Racconti di vite nell’insicurezza sul lavoro. La storia di Luca

Aveva dormito poco, la sera prima aveva avuto una discussione con la sua
fidanzata, una semplice discussione di coppia e a questo si era unito il ricordo di suo padre.
Mancavano pochi giorni all’anniversario della sua scomparsa e Luca aveva addosso una tristezza fastidiosa, di quelle dove il senso di colpa punge anche se si è consapevoli di aver fatto il possibile. È la sensazione che ti lascia un percorso spontaneo quando viene spezzato da qualcosa di esterno, di incontrollabile. Quando acquisti consapevolezza su come gira il mondo e viene a mancare l’unica fonte di reddito per la famiglia, per forza di cose o perdi di vista la strada e affoghi nel dolore o acquisti coscienza e ti dai da fare.

Luca aveva scelto questa strada sentendosi responsabile della sorella più piccola e della madre disoccupata. La sua storia potremmo inserirla in un altro contesto e in altre latitudini e rimarrebbe simile, è la storia fatta di milioni di frammenti e intrecci, di vite stonate e ammutolite, ma non possiamo parlarne qui, ora. Quando aveva giornate così, gli piaceva andare a camminare, immergersi nella vegetazione, sentire i profumi e camminare su letti di foglie di castagno, andare al solito punto da dove ammirare la vallata e gli specchi d’acqua. Esiste un patto a volte tra uomo e natura dove trovare conforto e tranquillità ci proietta per qualche istante in una dimensione lontana dal peso dei pensieri. Altri suoni, pochi rumori, un altro ordine di cose.

La sveglia ormai stava per suonare, ma lui d’anticipo si era levato dal caldo delle coperte, muovendosi piano per non svegliare la sorella più piccola, poi in sequenza: doccia, caffè, qualche biscotto e un respiro profondo per cacciare via i mostri della mente.

Doveva affrontare una lunga giornata. Quando si è carichi di pensieri il tempo si dilata e il momento della loro risoluzione o dissoluzione sembra non giungere mai. Intanto, il suo sguardo si posava sulla finestra del palazzo di fronte su cui riflettevano le prime luci dell’alba.
Il muro del palazzo aveva sempre la stessa macchia, la stessa da anni e ogni
volta che guardava fuori, i suoi occhi si fermavano lì.
Era pronto per uscire di casa. Alle spalle solo la porta che chiude le briciole della colazione.

La farmaceutica con i suoi tubi che si aggrovigliano come serpenti, dentro e
fuori l’involucro prefabbricato, si trovava di fronte a dei palazzi.
Zona produttiva e zona abitata intrecciate come i tubi degli impianti.
C’era prima la fabbrica o c’erano prima le abitazioni?
La domanda sorge spesso spontanea di fronte all’eredità degli anni ’60. Gli urbanisti saprebbero risponderci, ma quando si cresce con certi panorami, gli
elementi spaziali di riferimento hanno queste forme.
Il rumore di fondo degli impianti è la colonna sonora del quartiere, per le orecchie di Luca è il segnale di arrivo al lavoro. Si timbra l’ingresso.

La mattina scorre abitudinaria, il controllo del flusso di sostanza dai vari oblò, i livelli di pressione, l’impianto è un bambino che ha bisogno di continue attenzioni. Si registra, si controlla, si trasmettono dati, si chiudono ordini.
Bisogna che tutto funzioni perché il ciclo continuo ha bisogno di linearità, tutto deve funzionare, bisogna fermare e isolare i punti dove si riscontrano problemi e intervenire subito per manutenere.
Luca apre il coperchio della calotta e guarda attraverso il vetro, deve controllare il flusso.

Qualcosa sfiata, scricchiola, il serraggio dei bulloni si spacca, ma Luca non può accorgersene, perché il tutto avviene con una rapidità che la percezione umana non è in grado di afferrare.
Luca è solo riuscito a mettere a fuoco mentre l’ultimo pensiero viene portato via da uno scoppio.
Lo scoppio è forte, spaventa tutti. Luca viene soccorso subito, ma è finita.

La sua vita si ferma vicino a quei serpenti con cui si guadagnava da vivere ogni giorno da qualche anno.
Altro intreccio di vite, altro addio. Nel nome del Padre…
Chissà se lo scoppio si è sentito anche al meeting, mentre gli amministratori
erano in coffee break.
Sono potenti le multinazionali del farmaco, hanno risorse per affrontare i
processi, monetizzare le vite e permettersi la leggerezza di non controllare pezzo per pezzo con una certa periodicità lo stato degli impianti nei suoi punti più critici.
La resistenza, lo stato del sistema di serraggio, i bulloni e la loro erosione, le valvole, i sistemi di allarme e sicurezza per i livelli di pressione, la resistenza alle sollecitazioni.

Brevetti e commercializzazione dei farmaci servono per le terapie, per integrare e permettere un livello di salute elevato e diffuso – almeno lì dove si può comprare e c’è un mercato – ma hanno costi impliciti come Luca.
Inevitabili e accettati.

Una famiglia ha perso una persona, il compromesso è il risarcimento per lavare via la logica dell’estrazione totale.
Sanno bene come muoversi, la loro palestra è l’India con quelle straccione
delle eco-femministe.

Adesso si aspetteranno le indagini, l’attribuzione di eventuali inadempienze, il processo, la difesa, lo Stato sarà presente perché nessuno dovrà dire che diritti e principi fondamentali della Costituzione non vengono rispettati.
Siamo fondati sul lavoro, alla fin fine.
Il groviglio di serpenti luccicante resta lì. Ancora nessuno sa se c’era prima delle case o è arrivato dopo.
Sappiamo che il suo morso ha portato via un uomo ancora ragazzo, fissava una macchia su un muro quando guardava fuori, forse perché gli ricordava il segno che la vita gli aveva già stampato addosso.

Renato Turturro
Tecnico della prevenzione

Pubblicato sul numero di giugno del mensile Lavoro e Salute www.lavoroesalute.org

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https://www.blog-lavoroesalute.org/lavoro-e-salute-giugno-2020/

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