NOI INFERMIERI? PER UN PIANO STRAORDINARIO DI ASSUNZIONI

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di Iuri Accardo e Pierdomenico Di Terlizzi

Il Covid è tornato a colpire ad alta intensità l’Italia abbastanza inaspettatamente nei mesi estivi e per gli infermieri negli ospedali la situazione è tornata al limite: l’indennità promessa ancora non si è vista, le ferie sono a rischio, si fanno straordinari in continuazione per coprire le assenze, c’è chi è ancora a casa perché non vaccinato mentre chi è in corsia continua a contagiarsi.

Quella che stiamo attraversando è un’estate particolare, perché veniamo da due anni in cui al personale è stato chiesto di non fare le ferie ma quest’anno bisogna consentire al personale di riposarsi. Se si parla di sindrome post Covid sappiamo anche che la maggior parte dei sanitari è stata colpita dal virus. A tutto questo si somma il fatto che ci sono ancora lavoratori sospesi, i positivi, poichè come aumentano i casi tra la popolazione aumentano anche tra gli infermieri.

Questa situazione sembra peggiorare di settimana in settimana, mettendo a rischio la tenuta del sistema. Se ci sono ferie programmate e chi lavora si contagia, interi reparti vanno in crisi. Purtroppo accade di far saltare i giorni di riposo e aumentare gli straordinari con il rischio che le stesse ferie estive possano non essere garantite, con conseguente aumento di rischio di Sindrome di Burn-Out.
Per non parlare dei disagi in cui diverse categorie, sopratutto infermieristiche, sono sottoposte come gli spostamenti da un reparto ad un altro.

Le strade dunque sono due: o si riduce l’attività tagliando i servizi ai cittadini, accorpando i reparti e rimandando gli interventi, o non si garantiscono le ferie al personale. Solitamente è preferita la prima opzione, dal momento che in genere cala la domanda di assistenza sanitaria durante la bella stagione.

Viviamo da due anni in una totale incertezza, in uno stato di estrema precarietà. Si spiega dunque un fenomeno nuovo, quello delle dimissioni: la metà del personale che cessa il rapporto di lavoro non è per pensionamento, ma per dimissione. Altro che posto pubblico.

Questo tema riguarda anche e soprattutto i giovani. Il primo problema è economico, il secondo è il disagio che comporta questa professione: lavorare sabato e domenica, notte e giorno, per le nuove generazioni è un peso e si cercano opportunità di lavoro differenti. Il terzo è l’assenza di una possibilità di carriera: agli studi non corrispondono stipendi più alti e mansioni diverse. Oggi non c’è differenza tra chi possiede la laurea triennale e chi la specialistica e magari un paio di master. Negli ospedali abbiamo delle risorse e delle potenzialità che non vengono valorizzate.
E infine, ma non meno importante, c’è la questione dell’indennità che è esemplare dell’insoddisfazione degli infermieri. Non abbiamo ricevuto alcun riconoscimento, ora forse qualcosa con il contratto a fine anno, ma parliamo dei soldi che aveva stanziato il governo Conte due anni fa e che i medici hanno ricevuto subito. Agli infermieri e le altre categorie del Comparto, NIENTE, neanche per ringraziare per quello che abbiamo fatto finora. Nel frattempo i posti messi a bando dalle università non vengono riempiti tutti. Il sistema sta per crollare: se gli atenei continuano a sfornare più medici che infermieri, ci chiediamo chi, tra cinque o dieci anni, garantirà l’assistenza ai pazienti, a maggior ragione se si verificherà un’altra pandemia o emergenza.

Si inserisce qui un tema che resta caldo in questi mesi: il cosiddetto super oss, figura inquadrata da una delibera recentemente approvata in Veneto che fa riferimento alle case di riposo. Va detto che la sanità italiana funziona con regole del secolo scorso, ossia quelle dettate dal Decreto ministeriale del ’94, che ha ormai quasi trent’anni. Alla luce delle problematiche che affliggono il comparto sanità, sarebbe il caso di rivedere finalmente un sistema di competenze ormai datato. Ma non si può mettere mano a una sola categoria. Se vogliamo riscrivere il profilo delle figure di supporto, come gli operatori socio-sanitari, allora bisognerebbe fare lo stesso per gli infermieri.

A un maggiore livello di formazione dovrebbero corrispondere maggiori competenze e maggiori responsabilità. Se ciò vale per gli oss con formazione complementare, figura che peraltro esiste dal 2003, deve valere anche per gli infermieri, che non sono tutti uguali. Un infermiere con master o laurea specialistica non può essere equiparato, sul piano delle competenze, a un infermiere di base con laurea triennale. Anche per gli infermieri, quindi, va fatto lo stesso discorso che in Veneto si sta facendo per gli oss. E naturalmente i compensi devono essere adeguati alle competenze che ciascun operatore, oss o infermiere che sia, ha la capacità di esprimere in base al proprio livello di formazione.
Il super oss rimane sotto la responsabilità dell’infermiere, al quale spetta il compito di attribuire incarichi e supervisionare. Ciò è più che giusto, perché agli oss, sempre per un discorso di differente livello formativo, non si può lasciare autonomia su materie di competenza infermieristica. Non poche perplessità suscita invece la possibilità per gli oss di somministrare terapie farmacologiche. Una possibilità che rischia di dequalificare l’assistenza infermieristica. Quello dei farmaci, infatti, è un campo molto delicato e richiede studi specifici, che gli infermieri affrontano durante il percorso di laurea.
Un altro aspetto della delibera che non convince è quello inerente il tirocinio, che l’oss con formazione complementare dovrebbe svolgere nelle strutture del Sistema sanitario regionale. La domanda è: se andrà a lavorare in una casa di riposo, perché fa pratica in ospedale, dove la tipologia di pazienti è differente? Se, come sembra, lo scopo del provvedimento è porre rimedio alla carenza di infermieri, allora siamo di fronte a una soluzione tampone del tutto dannosa e da contrastare. Auspicabile è invece una soluzione strutturale, che per essere tale deve passare attraverso una revisione delle competenze in capo a tutte le figure operanti in ambito sanitario.

Oltre queste criticità, l’estate 2022 è stata per gli infermieri anche sinonimo di nuovo contratto collettivo nazionale. La trattativa del comparto Sanità, aperta all’Aran nell’agosto 2021, è giunta al punto di arrivo con la sottoscrizione dell’ipotesi di CCNL firmata lo scorso 15 giugno. Un accordo che valutiamo soddisfacente, tenuto conto che il punto di partenza vedeva un testo inaccetabile, proposto dalla parte datoriale, che via via è stato notevolmente migliorato, soprattutto nella parte giuridico-normativa. La caratteristica principale che contraddistingue questo contratto, per gli infermieri, è la definizione dell’indennità di specificità (voce di trattamento fondamentale dello stipendio, che entrerà anche nel monte salari per il rinnovo dei prossimi contratti e che, quindi, porterà maggiori risorse) e di pronto soccorso, due indennità appositamente previste e finanziate dalla legge di Bilancio 2021 e 2022.

Gli importi economici degli aumenti a regime varieranno per la ex categoria D dai 143 euro ai 165 euro lordi mensili, con la speranza di ricevere entro l’anno gli arretrati che quindi ammonteranno, sempre per la ex categoria D, dai 3.500 euro ai 4.164 euro lordi.
Aumenti del tutto insufficienti a coprire il divario esistente con altri paesi europei, ma anche per colmare le differenze salariali, come tutti i lavoratori in Italia, che ci vedono fermi alle retribuzioni di 30 anni fa!
Inoltre dopo circa un ventennio da quando si è passati dai livelli alle categorie, con questo CCNL si passa dalle categorie alle aree, che sono individuate nel numero di 5 con la novità, prevista dalla legge, di un’area dell’elevata qualificazione (EQ) che, proprio per mandato legislativo, in prima istanza nasce vuota. Inoltre, si archiviano le progressioni economiche note come passaggi di fascia e si introducono i differenziali economici di professionalità (DEP), del valore di 1.200 euro lordi annui per la ex categoria D e nel numero massimo di 7. Anche il sistema degli incarichi viene rivisto, assumendo un ruolo sempre più centrale nello sviluppo della carriera dei professionisti della salute e dei funzionari. Un contratto, quindi, che dispiegherà i suoi effetti nei prossimi anni e che sarà indispensabile seguire a livello aziendale.

Una vera valorizzazione economica della professione infermieristica non può passare solo attraverso la distribuzione delle risorse esigue stanziate per il rinnovo dei contratti del pubblico impiego, come detto, coprono appena l’inflazione. Occorre, quindi, agire sul piano politico, affinché ci siano stanziamenti ad hoc come successo per l’indennità di specificità e di tutela della salute.

Purtroppo la nota dolente resta la scarsità di personale che ha in gran parte origine dal sotto finanziamento del Servizio sanitario nazionale. Nel mercato del lavoro mancano circa 70-80 mila infermieri per dare compimento agli obiettivi del PNRR. La tipologia di lavoro e le retribuzioni non spingono i giovani ad iscriversi ai corsi di laurea in infermieristica, per cui la domanda è maggiore dell’offerta e i servizi sono in sofferenza, con conseguente minor capacità di soddisfare i bisogni di salute dei nostri cittadini. Inoltre, molte regioni hanno accumulato deficit per far fronte alle maggiori spese dovute alla lotta al Covid-19. Il timore è che per evitare il commissariamento si vada a tagliare sugli organici, non stabilizzando i precari assunti durante la pandemia e non sostituendo i pensionamenti. Senza adeguati organici rischiamo di vanificare tutta la spesa per investimenti che deriva dal PNRR. Spesa che per buona parte è fatta a debito e grava sul bilancio e sulla solvibilità dello Stato.

Il rischio che quindi corriamo è quello di passare l’erogazione di questi fondamentali servizi al privato.
C’è quindi la necessità di un PIANO STRAORDINARIO DI ASSUNZIONI NAZIONALE, per adeguare il numero di personale necessario al fabbisogno sia nelle strutture ospedaliere che per aumentare i servizi sul Territorio che ad oggi, specie nelle regioni meridionali sono assolutamente Inadeguati e Insufficienti ( spesso appaltate a Cooperative di servizio che favoriscono lo sfruttamento delle lavoratrici e lavoratori) e per poter recuperare le prestazioni che sono state rimandate, causa Pandemia e non solo, come i piccoli interventi, gli esami endoscopici, visite cardiologiche, ecc. e una Generale REINTERNALIZZAZIONE di quei servizi alla persona e degli appalti aziendali che produrrebbero un sicuro risparmio economico!

Queste considerazioni dovranno fare poi i conti con il Progetto di Autonomia Differenziata voluto dal Centro-Destra e dal Pd , che dovrà essere RIMANDATO al mittente, perchè se attuato, vedrà uno STRAVOLGIMENTO dello Stato così come lo conosciamo: un Sistema Sanitario non più Nazionale ma con 20 Staterelli che decideranno autonomamente sia sulla Salute che sulla Istruzione, sul Welfare che sui contratti delle lavoratrici e lavoratori!!!

Le cosiddette Regioni ricche continueranno ad avere servizi più o meno adeguati e le regioni del Centro-Sud verranno colpite da uno TSUNAMI tale che comporterà il passaggio da un Sistema Solidaristico e per tutte\i a un sistema di tipo “americano”: chi potrà curarsi, studiare, essere assistito a domicilio o contrattare con i propri datori di lavoro riuscirà ad “andare avanti”, gli altri dovranno continuare ad andare avanti tra mille stenti e difficoltà! Per questo diciamo: NO GRAZIE!!!

Iuri Accardo

infermiere Gastroenterologia Universitaria del Policlinico di Bari

Pierdomenico Di Terlizzi

infermiere Ortopedia del p.o. “Don Tonino Bello” di Molfetta

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