L’Occidente tra ferite narcisistiche e malesseri vari

In versione interattiva https://www.blog-lavoroesalute.org/lavoro-e-salute-ottobre-2022/

PDF http://www.lavoroesalute.org/

Sono ormai due anni e mezzo che ci troviamo in una fase particolare della nostra storia di Europei, o, in senso lato, di Occidentali. Una fase molto critica. Per dirla in termini semplici, ci stiamo trovando a vivere nel pieno di una grande umiliazione che è toccata alla civiltà occidentale. Ossia, alla civiltà del welfare, della superiorità tecnologica, della affermazione dei diritti umani, della democrazia. E di quanto tutto questo ha comportato nella percezione di essere “civiltà superiore” o, quanto meno, “più progredita”.

Soprattutto due eventi hanno prodotto questa grossa ferita narcisistica nel cuore della “identità occidentale”. La diffusione del covid 19, divenuta poi pandemia e la guerra in Ucraina. Il mio scopo non è quello di analizzare le cause che hanno provocato questi due drammatici eventi, troppe ce ne sono e anche complesse e articolate. Vorrei invece soffermarmi sulle conseguenze che essi hanno prodotto sulla salute, sia individuale che collettiva. E uso il termine “salute” non solo in senso fisico, ma anche in senso psicologico e relazionale. Mi chiedo quanto questi eventi abbiano influito sullo “star bene” delle persone, sia nella loro vita quotidiana, sia nel loro rapporto con gli altri.

Ma intanto faccio una premessa. Quando parlo della ferita narcisistica della civiltà occidentale, naturalmente non intendo minimamente negare o sottacere le evidenti contraddizioni all’interno di questa stessa “identità”: le disuguaglianze sociali, lo sfruttamento, la negazione dei diritti e altro. Che pure sono realtà in essa ben presenti. Ma che non scalfiscono la presunzione di chi crede e vuol far credere che viviamo “nel migliore dei mondi possibili”. Ma la prima smentita a questa troppo facile e ovvia non verità è stata data proprio dal piccolissimo essere che in breve tempo ha fatto scempio di questa presunzione. Eh, sì, troppo comodo e facile pensare che l’infezione da Covid fosse solo “un affare cinese”, che si potesse relegare nel dimenticatoio come altre epidemie, esempio l’Ebola, perché “affare di popolazioni poco sviluppate che non sanno che cosa è l’igiene”.
Eppure, a dispetto delle quintalate di amuchina sparse per ogni dove, per disinfettare il nostro già pulitissimo habitat, il piccolo virus ha fatto strage proprio nel mondo cosiddetto “sviluppato”. Non solo! Ma ha anche rivelato la tragica incapacità della scienza occidentale nel far fronte a questo strana e sconosciuta malattia.
Purtroppo la diffusione dei contagi ha creato una vasta fenomenologia di malesseri sotto varie forme e con diversi gradi di intensità sia a livello individuale che collettivo. E mi riferisco soprattutto al malessere da angoscia, quindi squisitamente psicologico, che, chi più chi meno, ci ha attanagliato tutti in quel periodo.

Intanto per il terrore di ammalarsi, di finire intubati, di perdere i propri cari e non rivederli mai più. Il lockdown successivo ha creato altri generi di malessere e di angosce. Se anziani, l’acuirsi del senso di solitudine e di abbandono, che poteva degenerare in depressione. Se più giovani, la sensazione di essere privati della libertà, della progettualità, della vita stessa. Nei casi estremi, si è avuto anche un incremento dei casi di suicidio, per quanto le ricerche a questo riguardo diano risultati discordanti. “La pandemia ha avuto un profondo impatto sulla salute mentale e sui tassi di suicidio nel mondo sin dal suo scoppio. I tassi di suicidio legati al COVID-19 hanno comunque seguito una tendenza non lineare durante la pandemia, diminuendo dopo l’epidemia di COVID-19, per poi aumentare durante un lungo periodo di follow-up”.(Dal Centro Regionale di Documentazione per la Promozione della Salute. Regione Lombardia).

Ma tutto questo ha anche influito sulla vita sociale e relazionale. Sia per la sofferenza di essere separati dai propri cari (figli lontani, genitori nelle RSA, coppie divise ecc.) sia anche per via delle convivenze forzate o troppo prolungate o già di per sé problematiche.
Anche qui le condizioni sociali hanno fatto la differenza. Chi poteva usufruire di alloggi di medie o di grandi dimensioni e di spazi esterni, ha potuto sostenere la prolungata chiusura con minore disagio. Non così chi era costretto a condividere spazi più esigui con altre persone, magari adolescenti e bambini, insofferenti e capricciosi.
Naturalmente, l’aumento delle frustrazioni vuoi per le restrizioni imposte, vuoi per la paura di contrarre il virus vuoi anche per le incombenti preoccupazioni economiche, dati i posti di lavoro a rischio, ha fatto aumentare anche gli impulsi aggressivi e le conflittualità, a volte con esiti tragici, se si pensa, ad esempio, all’aumento del numero di femminicidi.

Da una indagine sulla rilevazione dei dati relativi all’utenza dei Centri Antiviolenza si rileva che “sono più di 15 mila le donne che nel corso del 2020 hanno iniziato un percorso personalizzato di uscita dalla violenza nei Centri7 (CAV). Per il 19,9% (più di tremila) si è trattato di un intervento in emergenza, modalità in aumento nei mesi di marzo, aprile, maggio, quando si sono registrate le percentuali più alte di interventi in urgenza, rispettivamente pari a 21,6%, 22,9%, 21,2%”.
Il grande modello di welfare pertanto ha mostrato delle crepe pazzesche sulla gestione del malessere psicofisico che si andava diffondendo. Intanto, perché si è vista la necessità di una sanità pubblica che, se efficiente e adeguatamente attrezzata, avrebbe potuto far fronte al dilagare dei contagi con ben altri mezzi e quindi si è constatato come poco aiutasse in questi frangenti una sanità soprattutto privata e costosa. Anche perché la straordinaria diffusione del virus ha fatto mettere nell’angolino la presa in carico di altre patologie di non minore gravità, con un significativo aumento della mortalità generale. Ma soprattutto perché si è costatata l’assoluta insufficienza di mezzi e di risorse, anche umane, per far fronte a un diffuso e preoccupante rischio di psicosi di massa. Che anzi, invece di venire in qualche modo attenuata e curata, sembrava venire stimolata e ingigantita da una informazione ossessiva e pervasiva, nonché estremamente contraddittoria e cruda nell’esibizionismo di immagini ansiogene. Ma si sa, in una civiltà dell’immagine tutto ciò che sollecita emozioni forti, ancorché angoscianti, è considerato scoop.

Naturalmente, la via d’uscita è sembrata di lì a poco quella del vaccino ma anche quando l’ipotesi è diventata realizzabile ha dato il via a un’altra drastica e irriducibile opposizione: quella tra i cosiddetti novax e coloro che non consideravano mai sufficienti le misure di prevenzione vaccinale, con una prima, una seconda e poi una terza dose (adesso siamo alla quarta) e infine l’obbligo del “green pass”. Questa divisione drastica, da Guelfi e Ghibellini, sulle cui ragioni degli uni e degli altri non starò a discutere, ha avuto però il risultato di avvelenare ulteriormente i rapporti tra conoscenti, tra amici, tra gli stessi familiari. E ha ingenerato altro malessere con contrapposizioni ideologiche (o supposte tali) tra chi vedeva ovunque complotti e “dittature sanitarie” e chi non riteneva mai sufficienti e mai sufficientemente repressive le misure di controllo dei comportamenti “a rischio”. Ovviamente, con un po’ più di logica e di buon senso, si potevano cercare di capire le ragioni degli uni e degli altri e cercare un possibile equilibrio, ma, data la materia del contendere, probabilmente in quel contesto era pressoché impossibile. Tra l’altro, la questione dei vaccini ne apriva un’altra forse ben più gravosa e impellente rispetto alla nostra supposta “privazione di libertà” o “troppo lassismo nei controlli”. E’ che, mentre noi, popolazioni occidentali in grado di pagare le multinazionali del farmaco, eravamo già arrivati alla terza dose di vaccino, intere popolazioni i cui governi non potevano permettersene l’acquisto ne erano completamente private. A questo proposito, mi ha fatto molto riflettere la frase di un mio amico africano che su facebook, in tempo di covid, chiedeva informazioni sulla mia salute. Gli ho risposto che stavo bene ma che avevamo il problema del covid e quindi mi informavo della sua salute. Mi ha risposto: “Rita, io ho avuto la malaria e per fortuna sono guarito. Purtroppo da noi molti muoiono di malaria”.
Eppure, per la malaria esistono le cure!

Quindi forse i problemi (e le soluzioni) sono da spostare su altri piani di ricerca. Innanzitutto, in caso di paure collettive dovute a patologie sconosciute, oltre ad avere un sistema sanitario pubblico che funzioni adeguatamente, occorre saper predisporre anche misure adeguate per fronteggiare i disturbi psicologici delle persone, soprattutto dei più giovani. Inoltre, cercare di attuare in maniera più razionale ed efficace una sinergia utile tra misure di prevenzione e procedure terapeutiche, senza che le prime neghino le seconde o viceversa. Ma poi bisognerebbe seriamente indagare, oltre che sugli effetti, anche sulle cause che hanno causato la proliferazione del virus e la diffusione del contagio. Magari, chissà, queste cause hanno a che vedere proprio con il modello di sviluppo cui siamo
tanto affezionati, con la manipolazione delle condizioni ambientali, con il trattamento degli animali negli allevamenti intensivi…Ma questo vorrebbe dire toccare interessi attorno a cui gravitano milioni di quattrini. Infine, una volta scoperti o sperimentati una cura o un vaccino efficaci, renderli usufruibili dalla popolazione dell’intero globo terrestre che ne avesse bisogno. Ma forse anche questo significherebbe, ad esempio, rinunciare ai brevetti e alla resa in soldoni delle possibili soluzioni. Cioè, significherebbe uscire fuori dalla logica di un sistema capitalistico neoliberista.

L’altro terribile evento che ha inferto dei colpi non da poco al supponente orgoglio dell’Occidente o, se non altro, dell’Europa, è stato lo scoppio della guerra in Ucraina dovuto alla “operazione speciale” militare voluta da Putin.

Anche questo evento ha provocato un profondo malessere in tutti noi e per diversi motivi.
Ma perché, dopotutto? In fondo, di guerre nel mondo ce ne sono tantissime, da sempre, guerre in cui abbiamo mandato perfino dei nostri contingenti militari, definendole “operazioni dei pace”, abbiamo perfino creato il terribile ossimoro di “guerra umanitaria”, pur di giustificare i nostri interventi! E allora? In realtà, la guerra in Ucraina ci ha coinvolti in modo molto più diretto perché l’abbiamo vissuta (almeno, per molti di noi è stato così) come la “nostra” guerra, in difesa della “nostra” patria. Questa forte identificazione è nata dal fatto che molti di noi credono – o sono stati indotti a credere – che i territori difesi dalla alleanza militare NATO sono i nostri territori. E’ vero che l’Ucraina non fa parte della NATO, ma quella era la sua intenzione (sua e della NATO stessa) e questo ha creato anche negli Occidentali favorevoli ad aiutare militarmente il governo di Zelenskij un forte sentimento di “appartenenza nazionalistica”.

Tralasciamo in questo contesto le cause reali di questa sciagurata operazione bellica, molti fini analisti se ne sono occupati in lungo e in largo, pro o contro la narrazione mainstream. Il fatto è che questa guerra, voluta da Putin ma preparata negli anni da altre vicende militari in Ucraina, ci è entrata in casa, ci ha ulteriormente divisi creando tra di noi fortissime contrapposizioni che spesso sono sfociate in reciproche scomuniche, se in qualche modo si cercava di non assoggettarsi alla narrazione ufficiale dei fatti e di non schierarsi senza se e senza ma. Naturalmente, la stessa cosa accadeva se ci si rifiutava di schierarsi aprioristicamente sull’altra narrazione assolutista, per quanto minoritaria, cioè che la Russia ha fatto bene a invadere l’Ucraina perché da lì sarebbe partita la palingenesi morale del mondo. Così mi è toccato personalmente perdere un po’ di “amici” dell’una e dell’altra parte, ma, essendo io una incaponita “pacifista”, non c’era verso di farmi ragionare. Per fortuna, ne ho acquistati altri, di amici dico, e il conto torna.

L’altro grande motivo di malessere collettivo che ha acuito questa sciagurata guerra è che, a causa delle imperversanti sanzioni contro la Russia, la quale ha tagliato i cordoni sulla vendita del gas, è l’Europa e in particolare l’Italia, già in difficoltà di per sé, a pagarne le pesanti conseguenze, in termini di rincaro dei costi della vita e per la perdita di posti di lavoro. Questo riguarda più direttamente la vita quotidiana dei ceti medio – bassi ed è una difficoltà ancora più insopportabile se si pensa che, contemporaneamente, per compiacere l’alleato americano, il nostro governo uscente (e altri europei) non si sono fatti scrupolo di aumentare, e anche di molto, il budget delle spese militari. Aggiungiamoci anche la imperversante e anche qui ossessiva propaganda sui mezzi d’informazione, con tutto il lugubre corteo di notizie su stragi, morti e distruzioni, non si sa mai bene fino in fondo compiute da chi a danno di chi. E ancora, un altro motivo di angoscia diffusa e sotterranea è la non tanto ormai velata minaccia di ricorrere ad armi atomiche, nel caso la situazione precipitasse. Il quadro è completo.

Ovviamente non si può fare nello spazio di questo articolo una analisi storica onesta e disinteressata dei fatti terribili che stanno accadendo e che tutti ci coinvolgono così intensamente da vicino. D’altronde, le cause storiche ci porterebbero molto lontani nel tempo. Tuttavia rimane il fatto che, a parer mio, questa guerra, anche in presenza di un problema covid non ancora del tutto superato e che non sappiamo ancora come evolverà, non solo aumenta a dismisura il livello della situazione angosciante e conflittuale, e quindi il malessere soggettivo e collettivo, ma rappresenta un ulteriore colpo di piccone alla supposta superiorità “civile” dell’occidente.

Per più motivi. Intanto sta aumentando la percezione, se non altro in Europa, di una fragilità insospettata, anche perché non si sono fatti bene i conti su una ormai inevitabile interdipendenza dal resto del mondo anche sulla distribuzione delle risorse e delle fonti energetiche. Per questo parlavo di un ulteriore colpo al supponente orgoglio europeo/occidentale. Ma poi forse non ci siamo ben resi conto, tutti, che proprio nel cuore dell’Europa si è aperta una tragica faglia che ormai spezza e divide la coesione del cosiddetto “mondo sviluppato” o, se non altro, della cosiddetta “civiltà cristiana”.

Non a caso, questa guerra ha sparigliato persino le tradizionali tendenze politiche all’interno del nostro Paese, riguardo alla presa di posizione nei confronti della guerra. Molti, dichiaratamente di destra, sono contrari all’invio di armi in Ucraina e quindi all’éscalation militare, perché hanno capito quali ne sarebbero i contraccolpi economici da pagare. Ma esiste anche tutta una parte di cattolicesimo più integralista, di destra, facente capo, per esempio, a Comunione e Liberazione, che vede come un pugno nell’occhio questo sostenere l’Ucraina contro la Russia. Costoro hanno ben capito, e di fatti paventano, il vulnus all’interno del mondo cristiano, che di fatto lo renderebbe più vulnerabile di fronte a un possibile attacco da parte di altri “nemici”, per esempio islamici, contro i quali non si potrebbe più fare “fronte comune”.

Invece, moltissimi simpatizzanti della sinistra, diciamo, “progressista”, appoggiano senza se e senza ma l’intervento bellico a favore dell’Ucraina, minimizzano il ruolo aggressivo della NATO e non prendono posizione o anche appoggiano apertamente l’aumento del budget delle spese militari. A questa logica, ovviamente, si oppongono sia la sinistra radicale che le organizzazioni pacifiste.

Purtroppo, il problema sta nei risorgenti e aggressivi nazionalismi, che sfociano in conflitti armati. Russia e Ucraina ci sono dentro fino al collo per ragioni storiche.
Ma è l’Occidente a essere in malafede perché, invece di cercare la via diplomatica per la risoluzione del conflitto, per ragioni di controllo geopolitico soffia sul fuoco. Anche in Italia purtroppo stiamo assistendo a questa per me mostruosa e nauseante regressione ai livelli di un militarismo nazionalista, con la costruzione di un “nemico” prefabbricato a prescindere. La messa al bando di tutte le manifestazioni che avessero a che fare con la cultura russa, compresa la sfilata dei gatti russi, ne è l’eloquente dimostrazione!

Come scrive Franco Berardi “L’Unione Europea nacque per uscire dall’ossessione nazionalista del ‘900, ma nei primi mesi del 2022 la NATO l’ha trasformata in una nazione. E ora l’Europa-Nazione va al battesimo di fuoco della guerra come ogni nazione che si rispetti”.
Però l’ossessione nazionalistica ha come inevitabile conseguenza un cortocircuito dei processi cognitivi, perché bisogna imparare a ragionare secondo i pretesti molto semplificati di chi le guerre le vuole e le fomenta. Mi auguravo che dopo la seconda guerra mondiale, l’esperienza del nazifascismo e i campi di concentramento, fossimo diventati più critici sia come intellettuali che come popolo pensante. Ahimè, in questo periodo, con mia grande costernazione, devo ammettere che non è così scontato.

Rita Clemente

Scrittrice.
Collaboratrice redazionale di Lavoro e Salute

In versione interattiva https://www.blog-lavoroesalute.org/lavoro-e-salute-ottobre-2022/

PDF http://www.lavoroesalute.org/

0 commenti

Lascia un Commento

Vuoi partecipare alla discussione?
Sentitevi liberi di contribuire!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *