LOTTA ALL’HIV

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PRIMO BOLLETTINO

Verso l’obiettivo 90-90-90
La 9° Conferenza Internazionale sull’HIV dell’International AIDS Society (IAS 2017) si è aperta a Parigi con un’ottima notizia: siamo sulla buona strada per raggiungere l’obiettivo 90-90-90 per la copertura del trattamento HIV entro il 2020. Oltre metà delle persone che vivono con l’HIV hanno oggi accesso alla terapia antiretrovirale (ART) e i decessi AIDS-correlati si sono dimezzati rispetto al 2005.

L’obiettivo 90-90-90 è stato lanciato da UNAIDS  nel 2014, con il proposito di arrivare entro il 2020 a:

  • diagnosticare il 90% delle infezioni da HIV;
  • far entrare in terapia il 90% delle persone con diagnosi di HIV;
  • ottenere l’abbattimento della carica virale nel 90% delle persone in terapia.

Raggiungendo tutti e tre questi obiettivi, i decessi AIDS-correlati diminuirebbero drasticamente, e calerebbe anche il tasso di nuove infezioni da HIV.
Alla Conferenza si è appreso che questo processo ha ormai raggiunto e superato il punto di svolta.
Nel 2016, il 70% delle persone con HIV era consapevole del proprio stato sierologico, il 77% era in cura con antiretrovirali e l’82% dei pazienti trattati avevano ottenuto la soppressione virale.

Molti paesi, come per esempio il Regno Unito, avevano già raggiunto l’obiettivo oppure erano a un passo dal farlo.
Notevoli erano anche i progressi che si registravano nelle regioni più duramente colpite dall’HIV.
Si tratta di risultati che stanno già incidendo in maniera rilevante sulla mortalità AIDS-correlata.
Nell’Africa orientale e meridionale, infatti, i decessi per AIDS sono diminuiti quasi di due terzi rispetto al 2004, ed è in calo anche il numero di nuove infezioni.

È nei paesi che hanno dimostrato più volontà politica e leadership che si sono registrati i progressi più notevoli verso il raggiungimento dell’obiettivo 90-90-90, è stato sottolineato alla Conferenza. Il cammino è invece ancora lungo per regioni come Europa orientale e Asia centrale, dove la percentuale delle persone che ricevono la terapia antiretrovirale è molto più bassa – solo il 63% delle persone con HIV era consapevole del proprio stato sierologico e soprattutto solo il 43% di queste era in trattamento, sebbene il 77% fosse riuscito a raggiungere l’abbattimento della carica virale.
Nell’Africa occidentale e centrale, di contro, solo poco più del 40% delle persone con HIV avevano ricevuto una diagnosi, ma di queste ben l’83% assumeva la ART, e circa i tre quarti avevano ottenuto la soppressione virale.
Un ruolo chiave nel raggiungimento di tali risultati è stato attribuito ai servizi sanitari territoriali attivi in questi paesi e al capillare lavoro degli operatori sociosanitari locali.

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Resoconto completo su aidsmap.com
Scarica il nuovo rapporto di UNAIDS

Dimezzato il tasso di nuove infezioni HIV in Swaziland
Uno studio condotto in Swaziland ha fornito evidenze convincenti a sostegno della tesi per cui l’aumento della percentuale di persone con HIV in soppressione virale completa condurrebbe a una diminuzione delle nuove infezioni
Alla Conferenza si è infatti appreso che dal 2011 il numero di nuove infezioni da HIV nel paese si è dimezzato e che nello stesso lasso di tempo la percentuale di persone con soppressione virale completa è invece raddoppiata.

Mentre è ormai assodata l’efficacia degli antiretrovirali nell’impedire la trasmissione dell’HIV a livello individuale o di coppia, mancano ancora certezze in merito all’impatto che una più ampia adesione al trattamento può avere sulla trasmissione del virus a livello di popolazione. Già in passato sono stati condotti studi in Africa meridionale  che evidenziavano una correlazione tra aumento della copertura terapeutica e calo dell’incidenza HIV.
Quest’ultimo – uno studio di popolazione condotto nel ‘mondo reale’ – mostra che, se aumenta il numero di persone in terapia antiretrovirale con carica virale non rilevabile, l’impatto sulla trasmissione dell’HIV è effettivamente notevole.

Nel 2011 è stata condotta un’indagine porta-a-porta a livello nazionale da cui è emerso che il 24% degli uomini e il 39% delle donne avevano un’infezione da HIV; e che, di questi, l’1,8% degli uomini e il 3,16% delle donne avevano contratto il virus nei 120 giorni precedenti. Al momento dell’indagine, la percentuale di persone con carica virale non rilevabile si attestava sul 35%.

L’indagine è stata ripetuta nel 2016-17. Rispetto alla volta precedente, la prevalenza HIV risultava invariata. Tuttavia si è registrato un sensibile calo del tasso di nuove infezioni, diminuito del 53% negli uomini e del 38% nelle donne. Complessivamente, l’incidenza era calata del 44%.
Parallelamente, la percentuale di persone con HIV che avevano raggiunto l’abbattimento della carica virale nello stesso lasso di tempo risultava invece raddoppiato, dal 35 al 71%.
Il messaggio che se ne trae è che la terapia come prevenzione  funziona. Lo studio “mostra che i nostri sforzi possono essere ripagati, e rappresenta un proof of concept”, ha commentato la prof.ssa Linda Gail-Bekker, presidentessa dell’International AIDS Society.

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Abstract dello studio sul sito ufficiale della Conferenza 

Nuove linee guida OMS per le diagnosi tardive
L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha pubblicato una nuova serie di linee guida per cure e trattamento degli individui con infezione avanzata da HIV  – tra cui quelli che presentano conte dei CD4 inferiori a 200 oppure gravi patologie o sintomi HIV-correlati (stadi OMS 3-4).
Chi riceve la diagnosi di HIV con una conta dei CD4 molto bassa è a rischio elevato di progressione della malattia o di morte e necessita urgentemente del trattamento, mentre per chi ha già in corso un’infezione opportunistica, come per esempio la tubercolosi (TBC o TB), il rischio resta alto anche quando viene immediatamente iniziata la terapia antiretrovirale. Nonostante la percentuale di persone con diagnosi tardiva sia calata negli ultimi anni, essa resta ancora alta a livelli inaccettabili.

Le nuove linee guida toccano temi come diagnosi, prevenzione e trattamento di infezioni gravi associate all’infezione avanzata da HIV.

Diagnosi

• Test della conta dei linfociti CD4 – utile per individuare i soggetti a elevato rischio di infezioni e di progressione della malattia;
• screening per la TBC – la tubercolosi è infatti una delle principali cause di morte nei pazienti con diagnosi tardiva;
• Test dell’antigene criptococcico per gli individui con conta CD4 inferiore a 100.

Prevenzione

• Trattamento di prevenzione della TBC – terapia profilattica con isoniazide  per chiunque non presenti un’infezione tubercolare attiva;
• Trattamento di prevenzione della criptococcosi – terapia profilattica con fluconazolo per chiunque presenti una conta dei CD4 inferiore a 100 e risulti positivo al test dell’antigene criptococcico;
• Trattamento di prevenzione di infezioni batteriche, toxoplasmosi e malaria – terapia profilattica con cotrimossazolo per chiunque abbia in corso una malattia HIV-correlata, presenti una conta dei CD4 inferiore a 350, o risieda in zone colpite dalla malaria.

Trattamento HIV

• Inizio immediato della terapia antiretrovirale, ad eccezione dei casi in cui a) si osservano sintomi che fanno sospettare un’infezione tubercolare o una meningite criptococcica; b) il paziente assume la terapia antitubercolare: se presenta una conta dei CD4 inferiore a 50, inizierà la terapia antiretrovirale entro due settimane dall’inizio di quella antitubercolare; se invece la conta linfocitaria è più elevata, la inizierà entro otto settimane.

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Scarica le nuove linee guida OMS 

Salute sessuale e PrEP
Potrebbe esserci il regolare screening per HIV e altre infezioni sessualmente trasmesse (IST) a cui hanno accesso le persone che assumono la PrEP (profilassi pre-esposizione) dietro il calo a sorpresa nelle nuove infezioni da gonorrea in un gruppo di maschi gay di Londra .
I medici della 56 Dean Street, la più grande clinica per la salute sessuale nel Regno Unito, hanno riferito alla Conferenza di aver registrato l’anno scorso un calo del 25% circa nei nuovi casi di gonorrea  tra gli uomini gay che si rivolgono alla loro struttura.
Le ragioni precise non sono chiare, ma la prof.ssa Sheena McCormack suggerisce che potrebbe essere proprio perché chi assume la PrEP si sottopone regolarmente allo screening per la salute sessuale, il che consente di individuare eventuali infezioni asintomatiche e interrompere così la catena del contagio.
E non si tratta dell’unica buona notizia in tema di PrEP presentata alla Conferenza: un’ulteriore dimostrazione della sua efficacia viene infatti dai risultati di uno studio dimostrativo sulla PrEP in corso in Australia , ad oggi condotto in cinque stati su un totale di 5500 partecipanti.
I tassi di IST sono risultati stabili, ma le nuove diagnosi di HIV sono già diminuite del 29%; inoltre si è registrato un calo del 43% delle diagnosi di infezione da HIV molto precoce.
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Resoconto completo su aidsmap.com 
Ulteriori informazioni su questa sessione sul sito ufficiale della Conferenza

Antiretrovirali ad azione prolungata
Gli odierni antiretrovirali sono estremamente efficaci se assunti come da prescrizione, ma nella quotidianità questo può non essere sempre facile: ecco allora che le formulazioni iniettabili ad azione prolungata possono rappresentare una valida alternativa.
Alla Conferenza sono stati riferiti gli ultimi risultati di uno studio clinico volto a testare l’efficacia del trattamento con questo tipo di farmaci 

Lo studio ha preso in considerazione due antiretrovirali iniettabili ad azione prolungata, cabotegravir e rilpivirina, somministrati una volta ogni 4 o 8 settimane. Dai risultati è emerso che circa il 90% dei partecipanti che già presentavano una carica virale non rilevabile al momento dell’inizio del trattamento sono riusciti a mantenere la soppressione virale per oltre due anni.
Sono attualmente allo studio formulazioni in nano-sospensione dei due farmaci, da somministrare con iniezioni intramuscolari nei glutei. Al momento le iniezioni devono essere eseguite da un operatore sanitario, ma in futuro potrebbe essere possibile anche l’autosomministrazione, ha spiegato il dott. Eron durante la sua presentazione.
Quasi tutti i partecipanti hanno riferito reazioni al sito di iniezione, ma tutte generalmente lievi o moderate e comunque temporanee, della durata massima di tre giorni. Soltanto due partecipanti (meno dell’1%) ha interrotto il trattamento per questo motivo. Malgrado la frequenza con cui si sono verificate tali reazioni, i partecipanti allo studio si sono detti molto soddisfatti di questa terapia ad azione prolungata e hanno manifestato l’intenzione di proseguirla.

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Resoconto completo su aidsmap.com
Abstract dello studio sul sito ufficiale della Conferenza

25/7/2017 www.lila.it

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