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    Blog, sanità e salute — Marzo 25, 2015 8:05 am

    Il liberismo sta provocando l’infarto del sistema sanitario occidentale. L’unica risposta di sinistra all’altezza è mettere «sotto/sopra» le norme e le prassi attuali, per rilanciare l’idea stessa della «salute pubblica» e battere definitivamente l’«ariformismo passivo» del partito democratico

    Non ci sono soldi per la sanità? Falso!

    Pubblicato da franco.cilenti

    Con le nuove misure di austerity è a repentaglio l’art 32 della Costituzione, quello che tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo. In realtà – a differenza di quanto detto dal governo – le coperture economiche ci sono ma non vengono attuate le giuste politiche, per questo è necessario cambiare i paradigmi: “Non risorse contro diritti ma diritti come risorse”. 

    “Nel bene e nel male sono sempre le idee e non gli interessi consolidati ad essere pericolosi”
    John Mainard Keynes


    Bene ha fatto Ivan Cavicchi a lanciare l’allarme e a proporre una iniziativa alla sinistra “ Per una sanità sovversiva ” su Il manifesto dello scorso 10 gennaio. Di seguito, nel sottoscrivere allarme e proposta di iniziativa alla sinistra, radicale e non, esplicito di seguito alcune critiche costruttive ed alcune proposte. 

    In “La sanità è per tutti, salviamo l’articolo 32…” Cavicchi, tanto meritoriamente quanto lucidamente scagliatosi contro le attuali politiche di “definanziamento” del servizio sanitario pubblico e contro l’ideologia dell’“universalismo selettivo”, a suo tempo avanzata con il “Libro Bianco” da Sacconi e ripresa dai governi di larghe intese del PD con parte del centro destra, prima con Enrico Letta poi con Beatrice Lorenzin, si chiede “se non sia il caso di fronteggiare questo disegno nel senso di correggere l’art 32. per salvaguardare la prassi universalistica, con una iniziativa legislativa che scriva senza ambiguità «la Repubblica … garantisce cure gratuite a tutti» e non solo agli indigenti e stoppare tutti i tentativi di controriforma in corso.” 
    Non convengo sulla esplicitazione politico-formale della proposta ma convengo sulla sostanza di politica sanitaria che si intende, e si deve, perseguire. 

    Dalla sua istituzione con la legge ‘833/78 ad oggi, il servizio sanitario nazionale, e regionale, è finanziato “attraverso le tasse”, pur nelle modificazioni degli assetti del sistema fiscale e dei trasferimenti di fondi dallo stato centrale alle regioni nelle varie stagioni amministrative del federalismo. 
    La statuizione dell’art. 32 della Costituzione di garantire “cure gratuite agli indigenti” sul piano normativo è quindi realizzata appieno dal momento che è assicurata la accessibilità alle cure del servizio sanitario nazionale anche ai cittadini che non pagano tributi diretti, fatti salvi i casi di evasione ed elusione fiscale (!), per insufficienza di reddito. 
    Tutti i cittadini “non indigenti”, al contrario, “pagano in anticipo” tramite le rispettive contribuzioni fiscali proporzionali al proprio reddito. 

    In sostanza il servizio sanitario pubblico italiano, nazionale e regionale, opera come una sorta di “grande unica assicurazione pubblica con proprie sedi erogative”, finanziata sostanzialmente dalla fiscalità generale e regionale con le quali sono “prepagate in ragione del reddito” tutte le prestazioni assistenziali necessarie a ciascun cittadino (universalismo). 
    E’ opportuno che così sia, perché la produzione dei servizi sanitari ha un costo (!) sicché la gratuità per tutti è impossibile e quella per alcuni è necessariamente una spesa per altri, ma per essi è, al contempo, un interesse materiale in quanto contrasto alla diffusione delle malattie e salute riproduttiva del corpo sociale, ed ideale in quanto realizzazione della socialità umana (solidarismo). 

    E’ però necessario segnalare che, proprio in virtù del fatto che le prestazioni sanitarie sono già “prepagate”, nel senso di già finanziate con un anticipato esborso di danaro, ancorché non direttamente correlato, da tutti i cittadini “non indigenti”, risulta moralmente inaccettabile, nonché economicamente selettiva a carico dei meno abbienti, la imposizione di ticket aggiuntivi di entità ormai pari al costo di produzione delle prestazioni assistenziali stesse, sì da trasformarli da strumenti di “moderazione” di abusi dell’accesso all’assistenza sanitaria “da maleducazione sanitaria e civile” in vera e propria “tassa sulla malattia”. 

    Come testualmente si legge in un efficace ed autorevole sunto sul sito ufficiale del Ministero della Sanità, “ticket e ricavi derivanti dall’attività intramoenia dei propri dipendenti, in un importo definito e cristallizzato in seguito ad un’intesa fra lo Stato e le Regioni” sono addirittura previsti quale prima fonte di finanziamento dei servizi sanitari regionali nei “patti per la salute” tra governo centrale e regioni! 
    Non necessita quindi oggi alcuna modifica dell’art. 32 della Costituzione ma la sua piena attuazione così com’è, e, sul piano normativo e non, sia l’abolizione delle “tasse sulla malattia” nella forma dei ticket, sia più in generale quell’insieme di investimenti pubblici sulle strutture del servizio sanitario pubblico e di sblocco del turn-over e dei contratti che sono la precondizione per “ridurre” le liste di attesa e incrementare la qualità e la quantità dell’offerta di assistenza sanitaria pubblica ! 

    In “Per una sanità sovversiva”, con l’elegante metafora dell’ischemia e dell’infarto, Cavicchi si fa interprete di quanto il senso comune di cittadini e di professionisti della salute denunciano e patiscono in relazione a quella “ischemia” dei finanziamenti del servizio sanitario nazionale così protratta e diffusa che ha già prodotto i “microinfarti sintomatici”, costituiti dalla riduzione degli accessi alle cure in Italia a partire dal 2013, dalla riduzione di servizi e dal “superutilizzo usurante ed a rischio di efficacia clinica” dei professionisti della salute, e rischia di produrre “infarti estesi” del Servizio sanitario nazionale e delle sue articolazioni regionali, quali la privatizzazione di interi settori assistenziali in concessione alle assicurazioni private delle larghe intese, Unipol (PD?), Generali, Mediolanum (Forza Italia, Lega, altri di centro destra?). 

    Con efficace nettezza e con importante e pregevole sguardo alla realtà europea ed occidentale egli giudica: 
    “Il liberismo sta provocando l’infarto del sistema sanitario occidentale. L’unica risposta di sinistra all’altezza è mettere «sotto/sopra» le norme e le prassi attuali, per rilanciare l’idea stessa della «salute pubblica» e battere definitivamente l’«ariformismo passivo» del partito democratico”. 
    Ma il suo appello alla “sinistra” che a vario titolo si occupa di sanità, ma anche alla sinistra in generale, in questo condivisibile, contiene una debolezza che lo inficia e rischia di rinchiuderlo nelle stesse catene del liberismo che vuole spezzare! 

    Assunta la definizione di mutamento come “qualcosa di immanente, negativo o positivo, che fa parte della realtà in cui viviamo …” in contrapposizione a cambiamento come “risposta politica che si dà al mutamento” Cavicchi afferma: “Oggi il mutamento con il quale fare i conti riguarda la forma di questi rapporti che sono diventati da una parte spietatamente gerarchici (prima il limite economico poi i diritti) dall’altra fortemente competitivi (risorse contro diritti).” Cioè Cavicchi definisce come immanenti, appartenenti alla realtà, fuori dalla portata della politica e della politica economica in particolare, l’essere prevalente il limite economico sui diritti e l’essere le risorse in competizione con i diritti. 

    Non è così. Quando si vada ad elaborare e praticare politiche attuative del diritto individuale e dell’interesse collettivo alla salute previsto dall’art. 32 della Costituzione, due sono gli insiemi dei vincoli metodologici e concreti che, reciprocamente interagendo, condizionano lo Stato, e le sue articolazioni regionali e locali: i determinanti la salute da un lato e l’economia politica, comprensiva della economia sanitaria che nella sua dimensione macroeconomica ne è parte, dall’altro. 

    Circa i determinanti della salute, i fattori cioè la cui presenza modifica in senso positivo o negativo lo stato di salute di una popolazione, accreditati studi internazionali hanno ormai accertato le seguenti stime quantitative dell’impatto di alcuni di essi sulla longevità delle comunità, utilizzata come indicatore indiretto dello stato di salute: i fattori socio-economici e gli stili di vita contribuiscono per il 40-50%; lo stato e le condizioni dell’ambiente per il 20-30%; l’eredità genetica per un il 20-30%, e i servizi sanitari per il 10 -15%. 

    È inoltre comunque condiviso il fatto che per poter agire sui fattori che determinano la salute è di fondamentale importanza l’esistenza di condizioni definibili come “prerequisiti” della stessa. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (Carta di Ottawa 1986) essi sono: l’abitazione, la pace, l’istruzione, l’alimentazione, il reddito, l’ecosistema, la giustizia e l’equità sociale. 

    Ne deriva in primo luogo ed in generale che va attuato, non già puramente declamato, il principio “la salute in tutte le politiche” a cominciare da quelle attuative dei diritti sociali contemplati dal “catalogo costituzionale”, il diritto al lavoro (art.4), il diritto alla salute (art.32), il diritto all’istruzione (art.33), il diritto all’educazione (art.34), i diritti dei minori e delle donne lavoratrici (art.37), il diritto dei lavoratori in ipotesi di infortunio, malattia, invalidità e disoccupazione (art.38, comma 2), tutti da ricondursi al principio di uguaglianza sostanziale (art.3), da quelle direttamente condizionanti gli stili di vita e l’ambiente, (altroché la cementificazione prevista dallo sblocca Italia!). 

    Ne deriva in secondo luogo che l’accesso e lo sviluppo tecnologico dei servizi sanitari negato dal definanziamento, come più sopra descritto, è sul piano politico certamente incostituzionale e non è escluso lo sia anche sul piano giuridico. Per quanto attiene in particolare lo sviluppo tecnologico e la salute occorre tener presente, in estremissima sintesi, che è in atto nel terzo millennio ciò che gli storici dell’economia chiameranno la terza rivoluzione industriale, frutto dell’interazione di sei nuove tecnologie, microelettronica, informatica, telecomunicazioni, nuovi materiali di sintesi, robotica e biotecnologie. 

    La terza rivoluzione industriale non solo già condiziona gli ambienti di vita e di lavoro e quindi propone nuove genesi delle malattie somatopsichiche, ma impatta assai profondamente sia sulle “metodologie e sui materiali” delle attività di prevenzione, diagnosi, terapia e riabilitazione sia “sulla organizzazione e sulla struttura dell’offerta”. In particolare l’impatto sull’organizzazione del lavoro comporta il superamento della figura del professionista “totipotente” ed “esclusivo esecutore di performance intellettuali e pratiche”, quali il medico di medicina generale o l’infermiere professionale “unico”, e addirittura dello specialista di “prima generazione” in favore di uno specialismo per specifiche competenze cliniche e strumentali che può già oggi esprimersi esclusivamente in un lavoro di gruppo interdisciplinare e multiprofessionale, includente anche specialisti di ambito non biomedico (psicologi, fisici, chimici, informatici, filosofi, amministrativi, esperti di comunicazione e via dicendo), nelle quali vanno ridefinendosi le competenze e le autonomie professionali che trovano il loro modularsi nella formazione interdisciplinare ed interprofessionale e nella responsabilizzazione e nella capacità di rendere efficaci le performances di gruppo. 

    L’impatto sulla struttura organizzativa che vede la trasformazione degli ospedali per acuti in centri servizi di alta tecnologia diagnostico-terapeutica, interconnessi in forma “olonico non virtuale” ma concretamente diretta e supportata dalle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICT) nelle forme in rapida diffusione di e-health (telemedicina), con i servizi “a domicilio” della popolazione, convenzionalmente indicati con il termine “territorio”. 
    Di qui la trasformazione in atto della struttura del servizio sanitario pubblico, meno e più grandi ospedali per acuti e più “case della Salute” reciprocamente interconnessi, che la sinistra deve promuovere discriminando ciò che è taglio di servizi da ciò che è nuova tecnologia assistenziale cui i cittadini hanno diritto di accedere. 

    Circa l’economia politica, comprensiva della economia sanitaria, è da osservare che nella misura in cui essa è «la scienza che studia il comportamento umano come relazione tra fini e mezzi scarsi suscettibili di usi alternativi» (L. Robbins), la limitazione delle risorse è condizione che vale in forma mutualmente condizionante ed esclusiva per tutti i fini tesi al soddisfacimento dei bisogni umani, da quelli subalterni ed interessati alla massima remunerazione dei capitali investiti, finanziari e non, a quelli che sinteticamente potremmo definire diritti civili e sociali della persona umana. 

    Ciò vale in termini generali, e mutatis mutandis , dalla dimensione globale dell’umanità alla dimensione dei singoli individui. 
    Se è cosi, ed è così, prima di definire limitate le risorse destinabili al servizio sanitario pubblico in Italia, per stare alla dimensione del tema oggetto di queste note, occorre valutare a) se tutti i mezzi finanziari reperibili dallo Stato siano stati reperiti; b) se siano possibili usi alternativi dei mezzi finanziari a disposizione. 

    Per stare ad a), se tutti i mezzi finanziari reperibili dallo Stato siano stati reperiti, si potrebbero fare valutazioni a cominciare “dalla ridiscussione a fondo del Fiscal Compact”, per stare ai giorni nostri ed alla vicenda del governo Tsipras in Grecia, ma anche al programma politico per le elezione europee del 2014 della lista italiana “L’Altra Europa con Tsipras”, si potrebbe continuare con la valutazione circa l’emissione di titoli di stato italiano dedicati al mercato interno, come suggerito da autorevoli economisti [1], e con “ La tassazione progressiva dei patrimoni ” suggerita da T. Piketty [2] ed anche con l’efficacia delle misure contro l’evasione e l’elusione fiscale, ma anche contro la “sottocontribuzione fiscale”, come non è avvenuto ad esempio nel caso della delega fiscale il cui art il 19 bis, che stabilisce la depenalizzazione di evasione e frode fiscale al di sotto della soglia del 3% dell’imponibile! 

    Per stare al punto b), se siano possibili usi alternativi dei mezzi finanziari a disposizione, necessita operare una valutazione di cost/utility (costo/opportunità), che è l’essenza dell’economia politica in generale e non solo della sua componente sanitaria, e di farlo applicando tale valutazione, per scendere in medias res , a tutti i capitoli di quel bilancio dello Stato (l. 191/03.12. 2014) che per il triennio 2015 – 2017 ha previsto spese complessive per circa 850 mld di euro, non fermandosi certo al limite dei 112.062.000.000 euro per l’anno 2015, stabiliti dalla legge di stabilità del Governo Renzi, passibili di decurtazione in virtù del contributo al contenimento della finanza pubblica per gli anni 2015-2018 che le Regioni a statuto ordinario devono assicurare per circa 4,5 mld di euro e quindi passibili di ulteriore discesa sotto i circa 111 mld stanziati per il 2013 ed addirittura i circa 109,3 miliardi, in lieve flessione rispetto al 2012, realmente rendicontati dalla Corte dei Conti! [3], che la spinge ad osservare: “Necessario un sistema che preveda una maggiore tutela delle fasce di popolazione caratterizzate da un reddito modesto in relazione alla numerosità dei componenti del nucleo familiare”! 
    Proviamo ad elencarli? O a sinistra ci intendiamo e citiamo emblematicamente gli F.35 e le “missioni” militari all’estero, tra le quali le azioni di guerra non dichiarata in Siria, lo “Sblocca Italia”, e via citando. 

    Analogamente si deve procedere per i bilanci regionali (!). E’ infatti a livello regionale, di tutte le regioni indipendentemente dalle maggioranze di centro destra o di centro sinistra, che si situano oggettivamente, per il “centralismo” che caratterizza 22 Servizi Sanitari Regionali nel controllo delle nomine del management, le responsabilità a proposito delle sei tipologie di corruzione nelle aree di assistenza sanitaria prese in esame: 

    ▪ erogazione dei servizi medici; 
    ▪ aggiudicazione di appalti; 
    ▪ rapporti commerciali illeciti; 
    ▪ uso improprio di posizioni di prestigio; 
    ▪ richieste di rimborso ingiustificate; 
    ▪ truffe e malversazioni relative a medicinali e a dispositivi medici, come indica il Rapporto a cura di ECORYS & EHFCN sulla corruzione nella Sanità in UE. 

    Tale rapporto indica anche che la principale spinta al diffondersi di abusi in tutti questi campi è l’accettazione, o perlomeno la tolleranza, del fenomeno. Le stime più accreditate circa il tasso medio di corruzione e frode in sanità sono quelle di Leys e Button che nel 2013 lo hanno stimato in 5,59%, con un intervallo che varia tra il 3,29 e il 10% della spesa complessiva. Per la sanità Italiana, la cui spesa si aggira sui circa 110 Mld di euro anno, se si applicassero questi valori la stima dei costi/sprechi da corruzione potrebbe attestarsi attorno 6 Mld di euro all’anno [4]. 

    En passant, sarebbe opportuno discutere di autonomia legislativa, amministrativa e fiscale delle regioni, e la sinistra dovrà farlo, distinguendo le versioni “federalistiche” antisolidaristiche di stampo leghista dalle versioni con finalità di responsabilizzazione dei presidenti e dei consigli regionali su politiche di ottimizzazione d’uso delle risorse pubbliche per la sanità, in funzione anticorruzione e antifinanziamento illecito per preservare posizioni di vantaggio elettorale con il voto di scambio diretto ed indiretto, inutile tentativo ad oggi (!) ma obbligo costituzionale e dovere di chi amministra, anche se non fosse costretto a farlo in un contesto liberista imposto dallo stato centrale e dalla Troika, ma keynesiano ed attuativo del mandato costituzionale, come la sinistra radicale italiana, Cavicchi e chi scrive auspicano e sostengono possibile e doveroso. 

    Per concludere, in sintonia con Guido Viale che su “Il Manifesto” [5] a proposito della rinegoziazione e l’abbattimento del debito pubblico, mi pare opportuno costituire “un gruppo di lavoro che scavalchi le divisioni tra le diverse componenti delle forze che si oppongono alle politiche di austerità” per elaborare una “Altra Legge di Stabilità 2015-2017”, che imbocchi la strada della tassazione progressiva dei patrimoni ed operi una riconversione della spesa pubblica dai capitoli che mettendo a repentaglio la politica di pace, l’ambiente (“Sblocca Italia”) ed il diritto alla salute, nella accezione più sopra richiamata come risultante e paradigma diritti sociali costituzionalmente statuiti, e punti sugli investimenti ecosostenibili, sulla cultura e le nuove tecnologie e sul welfare pubblico, nella convinzione che così facendo la casta finanziaria e quelle collegata perderebbero un po’ di capitale mal investito e la società italiana guadagnerebbe in crescita del PIL e dell’economia, in well-being e quindi anche in salute. 

    “I soldi per la sanità ci sono”. Cambiamo paradigmi: non “prima il limite (vincolo) economico poi i Diritti” ma “I Diritti limite (vincolo) dell’Economia”, non “risorse contro diritti” ma “diritti come risorse”. 

    Gianluigi Trianni

    Medico Sanità Pubblica
    23/3/2015 micromega-online
    Note 

    [1] “Risolviamo la crisi dell’Italia: adesso!” – Uscire dalla depressione con l’emissione di “moneta statale” a circolazione interna” – Biagio Bossone, Marco Cattaneo, Luciano Gallino, Enrico Grazzini, Stefano Sylos Labini – Associazione Paolo Sylos Labini, Posted by Stefano Sylos Labini / In Politica / novembre 26, 2014 
    [2] “Il Capitale nel XXI secolo” T. Piketty Ed. Bompiani 2014 
    [3] Rapporto sul coordinamento della finanza pubblica – Corte dei Conti, Maggio 2014 
    [4] 1° LIBRO BIANCO ISPE-Sanità sulla Corruption in Sanità! 18.09.2014 
    [5] I nove passi per ripudiare il debito pubblico G. Viale, Il Manifesto 07.01.2015

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    Autore: franco.cilenti
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