Morire di ipotermia.

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Morire di ipotermia, di freddo, con le onde gelate alte quanto una palazzina è certamente orribile. Come deve essere stato orribile per coloro che si sono avventurati ieri nelle acque antistanti Lampedusa per tentare un miracolo, per salvare uomini e donne condannati a morte. Avendo avuto modo di conoscere da vicino alcune delle persone che spesso dalle Capitanerie di Porto sono chiamati a compiere simili tentativi, non vorrei augurare a nessuno di ritrovarsi nei loro panni, nel vivere gli incubi e i rimorsi che si porteranno addosso. Ma non sono loro a dover essere chiamati sul banco degli imputati per questo ennesimo atto di terrorismo internazionale. Come altro definire la scelta oscena di aver ridotto a “controllo delle frontiere”ogni intervento di soccorso in mare, che altra valutazione dare delle scelte operate dall’Unione Europea e di cui il governo italiano è drammaticamente complice. C’è da immaginarselo un processo vero e proprio per crimini contro l’umanità, crimini commessi in decenni di respingimenti, di mancati soccorsi, di inutili barriere per formare una fortezza Europa crudele quanto inutile.

Quanto avvenuto con l’ultima strage era previsto e prevedibile. L’operazione Triton e l’Agenzia Frontex, bei nomi con cui coprire i fallimenti politici avevano già preventivato questi “effetti collaterali”. Triton non permette alle imbarcazioni di avventurarsi oltre le 30 miglia marine dalle acque territoriali europee, l’agenzia Frontex, anche se potenziata dal punto di vista delle risorse e dei mezzi, non ha fra i propri compiti quello di garantire le operazioni SAR (di soccorso in mare), piuttosto quello di impedire che le frontiere vengano violate. C’è un pauroso margine di ipocrisia in tale assunto. Se i mezzi che viaggiano grazie alle risorse di Frontex incrociano in mare natanti che abbisognano di soccorso, sono obbligati a provvedere, ma le ragioni per cui tali mezzi perlustrano il Canale di Sicilia non sono quelle del garantire la sopravvivenza ai naufraghi. Il risultato che non può e non deve stupire è quello di ieri. Appena giunto l’allarme 2 motovedette italiane sono partite verso le coste libiche, sfidando il mare a forza 8, poi se ne sono aggiunte altre 2 ma giunte nei pressi dell’imbarcazione partita dalla Libia, non potevano far altro che raccogliere le persone, cercare di prestare un primo soccorso e poi cercare altri aiuti. Un mercantile non è riuscito a raggiungere le motovedette, il fattore tempo ha giuocato un ruolo fondamentale, molte delle persone raccolte erano allo stremo delle forze e avevano bisogno di una assistenza medica che in quelle motovedette non poteva essere garantita.

Con tutti i suoi limiti Mare Nostrum metteva in campo imbarcazioni più grandi, con personale medico e strumenti adeguati a bordo; tante persone sono state salvate da tale prontezza. Oggi tutto questo non c’è più. Lo ha deciso l’Europa e la responsabilità di queste morti ricade in pieno sulle istituzioni europee. È inutile prendersela con i “biechi trafficanti di carne umana”, le persone continuano a voler fuggire e lo fanno a qualsiasi costo. La stessa portavoce in Italia dell’Unhcr (Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati) Carlotta Sami, fa presente che le persone sbarcate in Italia nel gennaio 2015 sono in numero maggiore rispetto a coloro che sono giunte nello stesso mese del 2014. Non è per “colpa” di Mare Nostrum, come continua ad affermare Matteo Salvini, che in tanti si sono avventurati in un viaggio con altissimo rischio di morte, anzi c’è da aspettarsi che nei prossimi mesi, con l’intensificarsi dei focolai di guerra e il miglioramento delle condizioni marittime, saranno in tante altre e altri a provarci, pagando di più ai trafficanti, perché il rischio del viaggio è maggiore e sapendo che le possibilità di sopravvivenza al viaggio si ridurranno.

Il governo Italiano grazie alla chiusura di Mare Nostrum ha risparmiato. Quanto? Difficile dirlo, poche decine di migliaia di euro all’incirca visto che i mezzi della marina impiegati lo scorso anno per l’operazione unilaterale di salvataggio debbono comunque avere manutenzione, che i loro equipaggi vanno comunque pagati, che un ruolo continuano a svolgerlo. Ma anche se si trattasse dei 9 milioni di euro che tanto scandalo hanno alzato va fatta una scelta: valgono più o meno della vita di una sola persona? Beh se si pensa che la vita di una persona valga di più non bastano le lacrime di cordoglio del Commissario europeo all’Immigrazione Avramopoulos. Servono decisioni immediate e sono semplici. Immediata chiusura di Frontex e di operazioni alla Triton. Piano di salvezza europeo, con la realizzazione di corridoi umanitari che permetta a chi fugge di venire preso in prossimità dei paesi di provenienza e di poter trovare accoglienza in uno dei 28 Paesi d’Europa. Un continente di 509 milioni di persone che è ancora la potenza mondiale e industriale ha il dovere di farlo. Sospensione del Regolamento Dublino che obbliga i profughi a fermarsi nel primo paese di approdo e che quindi incentiva tanto gli egoismi nord europei quanto le lamentazioni fascistoidi presenti nell’Europa Meridionale. Un piano europeo di accoglienza che consideri il fatto che la guerra è emergenza umanitaria mondiale che non può chiudersi nei ristretti confini dei conflitti per l’espansione del “califfato” o nelle guerre dimenticate in Africa e in Asia. Piano europeo significa controllo, occupazione, inclusione sociale, crescita di tessuto economico, pratiche di espansione della cittadinanza.

Non sono la semplice risultante di un idea solidale di società ma anche di pragmatismo che permetta di considerare risorsa chi arriva e di ragionare in prospettiva di disinnesco dei conflitti come unica soluzione alle condizioni di esodo che ormai riguardano decine di nazioni. Ma il tempo è scaduto. O l’Europa accetta questo livello di sfida o lutti come quello di ieri ricadranno sulle prossime generazioni dell’intero continente.

Stefano Galieni

10/2/2015 www.rifondazione.it

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