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Altra Informazione, Blog, Comitati di Lotta, Cronache di Lavoro, Cronache Politiche, Cronache Sindacali, Cronache Sociali, Politiche di Rifondazione — Maggio 23, 2017 6:33 am

Pubblico impiego: niente rinnovi salariali all’orizzonte e per i contratti poi si vedrà. Il Governo porta a casa quello che voleva, ossia I decreti Madia. I licenziamenti nel pubblico diventano piu’ semplici, le cause di licenziamento diventano 10 con particolare attenzione verso chi dovessere violare I codici di comportamento in maniera reiterata o per lo scarso rendimento che poi significa valutazioni negative del dirigente per 3 anni consecutivi.

Misure governative da mobbing, stalking e clientelismo a gogò

Pubblicato da franco.cilenti

pubblico impiego2

Che il rinnovo dei contratti pubblici fosse in subordine alla approvazione dei decreti Madia era cosa risaputa dopo l’accordo tra sindacati e Governo.
Sono trascorsi due anni dal pronunciamento della Consulta che giudicava illegittimo il blocco dei contratti ma i sei anni non erano sufficienti se nel frattempo se ne sono aggiunti altri due, otto anni senza alcun rinnovo e con il potere di acquisto praticamente fermo.
Una scelta arrendevole, quella di cgil cisl uil e autonomi, non adeguatamente contrastata dai sindacati di base.
La campagna denigratoria contro il pubblico, I nuovi codici disciplinari, l’applicazione di codici etici e comportamentali hanno alimentato il clima di paura e di rassegnazione nel pubblico con 3 milioni di dipendenti subalterni ai dettami Governativi e sindacali, alla fine 8 anni senza contratti e con una pace sociale che vede I lavoratori e le lavoratrici incapaci di mobilitarsi anche contro l’arretramento dei salari e le carenze di organico.

Il Governo ha ottenuto cio’ che voleva: riscrivere le regole vigenti nel pubblico, inserire I licenziamenti facili, dividere la forza lavoro mettendola in competizione solo per pochi euro di salaro accessorio, renderla ricattabile dai dirigenti e dalle loro valutazioni.

In ogni caso, il mancato rinnovo è legato anche a fattori economici poichè I soldi per pagare I fatidici «85 euro medi» di aumento a regime previsti dalll’intesa del 30 novembre ad oggi non ci sono nelle casse dello Stato. Solo per l’amministrazione centrale servono almeno 1,2 miliardi, bisognerà attendere la Legge di bilancio di fine anno per trovare questi soldi, altrettanto sarà l’importo da stanziare per I contratti della sanità e degli enti locali .

L’arrendevole linea sindacale all’insegna della subalternità ha quindi favorito il Governo senza nulla in cambio, stiamo andando verso I 9 anni di vacanza contrattuale, il passaggio del turn over dal 25 al 75% stride con il rispetto di tutti quei vincoli finanziari che il Governo ha conservato per la spesa di personale.

Le trattative vere e proprie debbono ancora partire, serve del resto la direttiva ministeriale da inviare all’Aran che definirà I criteri-guida per le trattative.

9 anni senza contratto hanno determinato una pedita salariale di 7 mila euro, I pochi aumenti salariali al momento andranno solo alle fasce di reddito più basse, oscura poi resta la gestione del bonus da 80 euro di cui beneficiano I redditi entro 26 mila euro. Per essere ancora piu’ chiari, con questi aumenti contrattuali, quando arriveranno, si potrebbe superare di pochi euro il reddito annuale di 26 mila euro e cosi’ perderemmo anche il bonus. Il Governo sa bene che I lavoratori e le lavoratrici della Pubblica amministrazione si troverebbero con un accordo nullo, cioè senza alcun aumento, visto che gli 85 euro promessi (se e quando arriveranno, se ci sarà la copertura finanziaria) del rinnovo contrattuale porteranno gran parte dei redditi annuali oltre I 26 mila euro determinando cosi’ la perdita del cosiddetto Bonus Renzi che , guarda caso, ha lo stesso importo.

Al danno seguirebbe cosi’ anche la beffa a cui aggiungere il progressivo svuotamento del contratto nazionale e un peso sempre maggiore accordato al salario accessorio e alla sua diseguale distribuzione vincolata alle valutazioni dei dirigenti.

Il prossimo contratto annullerà la Legge Brunetta che escludeva da ogni salario accessorio il 25% dei dipendenti, tuttavia siamo certi che le nuove regole escluderanno in ogni caso una parte del personale e la riduzione a 4 contratti nazionali (tanti quanti sono I comparti ridotti da 11 a 4 con accordo sottoscritto anche dal sindacato di base Usb) sancirà per molti una ulteriore perdita salariale.
Si parla nel frattempo di rafforzare la valutazione interna agli enti pubblici senza mai avere fatto un serio esame sui risultati della performance. Le valutazioni, spesso umorali e non oggettive dei dirigenti, determinano una differenziazione salariale non supportata da criteri oggettivi, gli obiettivi programmati potrebbero essere i programmi di mandato dei sindaci o gli indirizzi regionali alle aziende sanitarie per ridurre la spesa complessiva, quindi non illudiamoci che siano costruiti parametri oggettivi sulla base dei quali valutare I singoli dipendenti.

Dietro alla cultura della performance si nasconde un concetto assai pericoloso secondo cui gli aumenti dovranno essere variabili da dipendente a dipendente, in base a valutazioni discrezionali e senza parametri oggettivi (per esempio la presenza in servizio). Il risultato ottenuto dal Governo è quello auspicato, ossia creare divisioni all’interno della forza lavoro, ridurre l’importo degli aumenti, creare una pubblica amministrazione dove avrà spazio solo chi si piega alla cultura privatizzatrice del Governo.

Il contratto collettivo nazionale stabilirà la quota delle risorse destinate alla performance (organizzativa e individuale) e i criteri perchè alla differenziazione dei giudizi (di fatto imposta) corrispondano anche I salari. Nel pubblico impiego il contratto nazionale assegnerà al secondo livello di contrattazione il compito di costruire le basi materiali per la disparità di trattamento economico tra dipendente e dipendente, il salario accessorio si configura sempre piu’ come strumento di disuguaglianza economica. Il contratto nazionale muta geneticamente la sua funzione , queste del resto erano le direttive di cgil cisl uil con la firma della intesa del Novembre 2016.

Ma dagli ultimi decreti Madia arrivano anche altri segnali preoccupanti
Desta perplessità la decisione di riservare il 20% del turn over alle promozioni interne senza concorso pubblico soprattutto dopo avere eliminato le progressioni verticali che avevano permesso a migliaia di lavoratori e lavoratrici progressioni di carriera, miglioramenti salariali e riconoscimento delle professionalità legate anche agli anni di servizio. Il loro ripristino sarebbe la soluzione migliore ma ovviamente non sarà possibile perchè le progressioni verticali determinano l’aumento della spesa per il personale che I decreti Madia vogliono ulteriormente ridurre. Ma attenzione: si intravede già una guerra tra poveri perchè gli enti pubblici che vorranno riservare la quota del 20% alle progressioni di carriera interne potrebbero avere qualche vincolo in piu’ in materia di assunzioni tramite concorsi.

E sbaglieremmo a pensare che la fine delle dotazioni organiche rappresenti un successo , le assunzioni in ogni ente pubblico saranno determinate in base ai «fabbisogni» determinati dalla programmazione triennale, quindi non piu’ avremo una dotazione di riferimento, nel caso dei comuni ci saranno fabbisogni determinati per il raggiungimento dei programmi del Sindaco anche se la loro ricaduta effettiva sulla macchina gestionale dovesse rilevarsi catastrofici. Fate attenzione che le dotazioni organiche non sono rigide come viene detto ma rappresentano piuttosto una garanzia in piu’ in assenza della quale un domani potranno stabilire assunzioni per rispondere alle reali necessità della macchina organizzativa ma solo in base ai piani inviati alla Funzione Pubblica.

Facciamo un esempio esplicativo: se un comune con la vecchia dotazione organica avrebbe dovuto assumere un certo numero di tecnici , di educatrici e di amministrativi (in base al turn over sancito per legge), un domani potrà aggirare queste necessità optando per concorsi destinate ad altre figure professionali, per dirne una agenti di Pm, da vendere come risposta alle richieste di sicurezza dei cittadini. In tal modo si aggirano I reali fabbisogni di personale favorendo continui processi di riorganizzazione e di ristrutturazione, aumentando I carichi di lavoro e le mansioni esigibili senza alcun limite e allo stesso tempo sarà piu’ semplice esternalizzare intere direzioni e funzioni.
Se qualcuno pensasse ancora che la politica e la gestione amministrativa siano separati e ben distinti, sarà il caso che si ricreda da subito.
Anche I licenziamenti nel pubblico diventano piu’ semplici, le cause di licenziamento diventano 10 con particolare attenzione verso chi dovessere violare I codici di comportamento in maniera reiterata o per lo scarso rendimento che poi significa valutazioni negative del dirigente per 3 anni consecutivi.

Altro argomento su cui riflettere è quello relativo alle stabilizzazioni dei precari previste tra il 2018 e 2020 con la riserva di posti nei nuovi bandi concorsuali destinata ai precari in possesso di alcuni requisiti. Quali? I tre anni di anzianità negli ultimi otto ed entro la fine del 2017, un requisito che non vale per la la sanità e gli enti di ricerca . Non basta vietare dal 2018 I co.co.co, sarebbe opportuno capire quanti lavoratori atipici sono alle dipendenze del pubblico, soprattutto negli enti di ricerca e nell’università, sanare questa situazione memori che anni fa le stabilizzazioni dei precari non hanno eliminato il precariato ma sono servite alla sopravvivenza dell’allora Governo.
Ma è cosa risaputa che non ci sarà una sanatoria per la stabilizzazione dei precari visto che negli enti non se ne conosce il numero, I numeri forniti dal Governo sono una minima parte dei precari che con molteplici contratti operano all’interno della Pa. Un’ulteriore sconfitta del sindacato incapace ormai di tutelare la forza lavoro, precaria o stabile che sia.

Federico Giusti

22/5/2017 www.controlacrisi.org

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