Lo sfruttamento del lavoro con il “sistema Dpd”

Siamo di fronte alla tragica ironia della nuova economia: i lavoratori che ci hanno salvato la vita durante la pandemia sono stati chiamati «essenziali» e sembravano (finalmente) riconosciuti per il loro contributo. I fattorini hanno consegnato miliardi di pacchi quando nessuno voleva uscire di casa. Ma i ringraziamenti simbolici rendono più amaro lo sfruttamento estremo degli stessi lavoratori. Nella logistica come nel lavoro di cura, i livelli di turnover sono altissimi: ciò è espressione di cattive condizioni lavorative e rende difficile la mobilitazione sindacale. Gli ostacoli all’organizzazione dei lavoratori vanno però oltre le classiche questioni di precarietà e vulnerabilità dei lavoratori e lavoratrici migranti. 

Durante il periodo natalizio 2021 sono stati licenziati 15 dipendenti di un subappaltatore della filiale svizzera di GeoPost/DpdGroup, grande multinazionale della logistica (11 miliardi di euro di reddito nel 2020). Il contratto è stato trasferito a un nuovo subappaltatore che ha riassunto tutti dipendenti tranne 4 autisti conosciuti per il loro impegno sindacale; un quinto è stato licenziato poco dopo dal nuovo subappaltatore perché ha rifiutato di iscriversi a un sindacato «accondiscendente». Di fronte all’accusa di licenziamento illegale, Dpd (Dynamic Parcel Distribution) ha sostenuto che sono i subappaltatori i datori di lavoro degli autisti. Questa risposta smaschera la vera natura del problema perché questi subappaltatori non hanno nessun margine di manovra nell’organizzazione della loro attività. E le condizioni di impiego degli autisti, coloro che durante il regime di confinamento hanno consegnato nelle nostre abitazioni ogni genere di prodotto svolgendo un’attività essenziale per il funzionamento della società, sono drammatiche. 

Liberalizzazione, profitti e precarietà

Bisogna partire dalla decisione di liberalizzare il mercato postale nel 1996 per contestualizzare la vertenza attuale con Dpd, una delle più importanti aziende presenti nel settore della logistica e principale concorrente della Posta svizzera. Le Ptt (Poste Telefoni e Telegrafi) erano un vero gioiellino del servizio pubblico elvetico. Quando il Governo propose la separazione delle Ptt in due aziende, le Telecom Ptt (ora Swisscom) e La Posta, la giustificò sostenendo che la liberalizzazione avrebbe permesso di aumentare l’efficienza e che la Posta svizzera avrebbe così potuto meglio affrontare la concorrenza delle imprese private. La decisione venne avallata dal Parlamento; il Partito socialista e l’Unione sindacale svizzera accettarono purtroppo la proposta e non lanciarono il referendum (In Svizzera se 50.000 cittadini firmano per un referendum contro un progetto di legge votato dal Parlamento si sottopone la decisione finale a una votazione popolare).

La liberalizzazione ha favorito la precarizzazione delle condizioni di impiego nella Posta ma soprattutto dei dipendenti dei gruppi privati che sono entrati sul mercato con dei salari più bassi. Il settore ha registrato una fortissima espansione con la pandemia; durante il primo lockdown del 2020, Dpd Svizzera ha consegnato in media 110.000 pacchi al giorno, con un aumento del 50% rispetto al 2019. L’impresa ha oggi 1.100 «collaboratori»; la scelta del termine è intenzionale, perché il trattamento dei lavoratori rinvia a condizioni ottocentesche. I «delivery experts» sono formalmente assunti da un’ottantina di aziende subappaltatrici. Questo sistema di impiego basato su degli intermediari consente all’azienda di sfuggire alle proprie responsabilità nei confronti dei dipendenti. Un sistema senza dubbio vantaggioso dal punto di vista dei profitti: GeoPost/DpdGroup, il gruppo di propietà dello stato francese che controlla Dpd Svizzera, ha registrato un profitto di 800 milioni di euro al livello mondiale nel 2020. 

Pochi dipendenti, proibito fermarsi

Il sindacato Unia, la principale organizzazione sindacale svizzera che conta poco meno di 200.000 affiliati, ha avviato nel 2020 una campagna per rivendicare i diritti e la dignità dei salariati di Dpd. Il più grande ostacolo è che, di regola, gli autisti che guidano i furgoni non sono dipendenti della Dpd stessa, che ha un rapporto contrattuale con circa 80 subappaltatori. Essi sono formalmente i datori di lavoro dei corrieri. La relazione tra Dpd e i subappaltatori è fortemente sbilanciata; il subappaltatore assume tutta la responsabilità per i rischi legati all’attività. Si pensi che qualora in una ditta subappaltatrice ci fosse uno sciopero, Dpd può scogliere senza preavviso il contratto. Le ditte vengono in genere costituite ad hoc per poter lavorare con Dpd; l’idea che siamo di fronte a degli imprenditori autonomi è una comoda illusione che nasconde la loro debolezza. Tale sistema è una manifestazione della ristrutturazione delle relazioni di lavoro che caratterizza l’economia digitale (ma non solo): 

L’idea che l’intermediazione operata da una piattaforma informatica tra i lavoratori e gli utenti dei loro servizi sarebbe il vivaio di una rinascita del lavoro autonomo è smentita dai fatti, come dimostra l’organizzazione […] degli autisti di Uber per ottenere il riconoscimento come dipendenti. […] diversi tribunali hanno riclassificato i contratti […] come contratti di lavoro dipendente. Di fronte a questi sviluppi, sarebbe opportuno fare della dipendenza economica (e non della dipendenza giuridica) il criterio per un contratto di lavoro, […]. L’adozione di questo criterio [consentirebbe] di indicizzare il grado di protezione del lavoratore a quello della sua dipendenza (Supiot, 2017).

Il lavoro di consegna avviene a ritmi frenetici, con almeno 120 consegne e ritiri al giorno; le giornate lavorative superano spesso le 12-13 ore di seguito, senza pause. Ci sono anche state infrazioni delle norme relative alla sicurezza sul lavoro, per esempio il fatto che gli autisti dovevano sollevare i pesi oltre il limite consentito (25kg) senza disporre degli equipaggiamenti meccanici. Questi abusi sono cessati dopo che Unia ha cominciato a radicarsi tra i lavoratori. I salari però rimangono indecorosi e non permettono di arrivare alla fine del mese. Gli autisti sono stati particolarmente colpiti dalla mancata retribuzione delle ore straordinarie e delle deduzioni salariali illegali, come ad esempio le trattenute per le multe o per le spese di riparazione dei furgoni che venivano addebitate agli autisti, ma anche degli abusi come il mancato pagamento dei contributi pensionistici. Sia i subappaltatori, sia gli autisti, sono di regola migranti. Pur essendo necessaria, la campagna di Unia ha quindi di fronte un’opposizione feroce da parte dell’impresa.

Giochi sporchi: la lotta per il riconoscimento del sindacato

Malgrado GeoPost/Dpdgroup abbia siglato un accordo internazionale sul riconoscimento dei diritti sindacali con Uni Global, la sua filiale non rispetta la libertà sindacale in Svizzera. Peggio, Dpd usa  la repressione e l’intimidazione nei confronti dei lavoratori che vogliono organizzarsi collettivamente. Come lo giustifica? Secondo l’impresa, i datori di lavoro sono i subappaltatori. È davvero così? Come abbiamo spiegato, essi sono in una situazione di dipendenza nei confronti di Dpd, senza nessun margine di manovra nell’organizzazione del lavoro. Allo stesso tempo, gli autisti sono alla guida di furgoni con l’insegna di Dpd, indossano la divisa Dpd, sono guidati nel loro percorso dall’algoritmo che gestisce Dpd e lavorano di fatto (cioè, dal punto di vista della dipendenza economica) per Dpd. Anche la clientela e la sua acquisizione sono gestiti unicamente da Dpd. Questo sistema di subappalto permette a Dpd di scaricare ogni responsabilità sui subappaltatori e sugli autisti e di risparmiare tanto rispetto al suo concorrente principale, la Posta Svizzera.

Muovendo da una regolare presenza nei diversi depositi Dpd in Svizzera, Unia ha potuto costruire un rapporto di fiducia con tanti lavoratori, con oltre 150 che hanno aderito al sindacato. È stato costituito il comitato nazionale respect@dpd formato dai militanti e dai rappresentanti sindacali dei diversi depositi. Si sono costituiti dei collettivi operai che discutono le strategie dell’intervento sindacale; 13 rivendicazioni sindacali sono state presentate all’azienda chiedendo l’apertura di negoziazioni per elaborare un contratto collettivo di lavoro. Tra queste citiamo: un salario minimo di 4.250 franchi mensili; l’introduzione della tredicesima mensilità; un orario di lavoro di 42.5 ore settimanali; la retribuzione di tutte le ore di lavoro; l’introduzione della responsabilità solidale che vincoli Dpd in caso di inadempienze contrattuali dei subappaltatori; il rispetto dei diritti sindacali. Malgrado oltre 300 collaboratori abbiano sottoscritto le rivendicazioni e conferito al sindacato e al comitato un mandato, Dpd ha rifiutato di avviare la discussione. 

In risposta sono state organizzate azioni collettive di protesta in diversi depositi e iniziative per aumentare la pressione nei confronti dell’azienda e per denunciare pubblicamente le condizioni di lavoro e la concorrenza sleale promossa da Dpd nel settore della logistica. Durante una manifestazione a Parigi, con il sostegno e la solidarietà delle organizzazioni sindacali francesi, questa situazione è stata denunciata davanti alla sede centrale del gruppo. È stata costituita grazie a Uni Global una rete internazionale di appoggio aprendo una discussione con GeoPost/Dpdgroup. Sono stati presentati atti parlamentari sia a livello federale che europeo dove 24 parlamentari dell’Unione europea hanno sottoscritto una lettera aperta. In Svizzera un centinaio di personalità attive a livello accademico e culturale hanno trasmesso una lettera aperta al Ceo di Dpd sostenendo le rivendicazioni degli operai. Anche i media hanno dato risalto alla campagna sindacale, con  decine di articoli sui principali quotidiani e dei reportage sulla televisione pubblica.

Gli abusi sono stati denunciati all’autorità di vigilanza del mercato postale (PostCom) come agli ispettorati del lavoro dei cantoni (la Svizzera è uno stato federalista composto da 26 cantoni) nei quali sono presenti i depositi. Queste autorità (fatta eccezione per l’ispettorato del lavoro ticinese) non hanno reagito e hanno permesso all’azienda di sviluppare il suo «sistema». Il sindacato è anche intervenuto nei confronti dei principali clienti di Dpd denunciando il fatto che si rendono complici di questo sistema. 

La campagna avviata malgrado «il muro» eretto da Dpd nei confronti di Unia che rifiuta di avviare negoziazioni ha comunque permesso di migliorare le condizioni di lavoro in una serie di depositi. La campagna ha evidenziato che anche in un settore che rappresenta probabilmente l’ultima frontiera della precarizzazione, è possibile avviare un processo collettivo per migliorare le condizioni di vita e di lavoro.

Il futuro del sindacalismo

L’intervento del sindacato offre interessanti spunti di riflessione. La campagna è stata accompagnata da un lavoro analitico reso possibile dalle testimonianze dei lavoratori ed è stata articolata a più livelli. Oltre a una costante presenza sui luoghi di lavoro, i militanti più attivi hanno svolto un ruolo decisivo nella costituzione del collettivo nazionale e di quelli regionali. Sono state sviluppate sinergie a livello internazionale con organizzazioni sindacali; è stata coinvolta l’opinione pubblica, sono stati contattati i maggiori clienti commerciali, e promossi degli interventi sul piano politico e istituzionale. Se un’organizzazione sindacale pone i lavoratori e le loro aspettative al centro della propria azione per organizzarli collettivamente e usa tutte le risorse (legali e simboliche) disponibili, si possono promuovere delle campagne offensive e rafforzare la solidarietà. Presupposto imprescindibile è la valorizzazione del ruolo dei militanti e la loro integrazione nella definizione delle strategie sindacali. Il fatto che i più attivi siano stati licenziati evidenzia che l’azienda abbia capito quanto sono importanti.

Dpd ha invece accolto certi sindacati; è parte integrante della strategia aziendale collaborare con sindacati accondiscendenti promuovendo la loro presenza in azienda. Quando Unia si vede rifiutare l’accesso ai depositi all’alba, ci sono altri sindacati che offrono caffè e brioches agli operai nel deposito sotto lo sguardo compiacente dei dirigenti. La strategia dell’impresa è di lavorare con sindacati non radicati tra i lavoratori per negoziare contratti collettivi. Essi sono funzionali al mantenimento di condizioni lavorative deboli e all’esclusione dei lavoratori più militanti e delle loro organizzazioni. 

Qui si gioca una lotta per il futuro del sindacalismo: organizzare i lavoratori o discutere a loro nome con le imprese? Per salvaguardare una forma democratica e militante di sindacalismo, è cruciale rafforzare la legislazione contro i licenziamenti abusivi per proteggere meglio i delegati sindacali. Alla radice di tutto si trova il riconoscimento di Dpd come datore di lavoro 

Il caso Dpd in Svizzera è un esempio tra tanti delle strategie che mirano a separare la dipendenza legale della dipendenza economica, con l’uso sistematico di catene di subappalto per limitare i diritti sociali e sindacali. Davanti a tale attacco coordinato, è essenziale che i lavoratori e i sindacati sviluppino la solidarietà internazionale per appoggiare le lotte concrete. La crescita esponenziale del commercio online modifica radicalmente le logiche produttive e le relazioni di lavoro; il sindacato deve uscire da un approccio strettamente settoriale per costruire dei legami tra il settore del commercio e la logistica, che fanno parte della stessa catena di valore.

Per chiedere a Dpd Svizzera di reintegrare subito i cinque sindacalisti licenziati clicca qui.

Enrico Borelli è sindacalista con Unia in Svizzera. È co-responsabile del settore delle cure e ha coordinato la campagna Dpd in Ticino. Nicolas Pons-Vignon è Professore al Centro di competenze Lavoro, Welfare e Società della Scuola Universitaria Professionale della Svizzera italiana (Supsi).

1/4/2022 https://jacobinitalia.it

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