MOLESTIE E VIOLENZA DI GENERE SUL LAVORO: COSTRUIAMO NUOVE FORME DI SINDACALISMO

Limitando l’analisi alla dimensione lavorativa emerge che 1 milione 173mila donne (7,5%) hanno subito ricatti sessuali sul luogo di lavoro per ottenere l’assunzione, ma soprattutto per il mantenimento del posto, o per un avanzamento di carriera. Pur riscontrando che negli ultimi vent’anni i dati relativi alle molestie sessuali sulle donne, nel loro complesso, risultano in costante diminuzione, i ricatti sessuali sul lavoro si mantengono stabili nel tempo. Questo dato è particolarmente interessante in quanto contribuisce a mettere in luce il legame tra violenza di genere e riorganizzazione delle forme del lavoro contemporaneo.

Non v’è dubbio che i provvedimenti imposti negli ultimi anni dalla governance neoliberale abbiano colpito tutte e tutti in termini di erosione di diritti e tutele contrattuali, smantellamento del welfare, segmentazione del lavoro, precarietà e sfruttamento. Ma è altrettanto vero che una serie di situazioni materiali colpiscono ulteriormente le vite delle donne, così come delle soggettività LGBTQIA+. Resiste ancora nella nostra società una divisione e gerarchizzazione sessuale del lavoro che tende a relegare la figura femminile dentro i confini della riproduzione sociale, negando al contempo il valore immediatamente produttivo di tali attività, e producendo nei fatti ulteriori squilibri e ingiustizie in termini di occupazione, livelli salariali, accesso al welfare. Secondo i più recenti dati EUROSTAT, infatti, l’Italia è penultima nell’Unione Europea per il livello di occupazione femminile (52,5%), con un gender gap che sfiora il 20%.

Questa condizione strutturale di confinamento espone le donne al ricatto della precarietà e della violenza, emblema di un sistema di potere profondamente ancorato alla natura sessuata e sessuale del lavoro e di inferiorizzazione e disciplinamento che le donne subiscono per accedere al salario. Le dimensioni e gli effetti della ricattabilità per quanto riguarda le molestie sessuali sono estremamente preoccupanti. L’ISTAT dichiara che seppure il 69,6% delle vittime di molestie sessuali sul lavoro abbia considerato “molto” o “abbastanza” grave il ricatto subito, nell’80,9% dei casi non ne hanno parlato con nessuno sul posto di lavoro e in pochissimi casi l’accaduto è stato denunciato alle forze dell’ordine. Questi dati offrono un punto di vista “soggettivo” sul fenomeno, trasmettendo il senso di isolamento e solitudine che colpisce le vittime di violenza, costrette a frequentare quotidianamente, in posizione di subordinazione e dipendenza economica, il luogo – e le persone – in cui la violenza si è consumata: relazioni intime e di controllo in cui la denuncia porta con sé il rischio di non essere credute, di essere allontanate dai propri contesti relazionali e lavorativi, di essere stigmatizzate o colpevolizzate. Inoltre, spesso i confini tra subordinazione, dipendenza, ricatto e molestie sfumano in un vero e proprio continuumdifficile da districare o riconoscere per chi li vive sulla propria pelle.

Come l’esperienza dei centri antiviolenza e le lotte dei movimenti femministi hanno denunciato negli ultimi anni, lo strumento legale in questo contesto può diventare un’arma spuntata, soprattutto in un paese in cui la cultura giuridica degli operatori di polizia, dei magistrati e degli avvocati è ancora così profondamente impregnata di pregiudizi sessisti. Da un lato il rischio di un’ulteriore marginalizzazione economica e sociale, dall’altro quello di una doppia vittimizzazione e l’incertezza sul suo esito, unito alla mancanza di dispositivi di tutela reali ed efficaci, rendono la denuncia uno strumento a cui le donne che hanno subito violenza faticano ad affidarsi.

È su questo terreno che la campagna social del #metoo diffusasi in tutto il mondo sull’onda lunga dello scandalo Weinstein, gli scioperi delle lavoratrici del McDonald’s e Google così come quelli internazionali femministi dell’8 marzo negli ultimi anni, hanno permesso a molte vittime di molestie di riconoscersi superando l’isolamento e la paura, ridefinendo la denuncia delle molestie sessuali sui luoghi di lavoro come un ambito pubblico e politico in cui prendere parola collettivamente, e confermando l’importanza della costruzione di pratiche di solidarietà e mutualismo per l’emersione della violenza strutturale nel mondo precarizzato e individualizzato del lavoro.

In Italia il movimento Non Una Di Meno ha spinto ulteriormente la radicalità e la potenza della denuncia pubblica rappresentata dal #metoo traducendola in #wetoogether, per rimarcare la dimensione necessariamente collettiva della lotta contro il ricatto sessuale del/nel lavoro. Insieme alla rivendicazione di un salario minimo europeo per superare le disparità salariali e del reddito di autodeterminazione universale per tutte e tutti, il #weetogether ha rappresentato un’indicazione importante per la costruzione di nuove alleanze trasversali e pratiche di resistenza, alludendo a nuove forme di sindacalizzazione sociale femminista. In questo contesto, la sfida del movimento globale femminista ci interroga sul significato, gli strumenti e le possibilità di rispondere ed intervenire efficacemente sulle violenze sessuali e di genere che il lavoro contemporaneo produce, mantenendo allo stesso tempo una dimensione politica e collettiva di mobilitazione, supporto e mutualismo.

Dopo la grande assemblea bolognese dell’ottobre scorso il movimento Non Una Di Meno ha lanciato lo Stato di Agitazione Permanente, sfociato nella oceanica manifestazione nazionale del 24 Novembre 2018 e ora rivolto alla costruzione dello sciopero femminista del prossimo 8 Marzo. Uno sciopero che non vuole solo essere evocato politicamente, ma costruito socialmente a partire dai territori, dai luoghi di lavoro, di formazione, di cura e riproduzione per arrivare a un blocco generale della produzione e della riproduzione di questo paese.

Siamo convint* che in questi percorsi ognun* debba fare la sua parte. Se per le donne la denuncia è un’arma spuntata, dobbiamo renderla un’arma affilata, capace di rispondere all’esigenza di produrre forme di soggettivazione, ricomposizione e organizzazione politica e sindacale contro la violenza maschile e intersezionale che informa il lavoro contemporaneo. Come sindacato sociale vogliamo dare il nostro contributo, anche attraverso alleanze e relazioni capaci di generare solidarietà conflittuale, e nuove forme di mutualismo alternative allo sfruttamento del lavoro e contro le molestie sessuali e tutte le forme di violenza di genere.

Un torno fatto a una/o è un torto fatto a tutte/i

8/3/2019 www.clap-info.net

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