Non c’è giustizia ambientale senza giustizia sociale. Ultima occasione

La conferenza delle Nazioni unite sui cambiamenti climatici in programma a Glasgow dal 31 ottobre al 12 novembre, anche conosciuta come Cop26, è stata definita da molti esperti come il make or break event, l’ultima occasione per i leader politici di tutto il mondo di evitare le più disastrose conseguenze del climate change. Ma per far sì che questo accada, serve una consapevolezza e una pressione dell’opinione pubblica ben più alta di quella attuale: dobbiamo assumerci tutti quanti il compito di vigilare sui negoziatori affinché prendano le decisioni necessarie.

Per capire concretamente se la conferenza sarà stata un successo o un fallimento, dovremo valutare i risultati raggiunti su cinque temi specifici. Il primo tema, di importanza cruciale, è quello dei Nationally determined contributions (Ndc), ovvero gli obiettivi di riduzione delle emissioni che ogni Paese firmatario degli Accordi di Parigi del 2015 (che impegnano i sottoscrittori a limitare il riscaldamento globale al di sotto dei 2 gradi, ndr) si è prefissato. Ad oggi, le premesse non fanno ben sperare: nonostante molti scienziati sostengano che sia necessario dimezzare le emissioni entro il 2030, le ultime analisi dell’Onu sugli Ndc prevedono non una riduzione, bensì un aumento delle emissioni di circa il 16%. L’Unione europea e gli Stati Uniti hanno da poco aggiornato i loro obiettivi, ma è fondamentale che lo facciano anche gli altri grandi emettitori, come Arabia Saudita, Australia, Cina, Russia e India.
Per quanto riguarda l’Arabia Saudita, il principe Bin Salman ha affermato che il Paese raggiungerà lo zero netto di emissioni nel 2060, seguendo la strada indicata dalla Russia.

Contemporaneamente, però, ha affermato che non intende rallentare (né tantomeno fermare) l’estrazione di combustibili fossili dalle riserve del Paese. La multinazionale petrolifera Saudi Aramco, di proprietà statale, ha affermato che seguirà il progetto del governo azzerando le sue emissioni nel 2050. Il diavolo però si nasconde nei dettagli: l’obiettivo riguarda solo le emissioni causate direttamente dalle operazioni dell’azienda, nonostante l’80% delle emissioni derivino dai clienti della Saudi Aramco che ne bruciano gli idrocarburi.

La Russia ha anch’essa annunciato il raggiungimento della neutralità climatica nel 2060, affermando che impegni più ambiziosi dipenderanno dalla “situazione economica internazionale”. Vladimir Putin non parteciperà in persona alla Cop26, sebbene abbia dichiarato che il cambiamento climatico è una delle sue priorità. La collaborazione della Russia è molto importante soprattutto per ciò che riguarda l’abbattimento delle emissioni di metano, un gas serra 80 volte più potente della CO2. Per far sì che il governo si impegni su questo fronte, l’inviato speciale per il clima Ruslan Edelgeriyev ha dichiarato che servirà rimuovere le sanzioni imposte al gigante dell’energia Gazprom: «Queste due cose non vanno d’accordo, sanzioni e clima», ha dichiarato.

Per quanto riguarda l’India, il primo ministro Narendra Modi e il segretario del ministero dell’Ambiente
Rameshwar Prasad Gupta sembrano essere ben disposti a collaborare. L’India è – a livello complessivo – il terzo maggiore emettitore al mondo, ma le emissioni pro-capite restano tutt’ora estremamente basse: circa due tonnellate di CO2 all’anno, contro le 16 degli Stati Uniti. Per questo Gupta ha chiesto che i Paesi più responsabili storicamente delle emissioni scendano in campo per aiutare le economie emergenti. Già all’interno dell’Accordo di Parigi, infatti, era stato previsto un fondo di 100 miliardi di dollari annui per finanziare la transizione ecologica nei Paesi in via di sviluppo, a partire dal 2020. Se si richiede all’India di accelerare questa transizione, Gupta…

Luca Sardo

Attivista e portavoce Fridays for future Torino

29/10/2021 https://left.it

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