Ora anche la guerra doganale: ma tra Europa e Stati Uniti

Milioni di posti di lavoro in ballo

Il nuovo scontro diplomatico tra Washington e Bruxelles è di quelli pesanti, perché coinvolge milioni di posti di lavoro, settori ad alta tecnologia e il futuro di due continenti. In pratica, sfruttando i generosi stanziamenti messi a disposizione dall’«Inflation Reduction Act», gli Stati Uniti stanno giocando sporco, offrendo sussidi e facilitazioni anche alle aziende europee che andranno a produrre ‘verde’ oltreoceano. Insomma, come spiegheremo ora nei dettagli, fanno da aspirapolvere. Anzi, da idrovora, succhiando tutto il meglio della tecnologia che esiste dalle nostre parti, in cambio di migliori condizioni fiscali.

Energie ambientali rinnovabili

Aziende tedesche, francesi, italiane o spagnole che operano nel settore delle energie ambientali rinnovabili o che si occupano, in qualche modo, di salvaguardia dell’ambiente, potranno così trasferirsi in massa in America. Facendola diventare la prima potenza economica ‘verde’ del pianeta e lasciando l’Europa nel bitume. In termini tecnici, quello che sta facendo Biden si chiama ‘concorrenza sleale’, perché mette in moto tutto questo meccanismo di esproprio grazie ai 370 miliardi di dollari della legge approvata ad agosto dal Congresso. Parte di questa somma viene destinata a contributi, bonus, esenzioni fiscali e mille altri vantaggi che renderanno appetibilissimo il mercato americano delle ‘rinnovabili’. A quella, che potremmo maliziosamente definire la ‘Befana di Biden’, sono invitate a prendere parte anche le imprese europee.

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Fin dall’estate, è apparso chiaro, alla Commissione di Bruxelles, che alla Casa Bianca stavano badando solo al loro tornaconto. Furibondo, il responsabile del Commercio, Valdis Dombrovskis, che aveva subito messa in guardia l’Amministrazione democratica, invitandola a correggere l’interpretazione dell’IRA, palesemente punitiva nei confronti dell’Europa. Ma le minacce, evidentemente, non sono servite a niente, perché nelle settimane passate e perfino al forum di Davos si è presentato un battaglione di politici statunitensi. Ma sarebbe meglio dire di intermediari o, addirittura, di ‘talent scout’, che hanno ‘agganciato’ imprenditori, esponenti della finanza e rappresentanti dei governi locali. Il motivo? Semplice: li hanno invitati tutti a trasferirsi, con le loro aziende, negli Stati Uniti, promettendo evidentemente molto, ma molto di più, di quanto possa offrire attualmente l’Europa.

In Svizzera, si sono viste delegazioni in arrivo dall’Ohio, dal Michigan, dalla Virginia, dalla Georgia e dall’Illinois. Tutti questi ‘piazzisti’ di alto bordo hanno magnificato le occasioni di investimento che offrono i soldi stanziati con la scusa della lotta all’inflazione.

Inflaction Reduction Act come inizio

Proprio questo attivismo americano, che va nella direzione opposta a quella auspicata dall’Unione, ha fatto dire alla Von der Leyen che l’Europa reagirà. In primo luogo, studiando un sistema di facilitazioni fiscali per il settore, tale da convincere gli imprenditori a rimanere nel Vecchio continente. In seguito, pare di capire, che se la Casa Bianca dovesse continuare nella sua politica di muro contro muro, rompendo tutte le regole del libero mercato, si potrebbe anche scatenare una guerra commerciale tra le due sponde dell’Atlantico, che toccherebbe in primis i dazi doganali. La verità è che dietro la piratesca tattica americana, si cela una strategia molto più sofisticata e di lungo periodo, come un bersaglio diverso.

Environment, social, governance

Già da anni gli Stati Uniti hanno abbracciato la filosofia ESG, ‘Environment, social, governance’, che detta tempi e metodi delle imprese produttive del Terzo millennio, che devono ispirarsi alla tutela ambientale, alla difesa dei diritti civili e devono avere un management efficiente e, se il caso lo richiede, anche ‘controllabile’. In questo guazzabuglio di buone intenzioni, anche chi non è uno specialista capisce che l’economia c’entra fino a un certo punto e che il modo di produrre deve riflettere, come uno specchio, una sorta di ispirazione politica. Dovete sapere, infatti, che il modello ESG ha un ‘ranking’ e assegna dei punteggi.

Classifica commerciale Usa dei Buoni e dei Cattivi

Chi è ‘basso’ in questa speciale classifica, dovrebbe essere evitato dai consumatori, perché produce solo per accumulare ricchezza. Un nome a caso? La Cina, l’incubo notturno di Biden che si materializza ancora una volta, con il suo ingombrante (e inquietante) programma, teso a farla diventare entro il 2030 la prima potenza economica del mondo. E se l’ipotetica crisi di Taiwan non basta a tenere buona Pechino e se la deglobalizzazione e il ‘disaccoppiamento’ hanno colpito i cinesi, ma non più di tanto, allora bisogna giocare su altri tavoli.

Inquinamento e diritti umani come fattori discriminanti di un’economia buona, veramente “sociale”. Un nome a caso? Gli Stati Uniti. E pazienza se l’Europa, come le capita sempre più spesso, resta col cerino acceso tra le dita.

Piero Orteca

25/1/2023 https://www.remocontro.it

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