Migrazioni, conflitti e cambiamento climatico

Ancora una volta una vasta area tra Somalia, Kenya ed Etiopia si presenta come una sorta di triangolo della morte a causa di un prolungato periodo di siccità nel quale le stagioni delle piogge sono passate senza dare il loro contributo a quelle terre. Secondo lo World Food Programme (WFP) sono coinvolte almeno 13 milioni di persone1. Questo è solo l’ultimo degli episodi di catastrofe climatica che colpiscono diverse aree del globo. Su un altro livello di gravità i colloca il periodo di siccità di oltre due mesi che ha colpito la Val Padana, riducendo il manto nevoso sul versante italiano delle Alpi di oltre il 70%. I due episodi differiscono per diversi ordini di grandezza  inoltre,  mentre dal primo si originano movimenti migratori interni ai paesi convolti  e successivamente interni al continente e fuori di esso, no si prevedono movimenti migratori in uscita dall’area più sviluppata del paese; tutta via il bilancio idrico della Val Padana è a rischio nella previsione che si riducano le precipitazioni nevose sulle Alpi in seguito al riscaldamento globale, inoltre le rocce le Alpi – a differenza degli Appennini che sono composti da rocce calcaree- non assorbono l’acqua, che scorre via. Quando le precipitazioni sono scarse il rifornimento dei bacini idrici per le centrali idroelettriche è in competizione con l’briganzio dei terreni agricoli. Oltre a questo le falde acquifere soffrono dell’inquinamento pluridecennale prodotto dalle attività industriali e la circolazione atmosferica favorisce alte concentrazioni di inquinanti nell’aria.

L’Italia è immersa nel bacino del mediterraneo dove il riscaldamento globale provoca innalzamenti delle temperature più alte della media globale a cui si deve l’aumento di fenomeni metereologici estremi ed il cambiamento dei regimi stagionali. Non siamo ancora in presenza di catastrofi climatiche che inducano fenomeni migratori di massa, ma a lungo andare i cambiamenti in corso potranno superare soglie critiche, tali da modificare in modo profondo le condizioni di vita in vaste regioni del nostro paese. La crisi del territorio italiano deriva da un intreccio di cambiamento climatico, degrado dei sistemi ecologici, rottura degli equilibri idrogeologici, inquinamento di vaste aree, quest’ultimo richiede tempi lunghi per essere bonificato quando possibile, mentre gli altri processi sono in progressivo sostanziale aggravamento. Possiamo definire la condizione climatica e ambientale che stiamo vivendo nel nostro paese come una fase di transizione i cui esiti sono difficili da prevedere, possono produrre andamenti non lineari; ciò di cui possiamo essere certi è che il convergere dei fattori climatici, ambientali, economici, sociali e demografici nel loro intreccio complesso non viene preso in considerazione da alcuna azione di governo. La situazione ambientale del nostro paese, in un paese sviluppato, è indicativa della precarietà dei suoi assetti, che possono indurre mutazioni profonde negli insediamenti residenziali e nelle attività produttive sul territorio.

L’aggravarsi delle conseguenze del cambiamento climatico ed il diffondersi del degrado ambientale   influiscono -intrecciati all’insieme delle condizioni sociali- sulla condizione e sulle scelte di popolazioni e comunità, sempre di più lo sviluppo di città e metropoli ne è influenzato. Da un lato assistiamo allo sviluppo ipertrofico delle megalopoli gonfiato dai flussi migratori che portano milioni di esseri umano a concentrarsi in condizioni che potremmo definire con un eufemismo di estrema precarietà, dall’altro alla realizzazione delle nuove città, delle smart cities progettate all’insegna della sostenibilità ambientale e climatica fondate sul coordinamento delle loro funzioni da parte di un sistema digitale alimentato da un flusso costante di dati proveniente dai diversi sottosistemi; il quadro che emerge è quello di una crescente polarizzazione sociale, di una crescita esponenziale delle diseguaglianze. La crescita delle diseguaglianze, la cui geografia costruisce una mappa globale nella quale non agiscono strategie globali e solidali per affrontare il cambiamento climatico, come ha mostrato platealmente il fallimento sostanziale della COP26; al contrario è dominante l’uso delle conseguenze del riscaldamento globale nella competizione geostrategica assieme al garantire aree di privilegio con una concentrazione crescente delle risorse.

A fronte dell’aggravarsi delle conseguenze del cambiamento climatico -una volta accertato che sarà un fattore dominante nelle trasformazioni dei prossimi decenni-  la parola che emerge è quella di adattamento; ovviamente le strategie di adattamento sono molto diverse, possibili o impossibili, semplici, complesse a seconda della gravità delle conseguenze e delle risorse disponibili. Lo World Food Program si lancia il suo Regional Drought Response Plan per il Corno d’Africa in cui oltre a stanziare 327 milioni di dollari per i bisogni immediati di 4,5 milioni di persone mette in atto azioni per rendere più ’resilienti’ le comunità locali di fronte ai cicli della siccità. Le statistiche dicono che la siccità attuale è la più grave da oltre quarant’anni anche se quella del 2011 provocò la morte di 250.000 persone in Somalia. La distruzione dei raccolti, la morte degli animali di allevamento provoca oltre alla migrazione verso i luoghi dove sono disponibili i soccorsi, alla ricerca di luoghi dove siano ancora disponibili acqua e pascoli, anche la nascita di conflitti per la contesa delle scarse risorse rimaste. Le cronache dal Corno d’Africa ci ricordano come la crisi climatica si intrecci con le conseguenze delle guerre locali e questo dato è essenziale per capire il modo con cui si articolano localmente gli effetti del cambiamento climatico e come si realizza la devastazione degli ecosistemi che supportano la riproduzione delle comunità locali e degli equilibri climatici locali.

Gli effetti di conflitti, crisi economiche e sociali, le conseguenti migrazioni, la crisi dei rapporti sociali su cui si fondava la sopravvivenza delle popolazioni a loro volta devastano gli ecosistemi, un esempio semplice è quello del disboscamento dovuto alla necessità di procurarsi legna da ardere. Il apporto FAO-WFP  sui segnali provenienti da diversi paesi di forte insicurezza alimentare2 offre un panorama sulla combinazione possibile dei diversi fattori che portano a situazioni di crisi.

Nell’articolo “Ecological Migration A Different Version of Climate Migration in China?” l’ufficio cinese della fondazione Heinrich Böll emerge una classificazione dei movimenti migratori, classificati secondo  termini ecologici, ambientali o climatici. Nel dibattito internazionale i migranti ambientali sono tali a causa di improvvisi  cambiamonete nel loro ambiente che crea condizioni avverse alla loro sopravvivenza, in questo senso i migranti climatici sono un sottoinsieme dei primi in quanto la crisi ambientale sia dovuta al cambiamento climatico, Le condizioni del degrado ambientale possono essere le più diverse e soprattutto nel caso cinese i movimenti migratori, la dislocazione di popolazioni e comunità possono essere il prodotto di decisioni politiche, che nella traduzione inglese del saggio sono definiti come “engineering-project migration” ovvero interventi miranti a sanare le crisi ambientali. Nella letteratura scientifica esaminata viene introdotto il termine di migrazioni ecologiche laddove tutto il processo, dalle aree di origine, alle aree di destinazione alla condizione dei migranti, alle aree di destinazione, mentre si propone una classificazione in quattro categorie dei processi migratori climatici3

La Cina colpita da imponenti fenomeni di degrado ambientale dovuti al cambiamento climatico, come la desertificazione di vaste aree, di contaminazione di intere regioni, fiumi e riserve idriche, è un punto di osservazione fondamentale per comprendere gli effetti del cambiamento climatico, del degrado ambientale e di contro le strategie adottate per combatterli, vista anche la dimensione dell’economia e della popolazione. Il fallimento della COP26 che rende assai poco probabile il raggiungimento degli obiettivi che erano stati fissato alla COO di Parigi, che già scontano un aumento della temperatura globale con effetti catastrofici, che peraltro si stanno già realizzando, senza che la temperatura limite sia stata raggiunta. In questo contesto diventa essenziale capire quale sia l’andamento nelle diverse regioni del globo, sia pure nel contesto determinato dalla assenza di strategie globali, condivise e solidali. Il ruolo ella Cina è rilevante non solo per la portata delle sue strategie interne, ma anche per il ruolo crescente che gioca sul piano globale, con la sua strategia della Nuova Via della Seta che lega la costruzione di infrastrutture logistiche e produttive alla acquisizione di aree fertili. La creazione di una rete globale economica, tecnologica e militare si accompagna e richiede l’acquisizione di risorse che il cambiamento climatico e il degrado ambientale rendono sempre più scarse.

Di certo l’azione della Cina come delle altre grandi potenze, mira alla costruzione, al mantenimento di un ordine interno esportando il disordine ovvero la pretesa di creare organizzazione interna, appropriandosi di materia energia ed informazione, esportando entropia. Le grandi potenze si comportano come sistemi aperti ognuno dei del quali tratta il resto del globo sostanzialmente come una discarica per l’eutropia prodotta, in competizione reciproca; peccato che i confini tra questi sistemi siano fittizi, il sistema globale per quanto complesso è finito e la sua complessità sta migrando verso altri punti di equilibrio diversi da quelli in cui si sono sviluppate le società umane sino alla nostra epoca. Nelle dinamiche di questo sistema di sistemi popolazioni, comunità, popolazioni intere sono in movimento, sia pure con dinamiche e risorse diverse, punti di arrivo e di partenza diversi, di certo un equilibrio non viene raggiunto, in termini sociali e demografici; la stessa Cina ha contenuto l’aumento della propria popolazione con la strategia del figlio unico, ma ora si trova di fronte al problema del suo invecchiamento.

Mentre si consumano le risorse del mondo ad un ritmo complessivo superiore alla loro riproduzione, le dinamiche delle popolazioni in termini demografici, migratori e sociali sfuggono alla pretesa di controllarle negli attuali rapporti sociali di produzione e riproduzione. Nessuna formazione sociale sembra quindi poter sfuggire al destino globale, governando dinamiche interne alimentandole con l’appropriazione delle risorse globalmente disponibili e necessarie alla propria riproduzione.  L’alimentazione, base della vita, è ovviamente un nodo cruciale degli equilibri climatici, ambientali e riproduttivi, uno studio recente mostra come la riduzione se non l’eliminazione della carne dall’alimentazione potrebbe avere il potenziale di stabilizzare le emissioni di gas climalteranti per 30 anni ed abbassare le emissioni di C02 del 68 per cento in questo secolo4. Questo studio, di per sé non risolutivo ed esaustivo, indica comunque la dimensione del problema basilare posto dall’alimentazione di una popolazione mondiale che ha da poco superato gli otto miliardi.

Negli USA i flussi migratori dal centro e sud America, sono un tema centrale della politica, sino al progetto di costruire un muro lungo tutto il confine sud. L’America Centrale è un’area dove la perenne emergenza sociale è aggravata dalla crisi climatica5 che produce sia fenomeni di lunga durata – in particolare le aree di costa dove anche piccoli aumenti del livello del mare possono avere effetti drammatici-  quanto effetti stagionali  e singoli eventi acuti. L’area è esposta all’azione degli uragani che aumenta col riscaldamento dei mari e contemporaneamente a fenomeni di siccità durevole nel cosiddetto Central American Dry Corridor che si alterna con i danni prodotti da precipitazioni catastrofiche6.

La Casa Bianca ha prodotto uno studio nell’ottobre del 20217 redatto sulla base di un ordine esecutivo del presidente Biden8.

Anche questo studio -che ovviamente fa riferimento ad un insieme di studi ed analisi- come le analisi e le politiche messe in atto in Cina, registra una pluralità di fenomeni in termini di spostamenti o migrazioni interne ai paesi di origine o transfrontalieri, definitivi o momentanei in risposta ad eventi puntuali – come l’uragano Katrina- o a fenomeni di lunga durata e permanenti. L’assunto di partenza è chiaro9 “La crisi climatica sta trasformando il nostro mondo, in quanto il clima della terra sta cambiando più velocemente che in qualsiasi altra epoca del mondo moderno.”

L’analisi, visto il committente, analizza le implicazioni del cambiamento climatico nel campo geopolitico, in termini di politica globale, instabilità politica, dinamiche della sicurezza legate a movimenti migratori, alla generazione di conflitti locali e regionali.  Fenomeni metereologici estremi e conflitti assieme sono responsabili della migrazione di una media 30 milioni di persone l’anno. La concentrazione di gran parte della popolazione mondiale nelle aree urbane periurbane, dotate di servizi insufficienti, quando non assenti nelle megalopoli del su del mondo, costituiscono il luogo di contraddizioni esplosive. Lo studio quindi assume il cambiamento climatico e la conseguente destabilizzazione degli equilibri di gran parte delle regioni del mondo –di ognuna delle quali si evidenziano le caratteristiche specifiche– in cui le popolazioni costrette ad abbandonare i propri luoghi di origine sono i protagonisti, come un elemento cruciale nella definizione nelle strategie di grande potenza, da affrontare con gli strumenti di assistenza, di intelligence, militari o quant’altro a sua disposizione.

Al di là della proiezione strategica sulla crisi climatica globale gli stati Uniti devono affrontare gli effetti interni che possono provocare la dislocazione, la migrazione interna di milioni di persone10  causa dei eventi estremi che hanno colpito diversi territori interni. L’autore dell’articolo del New York Times ha intervistato più di quattro dozzine di esperti cosa che lo ha portato ad invidiare le aree degli USA più in pericolo nei prossimi 30 anni, integrando diverse analisi che mappano gli effetti del cambiamento climatico negli USA11.

Il riscaldamento globale dovrebbe invece dare importanti vantaggi ai paesi il cui territorio è collocato alle latitudini più a nord come il Canada e la Russia12. La Russia in particolare vede aprirsi nuove possibilità per l’agricoltura in aree che si rendono disponibili con le nuove condizioni climatiche determinate dall’innalzamento della temperatura. Ovviamente a livello globale c’è il dato negativo della liberazione di metano conseguente allo scongelamento del permafrost, in base all’effetto climalterante del metano ben superiore a quello dell’anidride carbonica. Altri vantaggi vengono dall’apertura delle rotte navali – in particolare quelle verso la Cina-  conseguenti allo scioglimento dei ghiacci della piattaforma artica, su questo si apre una competizione tra i paesi rivieraschi. In compenso lo scioglimento dei ghiacci artici come di quelli della Groenlandia sono alla base delle mutazioni della circolazione termoalina, delle correnti oceaniche per cui già si parla di rallentamento della Corrente del Golfo con le conseguenze che si possono immaginare. Il ruolo della Russia come esportatore di grano in particolare è cruciale non solo per la sua economia, ma anche per i paesi che si approvvigionano con le sue esportazioni, ne è una testimonianza l’’effetto del blocco delle esportazioni 2010 decisa per la riduzione drastica dei raccolti dovuta alla siccità ed incendi estesi. I prezzi del grano sui mercati mondiali triplicarono con effetti drammatici in diversi paesi tra cui Siria, Marocco ed Egitto, con le conseguenze sociali e politiche che abbiamo conosciuto, dalle ritolte della Primavera Arabe alla spinta alla migrazione di milioni di persone.

E’ evidente come dentro l’aggravamento della crisi climatica globale ogni paese -lo ripetiamo. Cerchi di capire quali conseguenze giochino a suo favore e quale equilibrio debba trovare tra rischi ed opportunità. Negli Usa le  conseguenze, lo sviluppo regione per regione delle crisi climatiche è diventato parte dei ‘giochi di guerra’ su cui si cercano di modellare future strategie13. Dal 2014 il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti  nel suo ‘2014 Quadrennial Defense Review’ ha definito il cambiamento climatico come un ‘moltiplicatore di minacce’ dandone forse la più sintetica ed efficace delle definizioni.

Tutti gli studi sui movimenti migratori provocati dal cambiamento climatico si sforzano di coglierne le specificità per poterli qualificare e quantificare, di fronte ad una realtà in cui spesso agiscono diversi fattori di destabilizzazione degli equilibri sociali ed ecologici, come conflitti ai vari livelli e di diversa durata, crisi economiche, crisi ecologiche indotte da monoculture e perdita di biodiversità14.

Le soluzioni che vengono prospettare in letteratura e negli atti istituzionali raramente cercano di intervenire alla radice del problema, in assenza di un coordinamento globale e dell’affrontamento alla radice delle cause del cambiamento climatico.  Oggi la finanziarizzazione dei mercati di qualsiasi materia prima che sia energetica o alimentare produce sovraprofitti -come vengono definiti- incommensurabilmente superiori agli aiuti che le agenzie internazionali ed i singoli stati mobilitano in favore delle popolazioni affamate, private dei mezzi minimi di sussistenza, affamate da crisi climatiche e ambientali, intrecciate ad altri tipi di catastrofi. L’entropia del sistema globale è in crescita, lo sforzo di ogni formazione sociale di avere un bilancio positivo nel rapporto tra autorganizzazione interna e produzione di entropia con l’esportazione di quest’ultima nell’ambiente circostante, come abbiamo detto, provoca un aumento dell’entropia complessiva nel sistema mondo in cui ognuna è immersa, ambiente complesso, ma la cui complessità viene ridotta. L’accresciuta complessità dei sistemi artificiale attraverso i dispositivi di autoregolazione digitali, che trattano il flusso crescente di dati prodotti ed acquisti dall’ambiente non compensa la perdita di biodiversità e la modificazione degli equilibri ambientali, la perdita di complessità del sistema mondo. La pandemia attuale e quelle prossime venture sono la dimostrazione di come nuove varianti e nuovi circuiti epidemici aprono nuove strade nelle relazioni tra i diversi livelli della vita sul nostro pianeta riducendo drasticamente la variabilità e le dinamiche delle nostre società.

La conoscenza di cui abbiamo bisogno non può che essere conoscenza situata, partecipata, condivisa sì ma non semplicemente astrattamente concentrata in nuvole digitali. L’enorme potenza di formalizzazione, concentrazione e condivisione di conoscenze e informazioni resa possibile dalla rete globale dei dispositivi digitali è uno strumento per l’emancipazione delle popolazioni delle diverse regioni del mondo per la determinazione di una trasformazione globale dei rapporti di produzione, in cui l’umanità di riproduce. Trasformazione o per meglio dire rivoluzione -rivoluzioni al plurale- di cui purtroppo non vi sono avvisaglie significative, ma solo movimenti verso.

Possiamo chiudere, provvisoriamente questa riflessione e queste note , citando e rendendo omaggio al contributo che ci è venuto dalla regione kurda del Rojava dove, all’interno di una regione di massimo sviluppo dei conflitti, è stata realizzata, in quanto regione autonoma una forma di autogoverno ispirata a principi di democrazia in cui accanto agli altri principi fondamentali ha trovato posto una concezione di ecologia sociale15 secondo i principi della ‘Carta del contratto sociale del Rojava’16. Sappiamo quanto sia precaria la condizione delle comunità kurde, sottoposte all’aggressione dello stato turco, tuttavia proprio la capacità di progettare il proprio futuro, il proprio modello di convivenza in condizioni così difficili ci dimostrano come sia essenziale il potenziamento della capacità di autodeterminazione delle comunità locali per affrontare gli esiti catastrofici del convergere di diversi fattori di crisi, con il cambiamento climatico e la crisi ecologica sempre presente.

Roberto Rosso

16/2/2022 https://transform-italia.it

  1. https://www.wfp.org/stories/millions-face-hunger-drought-grips-ethiopia-kenya-and-somalia-warns-world-food-programme  []
  2. https://www.wfp.org/stories/hunger-hotspots-4-countries-face-famine-un-report-warns    https://www.wfp.org/publications/hunger-hotspots-fao-wfp-early-warnings-acute-food-insecurity-february-may-2022-outlook []
  3. (1) Climate protection migration People who are permanently move d to new livable areas due to long term planning measures regarding densely populated low lying coastal residential areas that could be flooded or eroded as a result of sea level rise; (2) Climate disaster migration  People who are forced to flee and take refuge due to short term emergencies, including extreme climate disasters such as typhoons, rainstorms, floods and mudslides; and sudden epidemics;  (3) (4) Climate engineering migration  People who relocate, mostly permanently, due to climate change mitigation or adaptation policies, such as hydropower stations, wind power plants, reservoirs, dikes, windbreak afforestation and energy (wood production) afforestation, closing hills for reforestation, and conversion of farmland to forests; and  Climate impoverishment migration  Relocation due to population growth, overexploitation of land and water resource and long term persistent droughts. In view of the multiple objectives that underpin ecological migration, categories (1), (3) and (4) constitute the main content of ecological migration as implemented by China.[]
  4. https://journals.plos.org/climate/article?id=10.1371/journal.pclm.0000010 volgarizzato nell’articolo de La Stampa https://www.lastampa.it/green-and-blue/2022/02/12/news/eliminare_produzione_carne-337228568/?ref=LSHSTD-BH-I0-PM14-S1-T1 []
  5. https://earth.org/climate-change-is-causing-a-migration-crisis-in-central-america/  []
  6. In April 2019, the United Nations Food and Agriculture Organization (FAO) and the World Food Programme (WFP) warned that “prolonged droughts and heavy rain have destroyed more than half of the maize and bean crops of the subsistence farmers along the Central American Dry Corridor, leaving them without food reserves and affecting their food security.” Central American governments estimated that 2.2 million people suffered crop losses, and 1.4 million people were left without an adequate amount of food[]
  7. https://reliefweb.int/report/world/report-impact-climate-change-migration-october-2021 []
  8. In recognition of this, on February 9, 2021, President Biden signed Executive Order (E.O.) 14013, “Rebuilding and Enhancing Programs to Resettle Refugees and Planning for the Impact of Climate Change on Migration,” in which he directed the National Security Advisor to prepare a report on climate change and its impact on migration. This report marks the first time the U.S. Government is officially reporting on the link between climate change and migration.[]
  9. The climate crisis is reshaping our world, as the Earth’s climate is now changing faster than at any point in the history of modern civilization.1 Defined by changes in average weather conditions that persist over multiple decades or longer, climate change includes changes in temperature, precipitation patterns, the frequency and severity of certain weather events, and other features of the climate system.2 When combined with physical, social, economic, and/or environmental vulnerabilities, climate change can undermine food, water, and economic security. Secondary effects of climate change can include displacement, loss of livelihoods, weakened governments, and in some cases political instability and conflict.[]
  10. https://www.nytimes.com/interactive/2020/09/15/magazine/climate-crisis-migration-america.html []
  11. https://projects.propublica.org/climate-migration/ []
  12. https://www.nytimes.com/interactive/2020/12/16/magazine/russia-climate-migration-crisis.html  []
  13. For John Podesta, the profound geopolitical challenges posed by climate change first became clear in July 2008, not long before he took charge of President-elect Barack Obama’s transition team. That month, he took part in a war game hosted by the Center for New American Security, a Washington-based research group. The room was full of people who were, like him, awaiting their chance to re-enter influential positions in the American government. Around the table in a private conference room at the Newseum in Washington, were former U.S. military officials, a former E.P.A. administrator, advisers to Chinese intelligence officials, analysts from McKinsey and the Brookings Institution and at least one European diplomat. “Let me be very clear,” Podesta told the gathering, in his assigned role as the United Nations secretary general. “Our time is running out.” []
  14. https://www.rand.org/pubs/perspectives/PEA1085-1.html []
  15. https://www.alternativeaps.org/2021/04/22/liberare-la-vita-uno-sguardo-al-rojava/   []
  16. https://eleuthera.it/files/materiali/carta%20del%20rojava.pdf []

cambiamento climatico, conflitti, migrazioni, riscaldamento globale

0 commenti

Lascia un Commento

Vuoi partecipare alla discussione?
Sentitevi liberi di contribuire!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *