MORTI SUL LAVORO?

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Credo che nel trattare con le pinze questa quotidiana strage da sempre vissuta come normalità, tragica ma sempre normale nell’opinione comune, a prescindere dall’indignazione del momento, bisogna partire da uno stato delle cose, nel diritto del lavoro, debilitato da decenni di assenza del concetto di prevenzione sia dal punti di vista legislativo che nella pratica sindacale che pecca di radicata coegestione sindacale dei processi di involuzione subiti dai diritti nel mondo lavoro, a partire dai RLS si sono visti depredati della loro titolarità e sono mantenuti come comparse, ovviamente considerando le poche eccezioni ancor attive in tanti posti di lavoro.

Non possiamo fermarci a sperare che il problema degli infortuni sul lavoro si risolva potenziando le attività di vigilanza degli organi preposti. Questi, in realtà, possono operare , principalmente o forse meglio dire solamente, sul terreno della riduzione del danno, cosa importante, ma il problema è sistemico la mancata tutela della salute nei luoghi di lavoro va oltre la viigilanza strettamente sanitaria. con questo non voglio certamente affermare che la battaglia contro le le morti sul lavoro, gli infortuni e le malattie professionali, oggi sempre più disconosciute, è persa in partenza o che il lavoro degli organi preposti sia di pcoo peso o irrilevante, solo che ci fa bene restare ancorati alla realtà di oggi.

E allora quali altre strade in parallelo bisogna percorrere per una pratica realistica di riduzione drastica di infortuni, malattie professionali e morti?

Primo.
Un sistema di formazione, sindacale concreto, costantemente aggiornato e verificato nella sua efficacia, che parta dai dirigenti, dai quadri intermedi, dai vari preposti per estendersi poi a tutti i lavoratori, tenendo conto delle esigenze e peculiarità dei lavoratori (tra questi il problema del coinvolgimento dei lavoratori migranti) e tenendo conto delle tipologie di lavoro, lavoro a tempo indeterminato, lavoro a tempo determinato, lavoro stagionale, lavoro a chiamata, lavoro saltuario, e così via).

Secondo.
Un sistema capillarmente diffuso ed efficace di vigilanza e controllo da parte delle strutture pubbliche preposte, però assistito da una visione confluttuale con le parti datoriali, che sia in grado di garantire una effettiva possibilità che le imprese siano controllate a fondo e verificate per una concreta e rapida risposta alle richieste dei lavoratori e dei loro RLS, funzionale a una tempestiva capacità di intervenire in caso di infortuni e malattie professionali.

Percorrendo questa strada dobbiamo tener presente anche una pèricolosa e poco considerata situazione che potrebbe verificarsi nel prossimo futuro.

Consideriamo cosa sarà la tutela della sicurezza sui luoghi di lavoro con l’autonomia differenziata:

standard e indirizzi per il controllo di salute e sicurezza dei lavoratori saranno diversi in ciascuna regione. Lo stesso sarà per la formazione dei tecnici di vigilanza.

Nell’ultimo decennio leggi regionali non hanno imposto alle aziende l’adozione di impianti e tecnologie sicure, quindi è inimmaginabile che usino la loro autonomia legislativa per ricostituire dei reali servizi di tutela del lavoro dopo averli ridotti quando non smantellati; servizi che sicuramente saranno esternalizzati ai privati.
Di conseguenza l’autonomia differenziata inficierà la possibilità di conoscenza, debiliterà la lotta di denuncia e proposta che sarà ancora più difficile di quanto non lo sia adesso.

Questa prospettiva di ulteriore involuzione istituzionale rende ancora più urgente l’ntroduzione nel codice penale dei reati di omicidio sul lavoro e di repressione delle vessazioni di genere: mobbing, discriminazione, violenza e stalking sul lavoro.

Franco Cilenti

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