Nel Molise la sanità pubblica è stata suicidata

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Dove eravamo rimasti?

Alla fine del 2021 la situazione sanitaria in Molise, in piano di rientro da oltre 13 anni, registrava l’assenza di un centro Covid (unico caso in Italia), con conseguente intasamento dell’ospedale hub di Campobasso, una carenza di medici ospedalieri generalizzata che ha portato alla chiusura parziale o totale di molti reparti, l’eliminazione di molte postazioni del 118 e l’inizio di un progressivo smantellamento degli ospedali spoke di Termoli e Isernia.

Già allora tutto il basso Molise, cioè circa un terzo della popolazione, era praticamente privo di assistenza sanitaria, ma nel corso dell’ultimo anno questa condizione si è pericolosamente estesa anche al resto della regione. I già pessimi punteggi per i livelli minimi di assistenza hanno continuato a precipitare nella pressoché totale indifferenza dei vertici dell’azienda sanitaria, del governo regionale e centrale e della politica.

Anzi, parrebbe che dietro questo processo di annientamento della sanità pubblica ci sia un disegno preciso, e una delle conseguenze è che i concorsi indetti dall’Asrem per assumere i medici vanno puntualmente deserti. Persino le procure sembrano interessate ad altro e a nulla sono valse le azioni legali intraprese da comitati e cittadini, in particolare dopo i catastrofici risultati della gestione pandemica che ha fatto registrare in Molise il più alto tasso di mortalità per Covid in Italia.

Cosa è cambiato in quest’ultimo anno che doveva rafforzare la sanità dopo la pandemia?

In estrema sintesi: siamo ancora commissariati. Il centro Covid continua a mancare, poiché l’ala covid individuata presso il Cardarelli di Campobasso, fortemente sostenuta dal Commissario Toma, non è mai stata realizzata né, presumibilmente, lo sarà, per motivi tecnici e contenziosi legali con la ditta appaltatrice. Il Vietri di Larino rimane tristemente inutilizzato. Del Caracciolo di Agnone, ospedale di area interna montana e problematica dal punto di vista orografico, non rimane nulla, dato che persino il servizio di Pronto Soccorso non può più essere assicurato perché gestito dagli stessi medici del Veneziale, già in numero assolutamente insufficiente per coprire i turni nell’ospedale isernino. Si aggiunga la recente chiusura nel Veneziale di Isernia del reparto di psichiatria, unico presidio provinciale, pediatria a rischio con un solo medico, punto nascita a rischio per mancanza di medici, idem per il Pronto Soccorso diretto dal dottor Pastore, più volte fatto oggetto di provvedimenti disciplinari per aver denunciato le gravi carenze della sanità, dove i quattro medici rimasti hanno minacciato le dimissioni per le condizioni di lavoro rischiose e insostenibili.
E’ di questi giorni il caso emblematico del primario di chirurgia che l’Asrem ha deciso di sostituire con altra figura proveniente da ambienti accademici, nonostante l’eccelso e faticoso lavoro del dottor Vigliardi di mantenere operativo il reparto.

Quanto al San Timoteo di Termoli, stessi problemi di Isernia, ma con un processo di smantellamento già avanzato e prossimo alla conclusione. Il Cardarelli di Campobasso rimane, quindi, punto di approdo di tutti i malati della regione, ma anche qui la carenza di medici e strutture, in particolare la mancanza di posti letto, non consente di prestare cure adeguate a molti pazienti che spesso devono essere ricoverati fuori regione, contribuendo ad aumentare la spesa sanitaria per mobilità passiva.

Sul fronte della sanità privata accreditata, ricordiamo che il progressivo smantellamento degli ospedali pubblici si è affiancato negli anni all’aumento di posti letto e budget concessi per la gran parte ai due principali colossi Neuromed e Gemelli SPA e per una quota minore alle altre circa 20 strutture accreditate sul territorio.

Attualmente il 43% dei posti letto e il 40% dei 600 milioni annui attribuiti alla regione Molise per la sanità sono del privato. Il messaggio che la politica di destra e di sinistra ha voluto far passare è quello secondo il quale pubblico e privato accreditato sono equivalenti in termini di costi e prestazioni, e, anzi, la presenza del privato sul territorio sarebbe addirittura salvifica poiché assicurerebbe le cure laddove il pubblico non può più far fronte alle richieste.

Rimane, allora, il problema di spiegare perché, a seguito dei tagli e delle chiusure dei reparti e di interi ospedali pubblici, permane e addirittura continua a crescere il debito sanitario che condanna il Molise ad una eterna situazione di commissariamento e che stranamente il governo centrale non riesce a risolvere. Intanto si palesa già una possibile fusione del Cardarelli con il Gemelli e corre voce che la Neuromed voglia attrezzarsi con un Pronto Soccorso.

E’ notizia recente che il governo centrale voglia proporre di equiparare gli IRCCS privati (Istituti di Ricerca e Cura a Carattere Scientifico) alle strutture pubbliche, tra l’altro a questo progetto stava già lavorando Draghi. Le conseguenze di questa eventualità sono facilmente immaginabili. Intanto l’AIOP Molise (Associazione Italiana Ospedalità Privata) rappresentata tra gli altri dal presidente di Gemelli Molise Stefano Petracca e dal presidente del Neuromed Luigi Frati, ha pubblicamente dichiarato che il debito sanitario in Molise non è responsabilità del privato dacché con la mobilità attiva dei pazienti che arrivano da fuori regione queste strutture contribuiscono all’attivo dell’azienda sanitaria e sono, pertanto, un bene da preservare.

Sarà così, ma la mortalità aumenta e i servizi sanitari sono al lumicino. E’ passato ormai più di un anno dalla campagna di raccolta firme promossa dal Forum per l’intervento di Emergency in aiuto della disastrata sanità molisana. Non 100, non 1000, ma ben 14000, rimaste tristemente ignorate sul tavolo di Draghi e di Speranza, insieme a tante altre istanze mai considerate, ed ora si assiste ad una penosa sequela di messaggi di scuse, di spiegazioni, di prese di posizione per salvare la sanità pubblica. I colpevoli si discolpano, gli ignavi si giustificano, i furbi dell’ultim’ora recitano un’innocenza da Oscar e la gente si accontenta di saltare la pubblicità durante la proiezione di questo film dell’horror, stanca, delusa e fiaccata da mille problemi.

Alla fine, tutti sanno che in Molise se si viene colpiti da un infarto o da un ictus o si è vittime di un incidente grave, rimane una lapide, e allora che si fa? Si continua a sperare che le cose cambino, che il Supermario del momento risolva. Ma di eroi non ce ne sono più e anche l’idea che il privato accreditato possa essere la soluzione al disastrato e spendaccione sistema pubblico comincia a vacillare davanti all’evidenza di liste di attesa improponibili, impossibilità di ricovero in regione e servizi territoriali assenti.

Sebbene una larga fetta di popolazione accetti ormai con rassegnazione la catastrofe sanitaria in atto, occorre però registrare qualche segnale positivo. Alcuni sindaci, consapevoli delle disastrose condizioni dei loro territori, stanno cercando di fare rete per far sentire la loro voce presso il governo regionale e centrale. Sia il sindaco Gravina di Campobasso che il sindaco Castrataro di Isernia hanno organizzato sedute pubbliche sul tema sanità, come altri sindaci di centri minori. La risposta dei vertici regionali, probabilmente per arginare un’azione ritenuta pericolosa, è stata quella di proporre al sindaco Castrataro, cioè il più aperto ad ascoltare le istanze di cittadini e comitati, la costruzione di un nuovo ospedale, come se il problema fosse l’edificio e non chi o cosa contiene.

Troviamo queste strategie piuttosto penose, e soprattutto non sembrano più funzionare. Dall’ultima seduta consiliare aperta del comune di Isernia, tenutasi il 22 novembre presso L’Auditorium della città, disertata, guarda caso, dai vertici regionali, dal direttore generale dell’Azienda Sanitaria e dai parlamentari neoeletti, è scaturita la volontà di sottoscrivere un documento comune da condividere in seno alla conferenza dei sindaci per formalizzare richieste specifiche da portare nelle sedi romane. Gli interventi nel corso della seduta sono stati numerosi, soprattutto da parte dei medici degli ospedali della provincia, dei comitati in difesa della sanità pubblica e di politici regionali.

Quale interpretazione si può dare di questa iniziativa? In linea generale e da un punto di vista puramente teorico, il giudizio è positivo perché ridà centralità al territorio e sposta potenzialmente il processo decisionale dai vertici alla base, poiché, sebbene i sindaci non abbiano poteri rispetto alla gestione sanitaria se non limitatamente a circoscritte situazioni di ordine pubblico, è pur vero che essi rappresentano l’anello di congiunzione tra la società civile e i grandi poteri nazionali e sovranazionali, e un loro intervento massivo, primo baluardo a difesa del territorio e della popolazione, potrebbe indurre il governo a rimodulare il modello di gestione della sanità. Circa il reale impatto dell’azione, però, ci sono parametri, soprattutto ideologici, che potrebbero vanificare il processo. Questo punto è nodale. Un concetto che ha caratterizzato questi eventi, e che in qualche modo ne è stato filo conduttore, è quello secondo il quale, essendo il diritto alla salute un tema che coinvolge tutti, indipendentemente dalle posizioni ideologiche, occorre concordare soluzioni che prescindano da appartenenze politiche. Cioè il problema andrebbe affrontato non politicamente ma secondo i dettami costituzionali (art. 32) e nel modo più sostenibile possibile dal punto di vista economico (vincoli di bilancio, regolamenti europei, ecc,). Questo approccio è estremamente comodo, mette tutti d’accordo e allarga il fronte di intervento, ma reca con sé il cavallo di troia del privato accreditato.

A nostro parere il problema è SOLO ed esclusivamente politico. Non basta organizzare il sistema sanitario secondo dettami di efficienza, occorre che il sistema sanitario sia pubblico e di qualità, come il Forum sostiene da tempo, e ciò per un motivo molto semplice: la sanità gestita dal pubblico è un capitolo di spesa da finanziare in funzione dei bisogni della popolazione, suscettibile certamente di aggiustamenti di bilancio e di ottimizzazione dei costi, ma non di tagli che tolgano servizi essenziali. Neppure è pensabile di accreditare i privati anche per prestazioni ordinarie fino quasi ad equiparare i due settori, come in realtà sta accadendo, perché per il privato, secondo le più elementari regole economiche, la sanità è un investimento che deve produrre un profitto e dunque la salute si riduce ad una merce.

Ne deriva che le strutture accreditate nel lungo periodo costeranno molto di più di quelle pubbliche e si arriverà all’impossibilità da parte dello stato di sostenerne i costi, con l’ovvia conseguenza che il pubblico non ci sarà più e il privato sarà a totale carico del cittadino, magari in forma assicurativa come in altri stati del mondo. Perderemo uno strumento prezioso di civiltà che era il nostro sistema assistenziale universale, gratuito e accessibile a tutti. Inoltre, la qualità delle prestazioni delle strutture accreditate potrebbe scadere nel tempo perché non soggetta di fatto ad alcuna forma di concorrenza, dato che già oggi le strutture private accreditate sono sostanzialmente un oligopolio in mano a pochissimi investitori.

Lo stato sarà più debole e ricattabile, i cittadini saranno meno tutelati e molti non avranno più accesso alle cure. Allora, ben venga l’alzata di scudi dei sindaci (ammesso che ci sarà davvero), ma che difendano la sanità pubblica e intendano chiaramente quella privata solo di appoggio per casi del tutto particolari. Diversamente è tutto perduto. Questa condizione è particolarmente necessaria in Molise dove troppo spesso chi gestisce le strutture private ricopre cariche politiche anche a livello europeo.

Dott.ssa Lucia Pallotta

Presidente del Comitato ”Veneziale Bene Pubblico”. Forum Difesa Sanità Pubblica Molise

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