MONOLOGO DI UN ETILISTA

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La domanda rimase imbrigliata nell’aria.  La risposta non poteva essere diversa.  Disse  “io credo che i sogni muoiano con noi;  quando preme la nostalgia significa che c’è poco spazio, per  proporsi, pochi spazi  da rivivere.  Si chiama vecchiaia, nessuno vuol farci i conti. C’era un grande filosofo,  Sartre, da lui ho sempre attinto. Sai cosa scrisse?  -Sono le tre. Alle tre del pomeriggio è sempre troppo presto o troppo tardi per qualsiasi cosa tu voglia fare-. Noi che abbiamo cinquanta, sessant’anni, possiamo paragonarci alle tre di pomeriggio. Possiamo istruire i nascenti, i ragazzi, i giovani. Possiamo questo e poco più. Abbiamo perso il momento,  abbiamo perso la battaglia, ma pochi vogliono ammettere la sconfitta; forse proprio per questo motivo,  è tutto fermo.  La rabbia del proletariato è spenta. Se accettassimo la sconfitta, la caduta, allora potremmo farci forza, pe rialzarci.  Essere come i Partigiani-.

Giusi finse di capire, quel maestro l’incantava comunque, qualsiasi cosa dicesse.  Si lasciarono, dopo una promessa bugiarda, quella conosciuta dagli etilisti sfiniti -Renato, a presto-, -ciao Giusi, a presto-. Un bacio suggellò il distacco. Il maestro in pensione  finì la bottiglia e scivolò nei ricordi, nel punto più buio.  Massimo, l’amico immaginario, rientrò in gioco con un colpo infame,  “sei un alcolizzato, sei un bugiardo. La verità è un’altra, non servi alla lotta, non servi più a niente”.

Renato si voltò di scatto e lo interruppe, trattenendo a stento l’ira “tu sei diverso? Ti vedo solo io, ormai esisti solo per me. Non ho stretto i patti con i potenti, non devo rimproverarmi nulla. Nel corso della vita è doveroso cambiare giudizio sulla gente, specie quando ci troviamo di fronte  una persona diversa, da quella che fu. Di solito  è il ricordo a rallentare la nuova opinione, la mente rimurgina e il risultato s’attarda, come un topo che cerca di sfuggire alla trappola.  Oggi viviamo nell’incertezza,  l’uomo davanti allo specchio, non ha nemmeno le sembianze del ragazzo, con cui  condividevano vittorie e sconfitte. Tu ti senti diverso?”

Sferrò un pugno all’aria, convinto di colpire Massimo, poi si diresse in bagno. Il posto migliore per parlare allo specchio  “voglio crederci, voglio crederci ancora; seppur tutto ciò che gira intorno è destino.  Cos’è il destino? Il destino è una merda che cammina. Odio l’ipocrisia infallibile su cui l’uomo poggia i suoi ideali. Cos’è l’ipocrisia? L’ipocrosia è la capacità di condannare gli altri, per una colpa che, in ogni caso,  perdoneremmo  a noi stessi. Ipocrisia e destino sono le condanne più terribili, ma, ancora,  ci concediamo il lusso di snobbarle, fino all’ultimo”.   Tornò in camera e indossò  i vestiti di sempre, compreso l’impermeabile nero, fin sotto le ginocchia.  Solito bar, solita ordinazione: un litro di rosso e qualcosa da mandare giù, più in fretta possibile. Daniele, il proprietario,  prima di servirlo, s’informò sul suo stato di salute “Maestro, com’è andata con  Giusi, ieri?”

Gli etilisti sanno come rotolare nel pantano del vittimismo “niente di niente, come sempre del resto! Sono andato in pensione… in tutti i sensi”.

Daniele sorrise, conosceva perfettamente le vittime del mondo alcolizzato, ma  Renato meritava una parola in più “se ti può essere d’aiuto, a me va peggio. Ho pagato luce, gas, affitto e assicurazione dell’auto; sono al verde. Lavoro sedici, diciassette ore al giorno per riuscire a pagare tasse e imposte. Mio figlio sta male, ha una malattia rara,  una specie di distrofia  dello stomaco.  Mangia e perde peso, ha sempre la febbre, adesso hanno riscontrato un’endocardite. Visite e medicine a pagamento,  lo Stato non passa niente per  le malattie rare. Eppure a me chiede tutto. Questo è il risultato: nessuna giustizia, per nessuno di noi-.

Romeo entrò per il solito colpo di wisky al fegato,  salutò, alzando il pugno “siempre, siempre, siempre”. Difficilmente comunicava,  quando lo faceva, non era mai ovvio, mai banale  “un mondo migliore? Gli animali dovrebbero unirsi e dichiarare guerra all’uomo, altrimenti non ci sarà mai un mondo migliore”.  A Renato non sembrava  vero,  che quell’esternazione partisse da lui. La accolse con il rispetto dovuto alla maledizione e ai maledetti “credi che sia possibile solo con l’eliminazione dell’uomo?”

Romeo scolò il bicchiere, prese la sigaretta, quasi per non perdere tempo e rispose a suo modo “perché hai qualche dubbio, maestro?-

“Dubbio?”, rispose Renato, con il piglio della sua natura, “non è così, Romeo. Pensa, c’era un cattolico, che stimo ancora oggi. Un certo, Marcello Candia, vendette due fabbriche e con il ricavato costruisce un ospedale nelle zone più misere del Brasile, Rio delle Amazzoni. Era un credente, eppure a lui avrei stretto la mano. Aveva tre lauree, non era un cretino. Qualcosa di buono deve esserci in noi. E’ molto difficile  da scovare!”

Antonio Recanatini

Poeta e scrittore

Collaboratore redazione del periodico lavoro e Salute

Prima parte n. 3 – giugno 2015

Seconda nel n. 4 – settembre. 2015

Terza nel n. 5 – novembre 2015

www.lavoroesalute.org

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