monologo di un etilista

arte ferro

Dodicesima parte

In strada guardò in faccia al mondo . Si dice che l’amore possegga i colori giusti per dipingere la realtà, in modo che sia sopportabile e accessibile il passaggio.

Al bar, l’aspettava Daniele, il barista di tutti –Carissimo Professore, che piacere vederti! In questi giorni anche Romeo ha chiesto di te, pare che ti vedano in pochi, invece ti conoscono tutti”.

Proprio in quel momento entrarono quattro re della strada in tuta arancione. Uno dietro l’altro danno la mano a Renato. Uno di essi si rivolge a lui in tono scherzoso “finalmente, Professò… lei non può mancare in questo posto non ci faccia altri scherzi…”

Renato sentiva la vergogna tipica, di chi non vorrebbe sentirsi di peso, vorrebbe passare inosservato in ogni sua volontà, in ogni sua tentazione. “Grazie, ma non dipende da me, se il fisico non regge più”. Prima che potessero rispondere, entrò Romeo, già abbondantemente ubriaco “ciao Professore… e finalmente sei tornato… e che ti hanno fatto?”. Erano passati solo tre giorni. Renato, tanto per rompere il ghiaccio, invitò tutti a bere un analgesico “posso offrirvi un bicchiere di rosso? Oggi tocca a me pagare. Io, però, ne bevo solo metà… prego Romeo!”

Tutti accettarono l’invito, tranne il fenomeno del bar “Oddio no, Professo’! Ieri ho bevuto vino, stamane ancora vino e già sono ubriaco”. Fece un giro su se stesso e si rivolse a Daniele “a me dammi il rum!”

In periferia ci si abitua presto a sentire certe divagazioni alcoliche.

Intanto, il più giovane dei quattro re della strada ne approfittò per riprendere il discorso, lasciato in sospeso con i colleghi “Professò, lo sapete che qua, pure gli straccioni parlano di macchine lussuose? C’è mio fratello che ha trovato un lavoro part time e già vuole comprarsi una macchina nuova… dice che gli serve più grande. Si accollerà altri debiti, debiti su debiti”. Il maestro fece un piccolo assaggio di rosso e, dopo aver mandato giù, disse la sua “ci vogliono debitori e noi facciamo di tutto per diventarlo. La crisi viene inventata per rendere il proletariato sempre più povero. I padroni hanno vinto, bisogna accettare la sconfitta e aspettare venti migliori. Non abbiamo altra scelta”. Romeo la vide come una resa, per cui non seppe contenersi –voi siete il vero problema, avete studiato, ma non capite. Adesso ti spiego io, Professò: I ricchi ci odiano, io non patteggio con loro, anzi se mi capita qualcuno gli sputo in faccia. Non aspetto, io so più vecchio e non ho tempo. Quelli come lei, professò, servono per frenare l’odio della gente vera. Io odio i ricchi e, soprattutto, odio i poveri che leccano i ricchi-. Prima che altri potessero prendere la parola, Daniele diede una mini strigliata al reuccio del bar “perché tu credi di essere un rivoluzionario ubriacandoti tutti i giorni?”

Il più vecchio degli operai, Marcello, alzò la mano, come fossero a scuola “ rincorrere i debiti per me è stato il primo lavoro. Io non voglio accusare, perché l’uomo è falso per sua natura. Io non nutro un gran rispetto per la vita. Anzi se esistesse sto’ Dio, io l’obbligherei a rispondere a questa domanda “perché mi hai messo al mondo?” Certo, i miei genitori avrebbero potuto farsi i cazzi loro, magari usare qualche precauzione. Se non fosse per i miei figli e mia moglie, l’avrei già fatta finita, questa è l’amara verità”. Ancora una volta, il più giovane, Riccardo, entrò nel discorso, riportando i suoi timori “non potete dirmi queste cose, io spero ancora di vivere felicemente…”

Romeo pareva lo stesse aspettando al varco “vedi giovane, noi siamo stati svezzati con le braciole, voi con hamburger e hot dog. La lasagna per noi era un festa, per voi un piatto da consumare ai self service. C’è molta differenza, giovane, ma tanta… tanta assai. Voi che ne pensate, professò? Dateci una risposta saggia, pe na volta” e scoppiò a ridere. Renato non si scompose “quelli come me sono fuori dai giochi. Non conta più nulla quello che penso. Me ne torno a casa dalla mia Giusi, sapendo che molti, qui in periferia, avranno da sparlare, da ridire, da sbeffeggiare. Già immagino le voci “ecco la puttana e il professore”. E’ cambiato tutto e io non sono al passo con i tempi, caro Romeo”.
Salutò la bella compagnia e si avviò verso casa: “Meglio il caldo abbraccio di Giusi, che i soliti rumori molesti e modesti”, si disse. Dopo venti metri percorsi a buona andatura, Massimo, l’amico immaginario, si piazzò davanti. “Potevi dire che oggi i giovani si iscrivono a casa Pound, un tempo s’iscrivevano in massa al grande Partito Comunista. Potevi dire che questa differenza ci porterà al massacro sociale, che diventerà un incubo, sarà la fine di tutto”. Il maestro rimase a bocca aperta, difficilmente succedeva d’incontrarlo da sobrio e in quei casi, tornava al bar per fare mattino. Quella volta non abboccò, rispose tranquillamente e senza fermarsi “non ho una certezza, le ho perse tutte. Vuoi fare la guerra e ammazzare gente che proviene dal basso, solo perché ignoranti? Lo sai meglio di me, tra di loro nessuno sa cos’è davvero il fascismo, altrimenti capirebbero il guaio, il dramma. Bisogna mirare in alto e noi abbiamo perso tutti i buoni cecchini. Ciao Massimo”.

Antonio Recanatini

Poeta, scrittore. La sua poesia è atta a risollevare il sentimento della periferia, all’orgoglio di essere proletari e anticonformisti.

Collaboratore redazionale di LeS

Prima parte n. 3 – giugno 2015 Seconda n. 4 – settemb. 2015 Terza n. 5 – novembre 2015 Quarta n. 1 gennaio 2016 Quinta n. 2 marzo 2016 Sesta n. 3 maggio 2016 Settima n. 4 luglio 2016 Ottava n. 5 settembre 2016 Nona n° 6 novembre 2016 Decima n° 1 – gennaio 2017 – Undicesima n° 2 – marzo 2017

Leggi i racconti precedenti su www.lavoroesalute.org

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