No a Diritti differenziati

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Mentre i decessi crescevano esponenzialmente, la tracciabilità dei contagi era a forte rischio, molte strutture o reparti ospedalieri rischiavano il collasso, nella NADEF 2020, approvata con risoluzioni dalle Camere il 14 ottobre, il Governo ha posto tra i disegni di legge collegati al Bilancio
2021 anche un DDL – “Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata di cui all’articolo 116, 3 comma, Cost.” – recante interventi per favorire l’autonomia differenziata: l’attribuzione di forme e condizioni particolari di autonomia in 20 materie attualmente di legislazione concorrente stato-regioni (tra cui sanità, infrastrutture e trasporti, beni culturali, sicurezza sul lavoro) e in 3 materie attualmente di legislazione esclusiva dello Stato (istruzione, ambiente, giustizia di pace).

Ciò significherebbe che la legge quadro di Boccia, lasciapassare per i progetti di autonomia differenziata richiesti dalle regioni più ricche, verrebbe probabilmente approvata con voto di fiducia dal Parlamento, senza essere sottoposta a discussione e senza poter essere sottoposta a
referendum, in quanto incorporata in una legge di Bilancio. Un vero colpo di mano per una legge che può determinare lo stravolgimento dell’assetto istituzionale del nostro Paese ed accentuare le già crescenti differenze fra le regioni ricche e quelle povere; per costituire 20 (tanti quante sono le regioni) sistemi di istruzione, sanitari, infrastrutture, beni culturali e ricerca, gestione ambientale: solo alcune delle materie importantissime implicate nel progetto. Contemporaneamente – – e non a caso – si paventa di non prorogare più nella nuova legge di bilancio, dopo dieci anni di rinvii, l’attuazione del federalismo fiscale, a sua volta destinato a favorire le regioni più ricche, come ha benissimo dimostrato Marco Esposito nel suo “Zero al Sud”.

Le Camere, dunque, hanno avallato una decisione del Governo che mira ad accelerare, pur essendo in tempo di pandemia, l’iter di un disegno di legge che mina alla radice l’uguaglianza dei diritti, che devono esser fruiti in modo uniforme sull’intero territorio della Repubblica; la solidarietà definita dall’art. 2 della Carta; il concetto stesso di autonomia costituzionalmente determinata, come espressa nell’art. 5. La rivendicazione dell’intero blocco delle 23 materie, già richiesta dal Veneto, costringerebbe di fatto tutte le altre regioni – e non solo Lombardia e Veneto; al momento solo il Molise non ha annunciato la presentazione di bozze di intesa – a seguirne l’esempio e si avrebbero così 20 legislazioni diverse per ciascuna di esse. E’ già successo con l’assistenza sanitaria: sarebbe ingiusto, disgregante ed eversivo dell’unità indivisibile della Repubblica e dell’uguaglianza dei diritti di tutte e tutti.

Una lezione emerge, infatti, con chiarezza dagli ultimi 20 anni di gestione regionalistica della sanità e dall’emergenza epidemico/sindemica Covid-19 che stiamo vivendo: il nostro Paese è già andato fin troppo lontano sulla strada della autonomia delle Regioni e di quello che potrebbe definirsi “neo centralismo regionale” a scapito della stessa autonomia amministrativa dei Comuni. Sono sotto gli occhi di tutti da mesi le prese di posizione scomposte ed il rimpallo di responsabilità, in un continuo e spericolato scontro istituzionale fra Stato e Regioni, con un protagonismo spregiudicato dei cosiddetti “governatori” e la scarsa capacità dell’Esecutivo di assumere le proprie responsabilità, secondo il dettato del II° comma dell’art. 120 della Costituzione.

E’ per questo che il Comitato nazionale Per il ritiro di ogni autonomia differenziata, l’unità della Repubblica e la rimozione delle diseguaglianze, che da due anni si batte per respingere il progetto eversivo di autonomia differenziata, ha – -insieme alla Rete dei numeri pari, con l’adesione di altre associazioni, forze politiche e sindacali – promosso una serie di iniziative per chiedere al Governo di ritirare il DDL. Tanto per tener viva la tradizione che ha caratterizzato tutta la partita dell’autonomia differenziata, sin dal 28 febbraio 2018, quando il Governo Gentiloni siglò le preintese con Veneto, Lombardia, Emilia Romagna, il testo del DDL è anche questa volta rigorosamante top secret. Tutto il percorso è stato, infatti, volontariamente sottratto alla conoscenza del popolo, sulla cui pelle si gioca una partita importantissima: quella della liquidazione definitiva di tutto ciò che è pubblico. E’ evidente, infatti, che una competenza legislativa esclusiva delle regioni in 23 materie strategiche – tra cui istruzione, ambiente, sanità, infrastrutture, beni culturali, sicurezza sul lavoro – non potrà che portare ad un giro di vite definitivo della tendenza – già avanzatissima – alla privatizzazione (prova ne sia la sanità lombarda, attualmente a legislazione concorrente stato-regione, privatizzata al 40%); definitivamente la legge del profitto prevarrà sui bisogni delle persone, sul principio di uguaglianza e solidarietà, sui diritti universali.

Il DDL Boccia, nonostante la segretezza del testo, affida alla definizione dei Lep – Livelli essenziali di prestazione – la rimessa in moto del progetto di autonomia differenziata; concedere – dopo più di 20 anni che lo Stato non ha assolto a questo compito – alla Calabria il livello “essenziale” aprirebbe le porte alle pretese fameliche di altre regioni, da sempre ben oltre quegli standard, come ha ancora dimostrato Marco Esposito a proposito della macabra storia del federalismo fiscale. Istituzionalizzare le diseguaglianze, renderle per sempre legittime: questo significa “Lep”; là dove un’interpretazione corretta dei principi fondamentali della nostra Costituzione suggerirebbe che i livelli di prestazione dovrebbero essere “uniformi”.

Il ritiro del DDL Boccia – collegato o meno alla legge di Bilancio – non è sufficiente. Le iniziative promosse culmineranno infatti nella giornata del 18 dicembre, quando in decine di piazze di città italiane – a partire da piazza Montecitorio a Roma – per chiedere l’apertura nel Paese di un vasto dibattito sulle conseguenze della riforma del Titolo V della Costituzione e nel frattempo sospendere ogni discussione e decisione in ordine a forme di autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario. Al tempo stesso è stato preparato un odg per per impegnare sindaci e giunte comunali a riportare con urgenza in ogni forma e ad ogni livello istituzionale – parlamentare, governativo, regionale – il contenuto dello stesso ordine del giorno quale espressione di volontà della rappresentanza della propria comunità.

Chiediamo che chiunque abbia a cuore la democrazia e l’uguaglianza in questo Paese ci aiuti a far crescere questa campagna e, insieme ad essa, la consapevolezza dei cittadini su una materia, certamente complicatissima, ma rispetto alla quale non dovrebbero esserci indugi, pigrizie, noncuranze: la partita è clamorosamente drammatica. A questo proposito il Comitato Per il ritiro di ogni autonomia differenziata, l’unità della Repubblica e la rimozione delle diseguaglianze propone incontri di formazione, per ampliare la conoscenza, avvicinando le persone al combinato di temi e di insidie che l’autonomia sollecita: il 27 novembre la prof. Marina Calamo Specchia ha illustrato il ruolo del Parlamento dopo il referendum del 26 settembre e la forte connessione tra quella riforma e il progetto di autonomia differenziata. L’11 dicembre alle ore 16 il prof. Michele della Morte – membro della commissione Boccia – ci aiuterà a capire lo stato dell’arte sull’autonomia differenziata; il 16 dicembre il prof. Gaetano Azzariti parlerà del comma 3 dell’art. 116 della Costituzion; in gennaio ancora la prof. Calamo Specchia su regionalismo, art. 5 della Costituzione e bicameralismo paritario.

Comunque la si pensi, abbiamo tutti il dovere di prendere una posizione – da ora – sulla “scorciatoia” del DDL Boccia come collegato in legge di Bilancio. Non è mortificando le procedure democratiche, la conoscenza e la partecipazione dei cittadini che si può pensare di far passare in progetto in conseguenza del quale l’Italia non sarà più “una Repubblica democratica fondata sul lavoro”: è sottesa all’autonomia differenziata una subdola riforma istituzionale; non sarà più “compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli”, con relativo annullamento del principio di uguaglianza: ci penseranno le regioni, con i loro modi, il loro gettito fiscale trattenuto, il loro approccio economico volto al neoliberismo più o meno spinto; la Repubblica non “richiede più i doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”; si perverrà ad una sostanziale cancellazione dei diritti inviolabili e universali, attraverso la cessione della potestà legislativa su diritti fondamentali. E il patto repubblicano?

Marina Boscaino

Portavoce nazionale Comitato contro ogni Autonomia Differenziata

Pubblicato sul numero di dicembre del mensile Lavoro e Salute

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