Monologo di un etilista

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Parte 18

Difficilmente capitava di bere all’alba, difficilmente capitava di vivere una notte così bastarda, eppure il maestro le ricordava tutte. La nuvola sopra di sé diluì altre fisse “Ho commesso errori su errori in  vita, non potrei fare un sunto o un calcolo, rimarrei scioccato. Posso aggiungere di averli ripetuti in continuazione, perché non sono così scaltro da carpirne un esempio o un insegnamento. Non capisco come si possa affermare che dagli errori si traggano insegnamenti importanti, se, nel mondo da noi ideato, solo le vittorie e il successo personale-economico hanno un riscontro con la logica della fierezza e, per molti, un esempio di dignità”. Posò gli occhi su Giusi immersa nel sonno  e il pensiero  riprese quota “sei bella, Giusi! Forse chi ti compra, non lo vede, non lo sa. Io invece non so resistere alla tua dolcezza, a quel clima mite che emani. Gli altri penseranno che io sia un tipo facile, eppure in tanti anni ho solo sognato la serenità, la dolcezza di una donna e mai l’ho trovata. Tu sei una grande, Giusi mia!   Dormi ancora, provo io a fare il caffè!-

Lei aprì gli occhi per istinto, appena lo inquadrò li richiuse -Professò, non possiamo bere di mattina… come faccio poi ad alzarmi? E poi se mi dici quelle parole, rimango  a letto tutto il giorno. Sembro forte, Professò! Forse perché non piango davanti agli altri, ma io sono più fragile di un grissino-.

Renato accolse il risveglio di lei con un sorriso “posso darti ragione sul vino bevuto appena sveglio, non sul resto. Non mi  succedeva da tanto tempo  di guardare una donna dolce come te, mentre dorme. Non è dipeso da me, è uscito tutto spontaneo, Giusi-.

A lei non succedeva di svegliarsi davanti a un uomo che le parla serenamente. –Per me è diverso, Professò! Degli uomini ho conosciuto la vigliaccheria. Mi sono sempre vendicata con gli antipatici, quelli che vogliono fare i carini e poi, vai a vedè, mi schifavano davanti alla gente. Una puttana rimane puttana tutta la vita, Professò! Pure se sta male o è vecchia. Non facciamo pena a nessuno, noialtre. A me non interessa quello che pensano, perché fare la vita mi ha reso indipendente, quindi vaffanculo a tutta la gente falsa di sto monno-. Il maestro arrossì e in preda a una passione smodata s’inginocchiò –quando non rimane tanto tempo, difficilmente ci si dedica  a mentire, a meno che tu sia un infame, un codardo, un uomo di mezzo-. Giusi lo guardava estasiata, con le lacrime sul trampolino di lancio. Prese la mano di lei e si riallacciò al concetto –sai una cosa? Io non conosco bene il significato di puttana. Una donna va con un uomo. Se l’uomo paga o non paga a chi interessa? Tu, invece,  non sai  cosa significa uomo di mezzo, vero? L’uomo di mezzo è quello che sprezza  ciò che utilizza per piacere, che sia donna o vizio poco importa-.

La bella incantata annuì e trovò l’esempio giusto –Sei arrivato tardi, professò! Avrei voluto farti conoscere Anita. Batteva nella stessa piazza dove facevo affari io, mai un litigio, mai uno screzio! Ogni giovedì notte aveva appuntamento con un prete. Anita era la migliore di noi, pensa che si fece intestare una casa ed è morta a casa sua, frutto delle sue fatiche. Quel prete era un uomo di mezzo, uno che di giorno sputa sulle puttane e di notte le paga per godere-.

Il maestro scoppiò a ridere e baciò la bella incantata sulla fronte –avrei dovuto sposare te, menomale che sei arrivata-. Restarono in casa tutto il giorno, offrendo  uno all’altra, una all’altro, parte del cammino.

Antonio Recanatini

Poeta, scrittore. La sua poesia è atta a risollevare il sentimento della periferia, all’orgoglio di essere proletari e anticonformisti. Collaboratore redazionale di Lavoro e Salute

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