Numeri e profili del lavoro domestico in Italia

Il lavoro domestico in Italia rappresenta ad oggi la principale risorsa per conciliare vita e lavoro nelle famiglie, una risorsa sempre più fondamentale in un contesto di invecchiamento della popolazione e nuove esigenze familiari.

Nella terminologia ufficiale le mansioni principali nell’ambito del lavoro domestico sono due: l’assistente familiare e il/la collaboratore/collaboratrice familiare, più comunemente definite “la badante” e “la colf” al femminile, sebbene ci sia una componente maschile minoritaria ma in crescita.

Come anticipato, il lavoro domestico in Italia è un settore molto importante sia in termini quantitativi (per il numero delle famiglie coinvolte, degli anziani e minori accuditi, per le stesse lavoratrici e lavoratori), sia in termini economici e sociali.

È un servizio che viene prestato prevalentemente da persone straniere, spesso titolari di elevati livelli di istruzione, e usufruito da famiglie che si trovano a gestire i cambiamenti demografici (invecchiamento della popolazione), l’evoluzione del ruolo della donna (sono in aumento le donne lavoratrici) e i cambiamenti nelle reti familiari (famiglie meno numerose e più lontane, con anziani soli e bisognosi di assistenza).

I numeri del lavoro domestico in Italia

L’osservatorio sul lavoro dell’Inps nel 2019 ha censito 850.000 lavoratori e lavoratrici domestiche, per il 70% di provenienza straniera e per l’89% donne.

La maggior parte, circa 350.000, proviene dall’Europa dell’Est, soprattutto da Romania, Ucraina e Moldova, mentre gli e le italiane sono oltre 250.000. Seguono le Filippine con 67.000 lavoratrici e lavoratori, e il Sud America con 59.000.

Se poi contiamo le assunzioni senza regolare contratto, che secondo le stime Istat sono il 57,6% del totale (1.154.000 persone), si arriva a un numero di lavoratori e lavoratrici che supera i 2 milioni di persone.

Gli uomini rappresentano quasi la metà dei domestici provenienti dall’Asia orientale, e un quarto di quelli provenienti dalle sole Filippine, mentre sono presenti in piccola parte tra quelli originari dell’Est Europa (3,4%) e tra gli italiani (9,3%).

Il 34% di chi svolge lavoro domestico in Italia convive con il datore di lavoro; si tratta, quasi sempre, di lavoratori e lavoratrici di origine straniera. La convivenza favorisce una maggiore disponibilità di tempo e può portare chi svolge lavoro domestico a impegnarsi per più ore di quelle previste.

L’impatto della pandemia sul lavoro domestico

Durante il 2020 la pandemia di Covid-19 ha colpito duramente il settore del lavoro domestico in Italia e non solo, per diversi motivi: la sensibilità al virus degli anziani, principali fruitori di assistenza familiare; la difficoltà di lavorare in sicurezza vista la prossimità fisica che il lavoro richiede; le difficoltà economiche delle famiglie; il lavoro nero che ha impedito alle lavoratrici di raggiungere il luogo di lavoro; la forte componente straniera che a volte si è ritrovata nella situazione di non potersi più permettere un alloggio, e impossibilitata a tornare nel paese di origine per la chiusura delle frontiere.

Secondo l’Organizzazione Internazionale del Lavoro il 50% coloro che svolgono lavoro domestico in Europa ha corso il rischio di perdere il posto di lavoro o di vedere ridotto l’orario o il salario ad aprile 2020.

Il rapporto di lavoro domestico è infatti prestato all’interno non di un’azienda organizzata ma di un nucleo familiare ristretto (a volte si può trattare di una sola persona anziana), e si svolge nell’ambito della vita privata quotidiana, richiedendo un eccezionale grado di convivenza.

Tra le pareti di casa si sviluppano relazioni di prossimità che prevedono un rapporto di fiducia molto forte: diventa fondamentale la ricerca e la stabilizzazione di qualcuno di cui fidarsi, cui lasciare in custodia i propri spazi intimi e le persone care. Questa caratteristica è confermata anche dall’andamento dei dati sui rapporti di lavoro del Rapporto annuale DOMINA sul lavoro domestico 2020: nel 74,6% dei casi i contratti durano più di 5 anni.

lavoro domestico in italia
Photo by Georg Arthur Pflueger on Unsplash

Ma chi sceglie di svolgere questo lavoro?

Come anticipato, a occuparsi di lavoro domestico in Italia sono principalmente le donne straniere. Per molte di esse il lavoro domestico rappresenta l’unico sbocco professionale per migliorare le condizioni di vita del proprio nucleo familiare.

Spesso viene pensato come lavoro temporaneo, in attesa di opportunità lavorative più in linea con gli studi fatti, magari un’attività da intraprendere con la famiglia riunita. Ma i dati ci mostrano che non è così, in realtà questi percorsi tendono a diventare fissi.

Le badanti e le colf all’inizio si avvalgono di competenze sviluppate nelle famiglie di appartenenza, cercando di rispondere alle esigenze del datore di lavoro con il buonsenso, spesso senza una formazione specifica in grado di qualificare il proprio lavoro.

Nel caso di lavoratrici straniere si aggiungono le difficoltà date da una scarsa conoscenza della lingua e dalla distanza dalla famiglia di origine. La scelta poi di lavorare senza regolare contratto le mette in una posizione di minor forza quando si tratta di stabilire orari e attività di competenza.

Un reportage del Corriere della Sera ha mostrato l’altra faccia della medaglia, raccontando la vita di alcune donne romene rientrate dall’Italia nel reparto di psichiatria di un ospedale in Romania. Queste donne rientrano nel paese di origine per curare una depressione che la letteratura scientifica chiama proprio “la sindrome Italia”. Ce ne sono centinaia.

Dopo aver trascorso anni in una famiglia italiana costantemente a disposizione, nei casi più estremi senza neanche un giorno di riposo, sottopagate, a volte maltrattate, con l’ansia di mettere da parte il più possibile, queste donne ritornano a casa scoprendo che magari i mariti hanno sperperato tutti i soldi inviati e che i loro bambini, “orfani bianchi” cresciuti coi nonni o coi vicini, hanno dimenticato il volto della loro mamma.

Chi si dedica al lavoro domestico in Italia, colf o badante che sia, deve quindi acquisire una serie di competenze comunicative, relazionali, empatiche, assistenziali, e per far sì che questo avvenga in maniera regolare e corretta diventa fondamentale che comprenda di avere un ruolo e una professionalità unici, e che questo venga compreso anche dal datore di lavoro e dalla società più in generale.

Barbara Gnisci

Psicologa e giornalista

5/7/2021 https://www.lenius.it

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