L’odio democratico verso Sanders

Nel periodo in cui Donald Trump, con l’immancabile supporto di Fox News, ha indirizzato i suoi ultimi attacchi razzisti prima alle quattro neo-deputate di colore della cosiddetta «Squad», suscitando lo sdegno del mondo intero, e poi al deputato afroamericano Elijah Cummings, definendo il suo distretto di Baltimora, prevalentemente a popolazione nera, come «un disgustoso  casino infestato da ratti e roditori», anche la propaganda democratica anti-Sanders non si è fatta mancare la sua dose di odio.

Della accanita ostilità dell’informazione mainstream verso Bernie Sanders ho già scritto su Jacobin Italia, tentando di decostruire alcune strategie di quella propaganda, che oscilla tra lo spacciare le proposte politiche di Sanders come economicamente insostenibili e deleterie per le tasse e le tasche dell’americano medio, e il farlo passare o come un bolscevico che mira alla trasformazione degli Stati Uniti in una specie di dittatura stalinista o, cosa forse ancora più ignobile, come il paladino di uomini bianchi giovani e sessisti, i cosiddetti «berniebros» inventati dalla campagna Clinton.

Il clou di quell’analisi culminava in un attacco dell’analista politica della Cnn Nia Malika Henderson, che aveva focalizzato la sua attenzione esclusivamente sui «berniebros» e sul disinteresse di Bernie verso le donne e la comunità afroamericana. Sebbene non supportate da alcun dato di realtà, le sue affermazioni, che Henderson sapeva non sarebbero state contestate da nessuno dei colleghi in onda, traevano ulteriore efficacia e credibilità dal fatto di essere pronunciate da una donna afroamericana.

I tentativi di spaccare i progressisti puntando sull’antagonismo Sanders-Warren

Della propaganda anti-Sanders delle reti di informazione mainstream ci si potrebbero riempire volumi, tuttavia un picco particolarmente significativo è andato in onda una decina di giorni fa nel programma Up with David Gura della Msnbc, la rete che che più di ogni altra si professa «liberal» e «democratica». Ospiti di Gura erano il giornalista John Harwood, del quale nel 2016 Wikileaks aveva rivelato poco deontologiche email scambiate con il presidente della campagna di Hillary John Podesta; l’analista legale della rete Mimi Rocah, bianca, ex-procuratrice federale del Southern District di New York (quello di Wall Street e delle banche) e la commentatrice politica Zerlina Maxwell, nera, ex-collaboratrice di Hillary nella campagna 2016.

L’argomento di discussione del pannello, costruito come sempre con personaggi esteriormente variegati ma della stessa opinione, riguardava le differenze e le analogie tra Bernie Sanders ed Elizabeth Warren, un tema interessante e di notevole importanza se trattato con serietà, per esempio confrontando nello specifico almeno alcuni punti delle due piattaforme, ma che è stato invece buttato lì con commenti privi di sostanza e superficiali.

Soprattutto in previsione dei dibattiti presidenziali del 30 e 31 luglio, che per sorteggio avrebbero visto Sanders e Warren nella stessa serata, l’intento del programma era quello di sottolineare l’antagonismo tra i due concorrenti, in modo da spaccare la platea di quegli spettatori della rete che avessero preso, o potessero prendere, in considerazione l’idea di spostarsi a sinistra.  Cercare di mettere zizzania tra Liz e Bernie, propendendo per la prima che è strutturalmente meno drastica di Bernie nello smantellamento del sistema, è un gioco ormai frequente dei media mainstream, che sostengono e si avvantaggiano del neo-liberismo di centro-destra che, come afferma anche Noam Chomsky, da qualche decennio caratterizza il partito democratico. Il pericolo che anche tra i loro spettatori si ampli il numero dei possibili elettori di Sanders è infatti notevole, sia per la sua costante e infaticabile presenza tra la gente, sia per il formidabile apparato multietnico di grande professionalità che dirige la sua campagna, sia per il sostegno di moltissime reti di informazione indipendente e di youtuber di qualità e di più di un milione di volontari.

Il trionfo di Liz e Bernie nel dibattito del 30 luglio

Comunque chi sperava che Liz e Bernie cominciassero a farsi la guerra,  cosa che spianerebbe la strada al candidato pro-establishment destinato a emergere tra gli altri, molto probabilmente Kamala Harris, ha dovuto buttare giù bocconi amari qualche notte fa. La complicità tra i due amici, che erano vicini di postazione e che in un momento cruciale si sono scambiati uno sguardo di intesa e di soddisfazione più eloquente che mai, era palpabile e concreta. Erano una squadra, e la loro sintonia, unita alla forza dei rispettivi interventi e ad alcune battute estemporanee e satiriche che entrambi hanno sferrato cogliendo l’attimo, li ha resi i trionfatori della serata. E ha fatto anche volare l’immaginazione su un ticket presidenziale con i loro nomi e con la candidata samohana Tulsi Gabbard, ex-soldato in Iraq e fervente antimilitarista, nella posizione di segretaria di stato.

La repulsione istintiva per Bernie Sanders diventa analisi politica

Lasciando da parte voli pindarici da destinare ad altri contesti, ritorniamo al programma della Msnbc. Come nel servizio della Cnn, è stata ancora una volta una donna, Mimi Rocah, a colpire basso, mentre la collega Zerlina Maxwell inquadrata accanto a lei continuava ad annuire col capo. Quanto ai due uomini, nemmeno una parola.

«Bernie Sanders mi fa accapponare la pelle e non so nemmeno darvi una spiegazione di che cosa si tratti esattamente, ma io lo vedo come una sorta di un… un… un candidato non a favore delle donne. E così avendoli lì tutti e due [Sanders e Warren]… io non capisco le donne giovani che lo sostengono e spero che vederlo accanto a lei aiuti a evidenziare questa cosa [“that”]».

A cosa si riferiva quel «that» che il confronto tra i due dovrebbe evidenziare? Che a Mimi Rocah si accappona la pelle solo a vedere Bernie Sanders senza neanche sapere perché? Che Bernie è un candidato «not pro-woman», quando esistono testimonianze di quarant’anni di attivismo a fianco delle femministe? A cominciare dal 1963 a Chicago, quando durante una manifestazione del Movimento dei Diritti Civili si è incatenato insieme a diverse madri afroamericane che chiedevano scuole migliori per i loro figli e si è fatto arrestare con loro. Oppure quando nel 1996 l’icona del femminismo Gloria Steinem lo ha proclamato «Honorary Woman» per le sue battaglie già allora pluridecennali. Oppure, come una sua vicina di casa di Burlington mi ha personalmente raccontato tre anni fa a Filadelfia nei giorni della Convention Democratica, quando ai tempi in cui era sindaco della cittadina del Vermont organizzava pullman di donne malate di cancro al seno diretti in Canada, per permettere loro di sottoporsi alle operazioni e alle terapie i cui costi erano impossibili da affrontare in patria. Cosa che ha peraltro fatto la settimana scorsa, quando ha accompagnato un pullman di diabetici a comprare l’insulina in Canada, dove i prezzi sono di almeno dieci volte inferiori che negli Stati Uniti, non risentendo degli stipendi dei lobbisti e delle tangenti che questi distribuiscono per corrompere i politici, tema ampiamente e incisivamente affrontato anche nel dibattito televisivo di martedì scorso dalla coppia Sanders-Warren.

Dopo quel programma di Msnbc, immediati due commenti di David Sirota, commentatore politico e senior adviser di Bernie:

«A quanto pare esprimere un odio personale per Bernie Sanders del tutto privo di spiegazioni e di sostanza è ora considerato una seria e legittima analisi politica su Msnbc […] Forse la cosa che fa effettivamente accapponare la pelle è il fatto che Mimi Roca in qualità di procuratore federale del Distretto Sud di New York non ha perseguito nessuno dei grossi dirigenti che erano coinvolti nella crisi finanziaria che ha distrutto milioni di vite».

Si potrebbe accusare Mimi Rocah, e con lei i suoi co-pannellisti per la condiscendenza dimostrata, di un atteggiamento perfino più abietto di quello di Trump, in quanto proveniente non dal «razzista bugiardo patologico», come lo definisce Bernie, ma da persone che si professano democratiche o, come nel caso di Zerlina Maxwell, addirittura progressiste.

Elisabetta Raimondi

Docente di inglese nella scuola pubblica. È attiva in ambito teatrale ed artistico ed è redattrice della rivista Vorrei.org per la quale segue da tre anni la Political Revolution di Bernie Sanders.

3/8/2019 https://jacobinitalia.it

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