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Altra Informazione, Blog, Comitati di Lotta, Cronache di Lavoro, Cronache Politiche, Cronache Sindacali, Cronache Sinistra Europea, Cronache Sociali, Culture, Editoria Libera, Politiche di Rifondazione, sicurezza lavoro, Storia e Lotte — Aprile 12, 2021 9:16 am

La normativa sui congedi parentali legati al Covid non prevede la possibilità per chi lavora da casa di prendere il congedo, significa ancora una volta non riconoscere lo smart working come un lavoro a tutti gli effetti. Facciamo chiarezza

Lo smart working non è un congedo

Pubblicato da franco.cilenti

Le misure eccezionali adottate per la gestione dell’emergenza sanitaria hanno visto il susseguirsi di decreti che disciplinano sia la possibilità per i lavoratori e le lavoratrici dipendenti di ricorrere in modo esteso al cosiddetto smart working (in deroga alla necessità di sottoscrivere specifici accordi aziendali di secondo livello) sia la possibilità di accedere a congedi parentali straordinari, per durata e per copertura del rimborso.

Il decreto Legge n.30 del 13 marzo 2021 stabilisce che un lavoratore/trice dipendente, genitore di figlio/a convivente minore di sedici anni, alternativamente all’altro genitore, ha diritto a svolgere la prestazione di lavoro in modalità agile per un periodo corrispondente in tutto o in parte alla durata della sospensione dell’attività didattica in presenza del figlio/a, alla durata dell’infezione da Covid19 del figlio, nonché alla durata della quarantena del figlio/a disposta dal Dipartimento di prevenzione dell’azienda sanitaria locale (Asl) territorialmente competente a seguito di contatto, ovunque esso sia avvenuto.

Il comma 2 dello stesso decreto prevede invece che, nel caso in cui la prestazione lavorativa non sia svolgibile in modalità agile, il genitore lavoratore dipendente di figlio convivente minore di quattordici anni, sempre alternativamente all’altro genitore, possa astenersi dal lavoro per un periodo corrispondente in tutto o in parte alla durata della sospensione dell’attività didattica in presenza del figlio, alla durata dell’infezione da Covid19 del figlio, nonché alla durata della quarantena del figlio.

Lo stesso beneficio è riconosciuto anche ai genitori di figli con disabilità in situazione di gravità accertata ai sensi della legge 104/92, iscritti a scuole di ogni ordine e grado per le quali sia stata disposta la sospensione dell’attività didattica in presenza o ospitati in centri diurni a carattere assistenziale per i quali sia stata disposta la chiusura.  

Il nuovo congedo è indennizzato al 50% della retribuzione (invece che al 30% come il congedo parentale già previsto) e spetta ai genitori lavoratori dipendenti pubblici e privati, alternativamente tra loro (non negli stessi giorni), per figli conviventi minori di 14 anni.

Per i genitori di figli di età compresa tra i 14 e i 16 anni, è previsto il diritto di astenersi dal lavoro senza corresponsione di retribuzione o indennità, e senza contribuzione figurativa, per la cui fruizione deve essere presentata domanda ai soli datori di lavoro e non all’Inps. 

Leggendo il testo del decreto appare evidente che la possibilità di usufruire del congedo è presentata come un’alternativa alla possibilità di svolgere la propria prestazione lavorativa in modalità agile.

Il congedo è quindi negato a chi già lavora in modalità agile: genitori con figli molto piccoli (0-5) oppure in Didattica integrata digitale (Did), o ancora caregiver di minori con disabilità grave – tutti soggetti che molto raramente sono completamente autonomi e anzi richiedono un’attenzione costante. Insomma, chi ha la possibilità di “lavorare da casa” non ha diritto a richiedere il congedo.

Questa formulazione rende evidente come ci sia ancora molta confusione su cosa sia oggi il “lavoro agile” detto anche “smart working”.

Se nell’era pre-Covid fare smart working significava concordare con il proprio datore di lavoro/manager una pianificazione delle attività per obiettivi da raggiungere – negoziazione da cui derivava una flessibilità dei tempi e degli spazi di lavoro che poteva essere utile a conciliare esigenze di vita (attività di cura, ma anche hobby, sport, attività politica o volontariato) nell’era Covid fare smart working vuol dire lavorare da casa, in uno spaziotempo che è lo stesso delle responsabilità di cura.

Stessa casa, spesso stessa stanza, dove i figli più grandi fanno didattica a distanza, i più piccoli giocano, mangiano o si agitano richiedendo la dovuta attenzione, le persone non auto-sufficienti richiedono cure. Con i pranzi e le cene da preparare, la spesa, le pulizie e le call continue di madri e padri che si accavallano con le interrogazioni, i pianti, le crisi isteriche.

In queste condizioni saltano i confini flessibili ma possibili tra lavoro e non lavoro che lo smart working prima del Covid consentiva: avviene tutto contemporaneamente, senza soluzione di continuità tra spazio e tempo. 

Pensare quindi che i genitori che lavorano in smart working – ma siamo solo noi in Italia a chiamarlo così, negli altri paesi si parla di remote working, home working, distance working perché di smart, intelligente, rimane spesso davvero poco – non abbiano bisogno di congedi parentali quando le scuole sono chiuse significa non riconoscere lo stato reale delle cose, né il valore del lavoro che, nonostante tutto, è stato fatto da casa in questi mesi.

Significa non considerare lo smart working come un lavoro a tutti gli effetti, incompatibile con un contemporaneo carico di cura a tempo pieno come lo è una qualsiasi prestazione svolta in esterno.

Significa, ancora una volta, non riconoscere che il lavoro di cura richiede energie, tempo, dedizione e che non può essere svolto in contemporanea con un altro lavoro, considerato prioritario solo perché retribuito.

Padri e madri vogliono ovviamente lavorare, preferibilmente a tempo pieno, solo che non possono farlo nello stesso tempo in cui si prendono cura dei propri figli.

E se è vero che la fatica di questo anno passato in “smart” ricade su padri e madri in misura direttamente proporzionale al numero e inversamente proporzionale all’età dei figli all’interno del nucleo familiare è anche vero che quanto più la famiglia è impostata secondo ruoli tradizionali e stereotipati tanto più sono le madri a essere in prima linea nella cura dei figli, nella gestione della casa e nella responsabilità dei loro successi o insuccessi scolastici. Donne che sono sempre più madri a tempo pieno, responsabili della casa a tempo pieno, maestre di sostegno a tempo pieno e lavoratrici a tempo pieno.

E senza la giratempo di quella stacanovista di Hermione.

Non sorprende quindi, che si cominci a parlare un po’ ovunque di burnout da smart working: un ritorno alla grande dell’esaurimento nervoso, quella malattia dai confini misteriosi ma dalle cause estremamente concrete che si manifesta con un senso di spossatezza costante, perdita di interesse per ciò che ci circonda, disturbi del sonno, malessere fisico e psichico. Un malessere spesso declinato al femminile (“è esaurita”) ma che interessa sempre più padri e madri e che è il segnale drammatico ed evidente di quanto le risorse energetiche, incluse le indefesse multi-tasking, non siano inesauribili.

Appare quindi necessario, oltre che urgente, rafforzare le cosiddette infrastrutture sociali e rendere i servizi di cura di qualità accessibili a tutti, ragionando su come si possa garantire sicurezza sanitaria e fruibilità del servizio anche quando la prevenzione richiede la chiusura delle scuole. Ma occorre anche promuovere i congedi parentali affinché siano utilizzati, da donne e da uomini, e considerati come un investimento sociale. I congedi sono fondamentali per tenere in vita quella stessa società che da un lato insiste nel lamentarsi per i bassi tassi di fecondità e dall’altro dimentica troppo spesso che per crescere un figlio ci vuole un villaggio, risorse, attenzioni ed energie di tutti, non solo delle madri.

I congedi Covid emergenziali andrebbero quindi potenziati non soltanto rendendoli accessibili anche per chi lavora in modalità agile ma estendendo la retribuzione collegata all’attivazione del congedo, per evitare che all’interno delle famiglie si arrivi alla scontata conclusione che si può rinunciare al 50% dello stipendio di importo inferiore (che nella stragrande maggioranza dei casi è quello delle donne) e che siano solo le madri ad utilizzarli.

E diventa sempre più urgente, come dicevamo già nei primi mesi della pandemia, progettare nuovi luoghi di lavoro, flessibili, agili, intelligenti ma comunque identificabili come luoghi distinti dagli spazi della vita personale che sebbene ormai irrimediabilmente condizionata dalla pandemia non può tradursi in un confinamento in connessione perenne.

Barbara De Micheli

8/4/2021 https://www.ingenere.it

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Tags: congedo da lavoro distance working home working lavoro agile lavoro digitale Pandemia remote working smartworking
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Autore: franco.cilenti

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