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Commenti di Mauro Biani

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    Altra Informazione, Blog, Cronache di Lavoro, Cronache Politiche, Cronache Sindacali, Cronache Sociali, Politiche di Rifondazione — Ottobre 1, 2016 10:07 am

    Gli ultimi dati Istat confermano il fallimento ormai conclamato del Jobs Act rispetto alla creazione di nuova occupazione, in particolare per quel che riguarda i giovani. Su base annua, da agosto 2015 ad agosto 2016 gli occupati complessivi aumentano di 162mila ma la crescita è integralmente attribuibile alle persone con oltre 50 anni di età. L’aumento di 401mila occupati in questa fascia di età sta insieme alla diminuzione di 74mila occupati nella fascia tra 25 e 34 anni e di 164mila occupati nella fascia tra 35 e 49 anni. Nonostante la gigantesca quantità di risorse regalate alle imprese, i dati sono un disastro con i nuovi occupati che sembrano dipendere assai più dalla controriforma Fornero delle pensioni che dalle politiche del lavoro. Nel frattempo il Jobs Act ha abbassato micidialmente i diritti delle lavoratrici e dei lavoratori e incrementato solo la precarietà con i voucher, i contratti a termine senza causale e la cancellazione dell’articolo 18 che rende precaria anche l’occupazione “permanente” giacchè i nuovi assunti sono tutti licenziabili. La sua abrogazione è necessaria e sono di decisiva importanza i referendum sul lavoro promossi dalla Cgil. > Paolo Ferrero, segretario nazionale di Rifondazione Comunista – Sinistra Europea > Roberta Fantozzi, responsabile nazionale Lavoro PRC

    L’offensiva di Renzi contro i lavoratori e contro la Costituzione, due facce della stessa medaglia

    Pubblicato da franco.cilenti

     

    Assistiamo all’ennesima replica annuale della discussione politica sulla legge di stabilità 2017 con il governo, che chiede alla commissione europea maggiori margini di flessibilità sui vincoli monetari concordati per potere completare le riforme strutturali.

    Le riforme strutturali sono sempre le stesse, quelle dettate, nel 2011 dalla BCE (Banca Centrale Europea)

    Dopo la cancellazione dei diritti delle lavoratrici e dei lavoratori, la generalizzazione della precarietà come condizione di lavoro e di vita, la distruzione del sistema previdenziale, bisogna procedere con la riduzione del cuneo fiscale e la cancellazione e o l’irrilevanza del ruolo del CCNL (Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro).

    La ragione è molto semplice come testimonia la recente Legge francese sul lavoro dopo un duro conflitto sociale: il Contratto Nazionale è uno strumento di solidarietà e di miglioramento delle condizioni retributive e normative di tutti i lavoratori, ed in quanto tale, rappresenta un vincolo sociale incompatibile con la logica di mercato.

    Non si tratta di un concetto particolarmente moderno ma bensì, molto antico che accompagna la nascita del capitalismo.

    In questo consiste la ragione sociale della demolizione della nostra Costituzione fondata sul lavoro, perché la Costituzione materiale, praticata nel corso di questi ultimi decenni, ha come riferimento una Costituzione fondata sulla libertà di impresa.

    La cancellazione del cuore dello Statuto dei diritti delle lavoratrici e dei lavoratori con la libertà di licenziamento e le espulsione della FIOM dagli stabilimenti Fiat, hanno rappresentato praticamente e politicamente, questo passaggio fondamentale.

    Nella mia esperienza sindacale ricordo quando nel 2009, nel corso di un confronto sindacale con la Fiat (negoziato è un termine improprio) l’amministratore delegato del gruppo industriale, ci spiegò che non avevamo capito niente perché, con la globalizzazione era finito il conflitto tra interessi diversi, sostituito dal conflitto tra le imprese che dovevano funzionare, ognuna, come una comunità in guerra con le altre comunità su base locale e globale.

    Rimasi sorpreso dal termine “guerra” e chiesi se intendeva dire che i lavoratori Fiat dovevano ritenersi in guerra contro gli altri lavoratori di fabbriche automobilistiche.

    La risposta fu lapidaria “esatto“. Come dire una idea precisa del lavoro, della società e del mondo.

    Una guerra commerciale e monetaria a chi offre le condizioni migliori per favorire gli investimenti nel proprio paese, gli uni contro gli altri, in Europa e nel mondo.

    Questa a me pare la chiave di lettura anche della Legge di stabilità 2017, che ha l’obiettivo di completare la riforma strutturale della contrattazione.

    Uso il termine “completare” perché trattasi di un processo avviato da tempo con l’articolo 8 del governo Berlusconi sulla contrattazione aziendale, gli accordi separati, la negazione della democrazia e la Legge di stabilità del 2016 del governo Renzi.

    Mi riferisco in questo caso al Decreto emanato il 25 marzo 2016 e pubblicato sul sito istituzionale del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, il 16 maggio 2016.

    Il riferimento è la contrattazione aziendale e, la platea delle lavoratrici e dei lavoratori interessati, sono coloro che non superano il tetto dei 50.000 € anno.

    Il Decreto “prevede l’applicazione di una imposta sostitutiva dell’Irpef, delle addizionali regionali e comunali del 10% ai premi di risultato, di ammontare variabile, la cui corresponsione sia legata ad incrementi di produttività, redditività, qualità, efficienza ed innovazione, misurabili e verificabili sulla base dei criteri definiti dal Decreto” nonchè “alle somme erogate sotto forma di partecipazione agli utili dell’impresa”.

    L’imposta sostitutiva è applicata entro il limite di 2.000 € calcolabili al lordo con l’imposta del 10% e al netto degli oneri contributivi elevato a 2.500 € per le aziende che prevedono forme di coinvolgimento dei lavoratori nell’organizzazione del lavoro.

    Gli accordi aziendali inoltre, possono riconoscere la possibilità di erogare benefici (Welfare aziendale), in sostituzione del Premio di Risultato su richiesta del dipendente.

    In tal caso il Welfare aziendale è totalmente esente da tassazione e contributi previdenziali.

    Con la nuova Legge di stabilità del 2017, è data per acquisita la diminuzione della tassazione sui profitti delle imprese, passando dall’attuale 27,5% al 24% a partire dal 1 gennaio 2017, mentre la discussione è relativa alla dimensione dell’ampliamento dei criteri che ho prima richiamato.

    Elevare il tetto retributivo dei lavoratori interessati da 50.000 € a 70 o 80.000 € per comprendere, in questo modo, anche gli stipendi degli impiegati e dei quadri e elevare il limite dell’ammontare del Premio di Risultato da 2.500 € a 3.500/4.000 €.

    Ovviamente per chi non ne fosse a conoscenza, va rammentato che un aumento retributivo per i lavoratori e le lavoratrici ottenuto con il CCNL – Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro – è soggetto ad un’imposta Irpef e alle addizionali regionali e comunali che si aggirano sul 27%.

    Si potrebbe ironizzare sul fatto che “l’aumento uguale per tutti” si è trasformato “nell’aliquota uguale per tutti” nel Premio di Risultato.

    Esiste poi una modulistica predisposta dal Governo che le aziende devono compilare per indicare almeno due dei criteri che vengono elencati, per accedere alle agevolazioni fiscali.

    Il modulo sembra una schedina del totocalcio: va dal MOL (Margine Operativo Lordo) alla riduzione del tasso di assenteismo, passando casomai dalla diminuzione degli infortuni.

    Singolare la reazione delle Organizzazioni Sindacali Confederali, Cgil Cisl e Uil, che a fronte dell’ovvia considerazione che la contrattazione aziendale copre una parte minoritaria di lavoratori (20/30%), ed hanno siglato un accordo quadro con la Confindustria.

    Questo accordo prevede che nella realtà lavorative dove non esiste la Rappresentanza Sindacale Aziendale, saranno le imprese a definire il Premio di Risultato, in conformità con la Legge e “invieranno, anche con modalità informatiche una comunicazione scritta ai lavoratori“, e ancora, “le parti firmatarie del presente accordo costituiranno un Comitato (Territoriale), composto da un rappresentante di ciascuna Organizzazione Sindacale e imprenditoriale firmatarie che avrà il compito: a) valutare la compatibilità con il decreto……”

    Presumo che un sindacalista spiegherebbe che in questo modo si potranno contattare i lavoratori delle aziende non sindacalizzate.

    Come dire, invece che “dal basso in alto” procediamo “dall’alto in basso”, attraverso le nostre controparti.

    Intanto si costituiscono altri Enti Territoriali di controllo.

    Ma non c’è limite a questa deriva, basti pensare al recente rinnovo del Contratto Collettivo Nazionale separato tra Confimi (associazione imprenditoriale piccole e medie imprese metalmeccaniche) con Fim e Uilm firmato il 22 luglio 2016.

    In questo Contratto Nazionale di Lavoro separato, viene istituito un nuovo rapporto di lavoro a Tempo Determinato definito “contratto Socrate” per l’occupazione (OSC); il nuovo rapporto di lavoro prevede minimi retributivi per ogni livello di inquadramento inferiori a quelli degli altri lavoratori, mediamente di 200 € mensili.

    Di questo gentile regalo, possono usufruirne esclusivamente le aziende che applicano il Contratto Confimi, in cambio del fatto, che “è stabilito un contributo obbligatorio a carico del datore di lavoro di 80 € per ogni lavoratore assunto con il medesimo contratto“.

    Il contributo viene versato ad una Commissione Nazionale, composta dalle Organizzazioni firmatarie, che devono certificare ogni singolo “contratto Socrate).

    Si tolgono soldi ai lavoratori per versarne una parte alle Organizzazioni… Una vera e propria truffa.

    Politicamente parlando un atto delinquenziale.

     

    So bene che trattasi di una Associazione che rappresenta poche realtà, e che in quelle aziende FIM e UILM sono praticamente inesistenti, mentre la FIOM ha già denunciato l’accordo con le conseguenti iniziative di mobilitazione.

    Resta il fatto che anche questo rende l’idea delle possibile degenerazione nei patti tra Organizzazioni sulla pelle dei lavoratori.

    Infatti i lavoratori interessati non ne sanno nulla e non hanno mai votato la piattaforma ne tanto meno l’accordo.

    Tento di riassumere il quadro complessivo del nuovo assetto contrattuale che si configura.

    I vari governi, da Berlusconi a Renzi, sono intervenuti con atti legislativi sulla definizione di una nuova struttura contrattuale con l’articolo 8, che sancisce la possibilità di derogare a livello aziendale, praticamente in tutte le materie che ineriscono la condizione di lavoro, e successivamente, con il Jobs Act e le Leggi di stabilità, sul merito delle scelte rivendicative del sindacato, attraverso gli incentivi fiscali e contributivi.

    In sostanza, il Governo attraverso la Legge definisce anche cosa e come può essere esercitata una contrattazione, subalterna all’interesse dell’impresa, al punto tale che il Premio di Risultato deve essere per Legge totalmente variabile.

    La stessa operazione di utilizzo della detassazione e della decontribuzione, sta avvenendo sul versante dei diritti universali, dalla Previdenza alla Sanità, ma non voglio allargare ulteriormente lo scenario, perchè mi limito a soffermarmi al tema contrattuale.

    Ora il Governo minaccia, in assenza di un accordo tra le parti sociali sul sistema contrattuale, di procedere con la Legge. Quanta ipocrisia!

    Hanno già predisposto il tutto per cancellare e/o rendere poco significativo il ruolo del CCNL – Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro – dove un aumento retributivo è soggetto ad una imposizione Irpef addizionale regionale e comunale che equivale a tre volte quella del Premio di Risultato Aziendale.

    In questo scenario, la difesa del CCNL – Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro – e almeno del potere d’acquisto delle lavoratrici e dei lavoratori è importante, anche per tenere viva una speranza che guarda al futuro, perché a questo punto, anche questo non è scontato.

    Lo dimostra la proposta di Federmeccanica sul rinnovo del CCNL – Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro dei Metalmeccanici, che in realtà vuole sancire, anche formalmente la fine dello stesso Contratto Nazionale, laddove, non prevede più aumenti retributivi sui minimi contrattuali.

    Sorge spontanea una domanda che pongo in primo luogo a me stesso. Se questo è lo scenario, quale è il rapporto con la Costituzione che garantisce l’autonomia e la libera associazione sindacale?

    Questo rapporto non esiste, è stato rovesciato perché l’intero sistema sociale, deve essere reso funzionale ad un solo obiettivo assunto come interesse generale, quello dell’impresa e del mercato.

    In questo consiste la torsione autoritaria con la conseguente riduzione degli spazi di democrazia, poichè l’impianto Costituzionale non è più concepito come il confine democratico che sovrasta le Leggi ordinarie entro cui si esprimono e possono confliggere punti di vista diversi e alternativi sia a livello sociale sia a livello politico.

    Si spiega anche in questo modo il metodo utilizzato per cambiare la Costituzione come se fosse una Legge ordinaria.

    Fa una certa impressione ricordare il report della banca di affari J. P Morgan che nel 2014 denunciava la necessità di cambiare le Costituzioni antifasciste dei paesi del sud Europa, perché troppo influenzate da idee socialiste, e da cui deriva l’esigenza di rafforzare il ruolo degli esecutivi rispetto al Parlamento e superare le tutele Costituzionali dei diritti dei lavoratori.

    Se questa è la realtà molti si chiedono se esiste un futuro per le Organizzazioni Sindacali.

    Non è una domanda banale, perché le stesse ragioni fondative del Movimento Sindacale sono messe in discussione.

    È paradossale che ciò avvenga mentre dilaga la disuguaglianza sociale, crescono le aree di vera e propria povertà, si moltiplicano le forme di precarietà, fino ad arrivare ai Vaucher come forma di retribuzione oraria senza rapporto di lavoro.

    Allora il vero problema diventa quale sindacato per il futuro? Non uso il termine “rifondazione del sindacato” in quanto lascia aperta l’ambiguità di un ritorno al passato che non esiste, perché porsi oggi l’obiettivo di far vivere nel presente gli obiettivi della solidarietà e della giustizia sociale, richiede un cambiamento profondo e radicale nella stessa forma organizzativa.

    Per un Sindacato aziendalista, corporativo e funzionale al sistema, il piatto è già predisposto dal Governo e dalla Confindustria, e le burocrazie possono trovare comodo rifugio.

    Penso invece ad un Sindacato Confederale, autonomo, indipendente e democratico, espressione di un progetto di cambiamento della società.

    Un Sindacato Confederale e indipendente dai padroni, dai partiti e dai governi, non può che essere fondato su un proprio progetto di cambiamento della società, da cui derivano le proprie compatibilità nella stessa iniziativa rivendicativa.

    Un Sindacato democratico nella vita dell’Organizzazione, nella forma e nella modalità di elezione dei gruppi dirigenti e nel rapporto democratico con l’insieme dei lavoratori e delle lavoratrici.

    Da qui dovrebbe cominciare una vera discussione, senza ipocrisie ed infingimenti.

    Come disse Claudio Sabattini, concludendo nel 2001 la manifestazione nazionale della FIOM in piazza San Giovanni a Roma dopo il primo accordo separato dei metalmeccanici siglato tra Federmeccanica e Fim e Uilm, ” i lavoratori per affermare le proprie ragioni hanno solo due strumenti, il conflitto sociale e la democrazia”.

    Il conflitto sociale in questa fase, è depotenziato dalla crisi, dal ricatto occupazionale e dalla frantumazione del mondo del lavoro, la democrazia è stata negata.

    Tutto ciò nell’assoluto silenzio del mondo politico e della sinistra, come se fosse una questione di natura sindacale e non avere un significato generale.

    Adesso in presenza di rinnovi contrattuali nazionali importanti come quello dei metalmeccanici si ripropone la questione decisiva della democrazia.

    Avrebbe un grande significato, non solo l’esercizio di un voto referendario in presenza di un eventuale accordo, ma la definizione contrattuale come vincolo tra le parti sociali del voto certificato di tutti i lavoratori interessati come regola della validazione degli accordi.

    Ripartire dalla democrazia è condizione per qualsiasi ragionamento del futuro.

    Nei prossimi mesi avremo anche due scadenze elettorali importanti, il Referendum sullo stravolgimento della Costituzione e successivamente quelli abrogativi sulle questioni sociali promossi dalla Cgil.

    Riterrei importante una caratterizzazione della sinistra nella campagna referendaria per il NO alla Costituzione voluta da Renzi, con le tematiche relative al mondo del lavoro subordinato per la ovvia considerazione che la loro separazione ha già prodotto guasti profondi.

    Gianni Rinaldini

    Presidente Fondazione Claudio Sabattini

    fonte: dielle magazine

    Tags: beni comuni capitalismo cgil civiltà democrazia diritti disinformazione franco cilenti Gianni Rinaldini giornalismo indipendente governo jobs act lavoratori lavoro lavoroesalute libertà lotte sociali morti sul lavoro Paolo Ferrero politica antagonista PRC precarietà repressione lotte rifondazione comunista Roberta Fantozzi sicurezza sul lavoro sindacati stampa di potere stato sociale tagli economici tutele sociali welfare
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    Autore: franco.cilenti
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