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    Blog, Cronache di Lavoro — Marzo 21, 2015 12:45 pm

    Con­trag­gono un debito di 12mila euro e arri­vano a Fiu­mi­cino, il padrone li prende col pul­mino e li porta diret­ta­mente nel luogo della loro schia­vitù. Iso­lati, lavo­rano in qua­ranta per sar­to­ria, nei sot­to­scala dei palazzi, 14 ore al giorno senza pausa dalle 6.30 alle 20.30 dal lunedì al sabato, la dome­nica dalle otto di mat­tina alle cin­que di pome­rig­gio, una paga che non supera mai i tre euro all’ora e seque­stro del pas­sa­porto. euro all’ora e seque­stro del pas­sa­porto. Sfruttati per fare abiti per griffe italiane. Un gruppo di «sarti» ha trovato coraggio e denunciato il datore di lavoro.

    Napoli. La rivolta degli schiavi bengalesi.

    Pubblicato da franco.cilenti

    Stamat­tina si sono dati appun­ta­mento alle otto a piazza Gari­baldi, in cor­teo andranno verso piazza del Gesù, l’intenzione è incro­ciare il cam­mino di papa Fran­ce­sco in visita a Napoli per con­se­gnar­gli di per­sona la let­tera che gli anno scritto. Sono la comu­nità migrante resi­dente in città e nell’hinterland par­te­no­peo, sono richie­denti asilo che non rie­scono ad acce­dere ai ser­vizi di cui pure avreb­bero diritto (e spesso fini­scono col dor­mire nella Sta­zione cen­trale), sono ambu­lanti sfrut­tati e cac­ciati via da piazza Gari­baldi per far posto al pro­getto Grandi sta­zioni, sono la comu­nità ben­ga­lese che cuce i vestiti per le mar­che ita­liane. «Non più schiavi ma fra­telli ha detto il papa – rac­con­tano – e così ci siamo detti ‘ma parla pro­prio di noi’. Non importa di che reli­gione siamo, appar­te­niamo alla stessa uma­nità ed è in nome di que­sto che abbiamo scritto al Papa».

    Nella let­tera rac­con­tano di aver tro­vato l’inferno in Ita­lia, ma alcuni di loro hanno avuto il corag­gio di denun­ciare chi li sfrut­tava: «Da que­ste tene­bre alcuni di noi sono venuti fuori, tirando fuori anche altri». Sono i lavo­ra­tori ben­ga­lesi del distretto tes­sile dis­se­mi­nato nell’hinterland a nord di Napoli, tra Grumo Nevano, Casan­drino e Sant’Antimo. Sup­por­tati dall’associazione 3Febbraio, hanno denun­ciano alla Dda di Napoli la loro con­di­zione di schiavi. Attra­verso la pro­cura hanno otte­nuto il per­messo di sog­giorno per pro­te­zione sociale e grave sfrut­ta­mento lavo­ra­tivo. Una misura appli­cata per le donne sot­to­po­ste a tratta e costrette alla pro­sti­tu­zione, per la prima volta la pro­te­zione sociale viene estesa anche a dei lavo­ra­tori. A ribel­larsi all’inizio erano in pochi, poi però la rete di asso­cia­zioni, par­roc­chie e avvo­cati li ha aiu­tati: a pre­sen­tare denun­cia sono stati un cen­ti­naio, una ven­tina hanno già otte­nuto il per­messo di sog­giorno.
    Sono circa due­mila nel distretto a nord di Napoli, altret­tanti risie­dono a Palma Cam­pa­nia, le sto­rie si asso­mi­gliano: nella loro comu­nità in patria vive Sheik Moham­med Alim, «un uomo potente, ha più di 200 case» rac­con­tano, è lui che li avvi­cina oppure un suo fami­liare, la pro­messa è un lavoro a Napoli come sarto per 2mila euro al mese. Alim pensa a tutto: docu­menti, viag­gio, allog­gio, lavoro. Così con­trag­gono un debito di 12mila euro e arri­vano a Fiu­mi­cino, il padrone li prende col pul­mino e li porta diret­ta­mente nel luogo della loro schia­vitù. Iso­lati, lavo­rano in qua­ranta per sar­to­ria, nei sot­to­scala dei palazzi, 14 ore al giorno senza pausa dalle 6.30 alle 20.30 dal lunedì al sabato, la dome­nica dalle otto di mat­tina alle cin­que di pome­rig­gio, una paga che non supera mai i tre euro all’ora e seque­stro del pas­sa­porto. Gli ultimi arri­vati mon­tano la sera e cuciono fino al mat­tino. Se ti ribelli vieni per­cosso, se non lo fa Alim ci pensa uno dei suoi kapò.

    I ragazzi rac­con­tano e mostrano le ferite, uno di loro a una cica­trice sulla fronte: gli hanno sbat­tuto la testa sulla mac­china da cucire.
    «Dopo sei mesi – rac­conta Tifur – cre­devo di aver pagato il mio debito ma con­ti­nuavo a non rice­vere lo sti­pen­dio. Dopo un anno ancora niente. Ci sono voluti ancora mesi per strap­pare una paga di 250 euro. Un nostro col­lega lo ha denun­ciato, la poli­zia è arri­vata a casa sua in Ban­gla­desh per arre­stare la fami­glia, si sono sal­vati solo per­ché l’ambasciata ita­liana ha man­dato il testo della denun­cia e ha garan­tito per loro. Alim è potente in patria e anche qui. ‘Nes­suno mi fa niente’ ci ripete, ‘è inu­tile che denun­ciate. Io lavoro solo per le mar­che’, ti fa sen­tire da solo senza nes­suna alternativa».

    Pro­du­cono capi per grandi mar­chi locali che si stanno facendo largo sul mer­cato, gli inter­me­diari tra le firme e il pro­dut­tore sono tutti ita­liani. Da quando sono arri­vate le denunce sono comin­ciati anche i con­trolli: «Fun­ziona così – spiega Gian­luca Petruzzo di 3Febbraio -, forze dell’ordine, ispet­tori del lavoro e dell’Asl si riu­ni­scono nella piazza di Sant’Antimo, il paese del potente depu­tato Luigi Cesaro. Tutta la cit­ta­di­nanza se ne accorge, i pro­prie­tari delle fab­bri­che ven­gono avver­titi e così i lavo­ra­tori scap­pano dalle fine­stre. Del resto ad Alim l’Inps ha chiuso la sar­to­ria per irre­go­la­rità, lui ha pagato una maxi­san­zione di 2/300mila euro e dopo due giorni era di nuovo in affari».

    Adriana Pollice

    20/3/2015 www.ilmanifesto.info

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    Autore: franco.cilenti
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