più fragili di fonte alle mutate ragioni di scambio e alle politiche di austerità dell’Unione Europea, cui si sono affiancate spinte xenofobe come reazione alle immigrazioni proveniente da Paesi africani e medio-orientali. A ciò si aggiunge l’indebolimento del ruolo della socialdemocrazia europea, sempre più assorbita nella retorica del pensiero unico, sempre meno distinguibile dagli orientamenti conservatori. In Italia la parabola del PD segue questa involuzione della sinistra moderata europea e spiega almeno in parte la perdita di un consenso della base popolare, in preda a suggestioni corporative e lasciata senza prospettive che è traslocata a destra o – semplicemente – ha lasciato l’impegno politico e la partecipazione elettorale.

In questo quadro, il recentissimo successo elettorale di Fratelli d’Italia – prodottosi in un arco di tempo significativamente breve – è il risultato più che di un mutamento radicale di collocazione politica dell’elettorato, di una trasmigrazione del voto leghista In questo quadro, che si è prodotto nei tempi medio-lunghi, il recentissimo successo elettorale di Fratelli d’Italia – verificatosi in un arco di tempo significativamente breve – è il risultato più che di un mutamento radicale di collocazione politica dell’elettorato, di una trasmigrazione del voto leghista deluso. A proposito di ciò, non è vano riconoscere nella Lega il riferimento politico principale nel Paese della radicalizzazione a destra di strati sociali delusi (piccola e media borghesia in primis, ma anche settori del proletariato). Non è peregrino ribadire in questa sede la natura di “movimento reazionario di massa” che ha acquisito progressivamente la Lega, fino a giungere – con Salvini – al ruolo di massima espressione dell’estrema destra italiana. Il suo declino elettorale recente non è in alcun modo il risultato di una crisi di proposta politica, quanto della reazione al venir meno di una sua capacità d’incidenza politica. Un movimento radicale, nel momento in cui si deve piegare a logiche mediatorie in un governo di unità nazionale (come nel caso della partecipazione al governo Draghi) ben difficilmente conserva i suoi consensi. L’erede di tali consensi è stato, a tutti gli effetti, Fratelli d’Italia, partito che non si può dire abbia svolto un grande ruolo di opposizione al governo Draghi, ma che in virtù di una sua collocazione esterna al governo, giocando di rimessa sulle scelte dello stesso, ha finito con lo svolgere un’azione centripeta di assorbimento dei consensi. Il ruolo poi svolto dalla legge elettorale ha reso possibile la conquista della maggioranza parlamentare.

Un primo interrogativo sorge spontaneo a questo punto. Fino a che punto il ruolo di Fratelli d’Italia, come partito-guida della nuova coalizione di governo, determinerà una svolta nella tradizionale politica del centro-destra italiano? A questo interrogativo si può rispondere con una certa sicurezza. Il nuovo governo non è una prosecuzione meccanica delle precedenti esperienze a guida Berlusconi, esso segna una radicalizzazione a destra ed è per questo che gli osservatori lo riconoscono esplicitamente come “governo di destra”. E’ questo il risultato di una crescente egemonia (a destra) delle posizioni più oltranziste, di cui – come si è detto – il merito (o demerito) primo è attribuibile alla Lega. D’altronde, scorrendo i programmi delle tre forze che costituiscono la coalizione guidata da Giorgia Meloni, ciò che colpisce è la notevole similitudine degli obiettivi di governo. Il solo fatto che dominanti siano le posizioni oltranziste la dice lunga. Ciò vale per la richiesta di un prelievo fiscale non progressivo, il rifiuto sostanziale del reddito di cittadinanza, un atteggiamento paternalistico nei confronti del disagio sociale che simmetricamente celebra la centralità dell’autonomia dell’impresa, l’opzione xenofoba mascherata, la rimessa in discussione di diritti fondamentali delle donne e via dicendo.

Ma fino a che punto si può parlare di fascismo o di neo-fascismo? Dietro a tale interrogativo si cela, peraltro, la questione dell’effettiva revisione ideologica compiuta in questi anni dagli eredi del fascismo italiano, nel percorso che dal MSI ha condotto prima ad Alleanza Nazionale e, infine, a Fratelli d’Italia. Conviene allora affrontare il nodo delle forme del pensiero politico che oggi appaiono direttamente connesse al pensiero fascista, come si è venuto formando in Italia in questi decenni. In primis, credo vada sottolineato come una riproposizione sic et simpliciter dell’ideologia originaria del fascismo ai giorni d’oggi non abbia molto senso. Come giustamente è stato rimarcato fin dal dopoguerra, il fascismo nelle sue manifestazioni prima italiane, poi tedesche e infine in altri Paesi dell’Europa orientale ed occidentale, prima della seconda guerra mondiale, trae origine da una congiuntura storica difficilmente ripetibile: una prima guerra mondiale sanguinosa, un senso di frustrazione presente nei Paesi sconfitti – ma anche in alcuni Paesi che, pur se vincitori, ne furono molto provati – una piccola borghesia delusa e rancorosa. Un mix che spiega molto il carattere militare e violento della lotta politica, l’estrema accentuazione nazionalista, la rivalsa verso minoranze razziali considerate come concausa della crisi. Questi caratteri originali del fascismo non hanno oggi solide basi per riaffermarsi. L’Italia è inserita in un campo economico e militare molto strutturato, non esistono conflitti destabilizzanti in grado di determinare quelle dinamiche (né tanto meno il conflitto russo-ucraino può essere paragonabile alla prima guerra mondiale nella sua genesi e nei suoi effetti nei singoli Paesi), né vi è una pulsione razzista indirizzata prevalentemente verso il fronte interno (semmai essa è indirizzata verso il fronte esterno).

Sarebbe, tuttavia, un errore sottovalutare altri aspetti del fascismo, corollari della sua concezione originale, ma non per questo meno pericolosi. Vale qui la pena riprendere le suggestioni contenute in un recente libretto di Umberto Eco sugli archetipi del fascismo, i concetti che in qualche modo ne hanno travalicato la genesi storica, perché sempre presenti nel pensiero umano. Fra questi spiccano: il tradizionalismo e il rifiuto della modernità, la diffidenza verso il mondo della cultura, la paura della differenza, l’appello alle classi medie, l’ossessione del complotto, il disprezzo per i deboli, la diffidenza rispetto al processo decisionale democratico. Su questo la situazione appare molto meno tranquillizzante. Anche qui, naturalmente, l’analisi deve essere condotta con alcune avvertenze. Per esempio, se si assume come riferimento il programma elettorale di Fratelli d’Italia difficilmente vi si riscontrerà una traduzione lineare di questi concetti. In realtà il linguaggio è volutamente allusivo ed è evidente un tentativo di mascheramento. Semmai, più indicative sono le citazioni che sono desumibili dagli incontri internazionali della sua leader, dove il discorso – anche per compiacere gli ospiti – si fa più diretto e viene condotto senza troppe remore.

Ne sono un esempio significativo l’intervento di Giorgia Meloni in Spagna all’iniziativa di Vox, partito dell’estrema destra spagnola, o le ovazioni tributate dalla platea di Fratelli d’Italia al primo ministro ungherese Orban, nell’ambito del festival realizzato dalla organizzazione giovanile. I pilastri di questi interventi sono stati assai significativamente: l’appello alla tradizione giudaico-cristiana dell’Europa, concepita come rifiuto esplicito all’apertura a culture diverse, il conseguente contrasto a ogni forma d’immigrazione economica, la celebrazione dell’intangibilità della famiglia come nucleo della nazione rappresentata rigidamente dall’unione eterosessuale, un’idea di patria intesa come tutela di stili di vita consolidati, culture autoctone, lingua e codici di comportamento ormai definite, l’idiosincrasia per il mondo della cultura considerato ormai monopolizzato dalla sinistra, un’idea elitista incentrata sul merito come pura registrazione delle differenze sociali, l’insofferenza per il regime democratico rappresentativo a base parlamentare. Quel che è evidente è l’intima connessione fra gli archetipi del fascismo prima indicati e le manifestazioni ora richiamate.

È su questi terreni che peraltro l’estrema destra in Europa sta costruendo il suo consenso. Il pericolo di una riedizione del fascismo in chiave attualizzata è perciò presente e le assicurazioni date a tale riguardo dal nuovo governo non sono di per sé sufficienti. Peraltro, vale la pena notare che tali assicurazioni si basano sull’adesione al liberismo imperante. Ciò che rassicura le élite europee e nazionali è, infatti, rappresentato da alcune garanzie offerte da Giorgia Meloni in tema di: la scelta atlantica senza se e senza ma, l’adesione riconfermata all’Unione Europea, l’appoggio militare all’Ucraina, un disegno di politica economica che ponga al centro il primato dell’impresa e che renda minimo l’intervento dello stato. Su tali aspetti il nuovo governo dà ampie garanzie. Non solo, un’analisi più attenta costringerebbe a notare che spesso questa destra di governo va ormai ben oltre il liberismo e si spinge verso un iper-liberismo che tende a oltrepassarne i limiti. Si pensi al taglio del reddito di cittadinanza, alla flat tax, all’assenza di una credibile politica per il lavoro e i redditi in un periodo di crisi grave.

Che vi siano ragioni per essere preoccupati lo dimostra l’azione sul piano simbolico condotta nelle prime mosse del governo, a partire dalla rideterminazione del nome dei ministeri. Ciò potrebbe essere considerato un episodio di folclore, ma in realtà vi si coglie la individuazione di alcuni obiettivi centrali per il nuovo governo. Si pensi alla denominazione “ Ministero della famiglia, natalità e pari opportunità” o a quello dell’”Istruzione pubblica e merito” o ancora quello dell’”Agricoltura e sovranità alimentare”. Non si tratta di piccolezze. Esse ci dicono, da un lato, del tentativo di condurre una politica in difesa della famiglia tradizionale mettendo in discussione le conquiste più importanti del movimento delle donne, dall’altro, di un orizzonte sovranista che si può dispiegare in molte direzioni e, infine, di una concezione meritocratica del sapere. Che su questi temi il governo di destra produca un affondo irreparabile o che si mantenga prudente non è dato sapere, ma che ogni retorica tranquillizzante sia fuori luogo è ragionevole pensarlo.

Una delle ragioni per cui nonostante questi segnali l’opinione pubblica si mantiene sostanzialmente neutrale sul giudizio nei confronti del nuovo governo sta non solo in un apparato politico e dell’informazione che ha talmente introiettato lo stato di fatto come normalità, da non cogliere più le insidie esistenti sul piano democratico e sociale, ma anche in alcune peculiarità della situazione italiana. La prima degna di nota è che, a differenza di altri Paesi, non si è prodotta qui la formazione di una destra esplicitamente fascista. I gruppi dell’estrema destra sono, infatti, attraversati da una crisi, ma ciò è largamente dovuta all’occupazione di tutto lo spazio politico da una formazione come Fratelli d’Italia, che è riuscita nell’operazione proprio mantenendo un profilo basso istituzionalmente, mentre ammiccava alle manifestazioni neo-fasciste. E ciò nondimeno è di un qualche interesse notare come con l’avvento del nuovo governo si stiano moltiplicando nel Paese le iniziative di stampo revisionista, tese a rilegittimare la memoria fascista. Un fenomeno che andrebbe attentamente analizzato e seguito nel suo evolversi.

E’ evidente che di fronte a queste insidie, un antifascismo adeguato all’oggi richieda non solo un’attenzione scrupolosa ai segnali che verranno a livello sociale, ma anche alle mosse che caratterizzeranno l’azione di governo. Proprio per questo emerge in tutta la sua rilevanza il tema della difesa e dell’attuazione della Costituzione, come principale pilastro di un’aggiornata battaglia antifascista. Si è detto – giustamente – che la Costituzione rappresenta un vero e proprio manifesto antifascista e la ragione non sta solo nel fatto che la XII disposizione vieta la ricostruzione sotto qualsiasi forma del disciolto Partito Fascista, ma anche perchè l’insieme di valori che ne costituiscono la base si pongono in contrasto esplicito col pensiero fascista nella sua più ampia articolazione. Occorre quindi assumere la Costituzione come l’arma fondamentale per contrastare ogni possibile affermazione di principi che si pongano in una prospettiva conservatrice e reazionaria.

Non ha qui senso elencare i principi costituzionali perché sono ampiamente noti, anche se – va ribadito – che alla loro conoscenza non ha fatto seguito, fino ad ora, un impegno vero nel nostro Paese per attuarli e soprattutto per farli penetrare nelle coscienze collettive. Così come gli sbandamenti che ha subito il pensiero politico anche a sinistra ha reso evanescente il confine fra una prospettiva democratica e progressista e i tentativi di far prevalere una prospettiva conservatrice. Ne è un esempio emblematico la questione delle forme di governo. Qui davvero non possiamo dire che la destra non abbia una sua piattaforma chiara. Questa è incardinata sul presidenzialismo e sulla scelta abile e pericolosissima di un presidenzialismo che si connette a una disarticolazione istituzionale a livello locale: la nota questione dell’”autonomia differenziata”. Il presidenzialismo è ormai una bandiera della destra italiana e significativamente di Fratelli d’Italia. Di là dai sofismi, la sua rivendicazione non solo è conforme a una diffidenza per il regime parlamentare, ma allude anche all’idea di una iper-centralizzazione della decisione politica. Per questo non si deve abbassare la guardia: la difesa di un modello parlamentare e, anzi, l’ampliamento della partecipazione democratica costituiscono la prima trincea che occorre consolidare per respingere ogni avventura conservatrice.

Difendere ed attuare la Costituzione, questo è, prima di ogni cosa, praticare l’antifascismo.

Rita Scapinelli

Responsabile nazionale Antifascismo Rifondazione Comunista-SE

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