Lotte di scopo o disperazione

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Ai nipoti racconteremo la favola del “C’era una volta il Bel Paese”? Certo, proprio tutto bello non è stato, ma di fronte agli incubi che si prospettano per le nuove generazioni, il Paese che ci ha visto crescere prima adolescenti sereni e poi giovani prosperosi, di cultura e di impegno psicofisico nelle articolazioni (belle e alcune brutte con i rigurgiti del mai morto fascismo nelle piaghe delle istituzioni) della società, quel Paese di giovani e adulti di ogni estrazione sociale – dalla seconda metà degli anni 60 fino a oltre la metà degli anni 70 – che lo ha reso laboratorio di sperimentazione di un mondo migliore per tutto l’occidente perlomeno, è stato un raggio di sole a confronto del grigiore politico e della malinconia sociale sull’orlo della sfiducia e disperazione suicidataria, fino alla mancanza di stimoli al miglioramento delle condizioni di vita e di speranza per la grande maggioranza della popolazione.
Lo diciamo solo noi comunisti? No, l’afferma il Censis nel Rapporto 2022 sulla situazione del Paese.

C’è anche chi non vuole cadere nella disperazione e scappa del fu Bel Paese: a dirlo è il Rapporto 2022 della Fondazione Migrantes che certifica, numeri alla mano, che la maggior parte di coloro che decidono di lasciare l’Italia – con biglietto di sola andata – sono giovani che hanno constatato il peggioramento delle proprie condizioni di vita e di prospettive occupazionali di minimo benessere rispetto ai loro genitori.
E a negazione della narrazione dei media nazionali e della politica governativa, sono più i connazionali fuori dai confini che gli stranieri residenti da noi: 5,8 milioni contro 5,2.
I dati ci mostrano un incremento della mobilità italiana dal 2006 al 2022 dell’87%, nonostante la pandemia, e addirittura del 94,8% per le donne. L’Italia in un anno ha perso quindi lo 0,5% della sua popolazione residente, mentre vi è stato un aumento del 2,7% degli italiani residenti all’estero.
Il Rapporto 2022 della Fondazione Migrantes ci fornisce le aree di provenienza dei migranti italiani: è il Sud a pagare il maggior tributo (47%), seguito dal Nord (37%), ma le due Regioni con più partenze sono Lombardia e Veneto, spesso di persone che già erano migrate dal sud; il Centro (16%).

Disincanto, disperazione?
Quello che è certo, e si tocca con le mani, è il conseguente imbarbarimento delle stesse relazioni sociali, fatte di indifferenza verso chi sta peggio, di nichilismo che amplifica, fino all’odio verso gli altri considerati diversi, il processo di distruzione degli ideali, dei valori di comunità per sostituirli con presunti nuovi valori impregnati di individualismo e di appartenenza a singole tribù con a capo personaggi vagamente mostruosi, e paradossali.
E’ paradossale ma, a dispetto dell’espresso individualismo, sempre il Rapporto del Censis ci dice che le richieste degli italiani sono sempre: sicurezza nel lavoro, cura della salute ed equità sociale.

Come si spiega il paradosso?
Non sarà che sono venuti meno sia gli organismi d’impegno sociale che hanno impregnato cuori cervelli e relazioni nel secolo scorso, che l’ossatura della rappresentanza dei Partiti, chi bene e chi male, determinavano, potenzialmente, un miglioramento delle condizioni di vita reali.

Oggi e la parola è solo quella di leader politici – o presunti tali in quanto costruiti nei salotti televisivi – che fomentano, lusingando le spintanee passioni del popolo per servirsene come strumento per acquisire poltrone di potere funzionali alla trasfromazione della democrazia formale in democrazia autoritaria supportata dalla violenza dei corpi di polizia e dall’uso strumentale della tecnologia come forma di sorveglianza nascosta sotto il velo della libera espressione digitale.

Di pari passo avanza, invece, il linguaggio di guerra atto a costruire il consenso al clima di emergenza, al concentramento di capitali a scapito anche del diritto alla salute e con le sempre più grandi (ancora dal Rapporto Censis) differenze tra retribuzioni dei dipendenti rispetto a quelle dei dirigenti (87,8%); buonuscite milionarie dei manager (86,6%).

I poveri sconfessano conflitto e mobilitazioni collettive? Questa e la narrazione dominante – con i media nelle mani dei poteri finanziari – che giustifica l’impotenza dei grossi sindacati? Se invece di commentare i drammi sulla riduzione del 15% dei salari dal 2007, (i più bassi d’Europa da decenni) e fare inutili scioperi formali, combattessero questa lotta di classe ora solo unilaterale, il Paese non starebbe così malmesso. La sfiducia è tanta, ma se non si ricomincia a lottare duramente sarà incurabile. Lo consiglia anche il Papa «Fate rumore e siate la voce di chi non ce l’ha».

Si è consapevoli che alla fine di questa strada priva di pietre d’inciampo riflessivo, c’è il dirupo?

PS. Si è consapevoli della secessione con l’Autonomia Differenziata?

Franco Cilenti

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