Morire per arrivare in Europa: l’inferno degli e delle eritree in cerca di sicurezza

eritree

– C’è chi racconta di essere stato torturato, chi di aver subito abusi di ogni genere fino alla violenza sessuale: tutt* sono stat* vittima o testimoni dirett* di gravi episodi di violenza, tra cui la tortura, in più luoghi durante lo straziante viaggio che li ha portati via dal loro paese. L’inferno degli e delle eritree per raggiungere l’Europa è raccontato nell’ultimo rapporto di Medici senza frontiere “Morire per raggiungere l’Europa: Eritrei in cerca di sicurezza”, che dal 2015, ha fornito assistenza a più di 65.000 rifugiat*, richiedenti asilo e migranti in Etiopia, in Libia e in mare e qui ha raccolto testimonianze e dati contenuti nel dossier.

L’esodo continuo da un paese insicuro. Nel 2015 gli/le  eritree sono stat* il più grande gruppo ad attraversare il Mediterraneo centrale, nel 2016 il secondo dopo i /le nigerian* . Un dato considerevole, visto che la popolazione totale del paese è di soli cinque milioni e mezzo di persone: il 90 per cento riesce a ottenere l’asilo eppure i percorsi per raggiungere la sicurezza sono estremamente pericolosi e talvolta mortali. La maggior parte di intervistat* ha dichiarato a Msf di aver lasciato l’Eritrea per una serie di motivi, tra cui il servizio militare obbligatorio per un periodo di tempo indefinito, la violenza, la paura delle autorità, la mancanza di libertà e la povertà. “In Eritrea, non si vive da esseri umani. Il governo può mandarti in carcere, ti può condannare a morte”. Alcuni riferiscono di essere stati torturati, mentre è molto diffusa la pratica del lavoro forzato con minima remunerazione per periodi di tempo indefiniti. Quando una persona decide di scappare dall’Eritrea, affronta continuamente pericoli e potenziali abusi. Inoltre, chi fugge in Etiopia o in Sudan rischia di essere preso di mira dalle guardie di confine eritree. In Sudan, gli eritrei possono subire il rimpatrio forzato mentre in Etiopia faticano a sopravvivere senza lavoro o opportunità di istruzione. Per molt* eritre*, mettersi nelle mani dei trafficanti e dirigersi verso l’Europa attraverso il deserto del Sahara e la Libia rimane l’unica opzione.

Senza eccezioni, il viaggio è arduo. Attraversando il deserto del Sahara, eritre* e non solo sono ad alto rischio di soprusi, compresi rapimenti, torture, violenza sessuale, rapine ed estorsioni. I pazienti di Msf spesso riferiscono di aver assistito alla morte di molt*, poiché i trafficanti tentano di massimizzare i profitti senza alcun riguardo per la vita delle persone. Gli/le  eritre* e altri rifugiat* e migranti cadono dai veicoli sovraffollati che attraversano il deserto e sono lasciati a morire nel caldo soffocante. Altr* si ammalano e talvolta muoiono per mancanza di cibo e acqua. Una volta in Libia, affrontano abusi da parte di contrabbandieri, trafficanti, gruppi armati, milizie e agenti di sicurezza. La tortura e la violenza, compresa quella sessuale, sono “normali quanto mangiare un pasto”. Le persone intervistate da Msf  hanno raccontato di essere state colpite da armi da fuoco o di aver assistito a sparatorie. Nel 2016, sono comparsi immagini video della decapitazione di eritrei in Libia da parte dello Stato islamico, insieme a relazioni sulla cattura e la riduzione in schiavitù, compresa la schiavitù sessuale, di  eritree. Tra gli autori dei diversi tipi di violenza e degli atti crudeli subiti dagli e dalle eritre durante i loro viaggi vi sono le autorità, a volte insieme a gruppi armati. Alcune di queste stesse autorità ora sono finanziate dall’Unione Europea per impedire che eritre* e altre persone migrino verso l’Europa. Spesso anche gruppi armati non governativi – come contrabbandieri, trafficanti, rapitori, bande armate e singoli – sono segnalati come aggressori. Le armi e gli strumenti utilizzati includono armi da fuoco, coltelli, pietre, pali di metallo, cavi, calci di pistola, corde, fili elettrici, tubi, bastoni, mani e piedi del colpevole e minacce verbali, comprese minacce di morte.

L’appello di Msf: “Gli e le  eritree meritano sicurezza, protezione e un trattamento umano. Medici senza frontiere si dice consapevole che gli accordi di cooperazione sulla migrazione tra gli Stati membri dell’Ue e quelli africani contengono un numero crescente di riferimenti alla protezione e alla necessità di rispettare i diritti umani e le leggi in materia di asilo e di rifugiat*. Tuttavia, la stessa strategia dell’Ue di esternalizzazione dei controlli migratori in Etiopia, Sudan, Libia ed Eritrea genera proibizioni pericolose per la vita degli eritrei e delle eritree che desiderano fuggire dal loro Paese e cercare sicurezza altrove. “I tentativi di arginare la migrazione attraverso il rafforzamento dei confini nazionali e l’aumento della detenzione non frena le operazioni di contrabbando e il traffico di esseri umani, ma le alimenta, lasciando alle persone la sola scelta di pagare contrabbandieri e trafficanti che corrompono i funzionari per far superare i punti di controllo, attraversare le frontiere, oltrepassare le recinzioni e uscire dalle prigioni – sottolinea l’organizzazione -. Attraverso l’assistenza diretta dei e delle rifugiate eritree in Etiopia, in Libia e nel Mar Mediterraneo, abbiamo osservato le conseguenze mediche e umanitarie, compresa la morte, della situazione che uomini e donnen affrontano nella stessa Eritrea e durante il protratto soggiorno in Etiopia; della violenza fisica, psicologica e sessuale, della detenzione arbitraria e delle deportazioni in Sudan e Libia e delle pericolose traversate verso l’Europa”.

 Per questo l’ong chiede a Libia, Sudan e Stati europei di fermare il ritorno degli eritrei in patria o in un terzo paese da cui possano essere rimpatriati, secondo il principio internazionale riconosciuto di non respingimento.

Si appella inoltre all’Ue e ai suoi Stati membri per interrompere l’intermediazione di accordi migratori con paesi terzi che non offrono una protezione adeguata a eritre* e  altr* rifugiat* e richiedenti asilo, e di non mettere a loro disposizione fondi economici con la condizionale di prevenire la migrazione.

Tra le altre richieste: al governo del Sudan, c’è quella di garantire l’accesso ai servizi sociali essenziali per i e alle  rifugiat*, compresa la sanità di base, nei campi, in detenzione e in ambienti urbani.

Alle autorità libiche di astenersi dal detenere rifugiat*, richiedenti asilo e migranti, alla luce delle condizioni disumane di detenzione e dell’arbitrarietà di tale detenzione.

All’Unhcr, con l’appoggio della comunità internazionale, di aumentare radicalmente l’obiettivo delle quote di reinsediamento di rifugiati eritrei provenienti da Etiopia e Sudan, stanziando adeguate risorse e rafforzando la pressione sugli Stati che hanno la capacità di ricevere un numero maggiore di rifugiat* reinsediat*.

Infine, ad Australia, Canada, Stati Uniti, Stati del Golfo e altri paesi con la capacità di farlo, di aumentare le loro quote formali di reinsediamento e ricongiungimento familiare.

1/3/2017 www.redattoresociale.it

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