PADRONI E OPERAI

Ogni giorno si muore sul lavoro e di malattie professionali.

Anche se la Costituzione afferma che l’operaio e il padrone sono uguali, entrambi “cittadini”, ed hanno stessi diritti, la condizione di completa subordinazione economica sancita dall’ordinamento giuridico fanno sì che la “libertà” e la “uguaglianza” dei cittadini sia solo formale. In realtà, in una società divisa in classi, i lavoratori vivono una condizione astratta di uguaglianza giuridica, e da una situazione concreta, reale, di disuguaglianza sociale ed economica.

L’art. 32 della Costituzione recita che: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”.

In realtà, con la privatizzazione della sanità pubblica iniziata negli anni scorsi, e i vari DPCM quest’articolo – tuttora formalmente valido e mai abrogato – è ormai carta straccia. La tutela della salute è diventata un affare per le assicurazioni, per la sanità privata e per le multinazionali farmaceutiche a scapito del diritto alla salute dei cittadini.

Dietro le vuote parole della democrazia si nasconde la cruda realtà della dittatura del capitale fatta di repressione a chi viola il vincolo di “fedeltà”, violenza, licenziamenti, arresti contro chi si oppone e ostacola la “libera accumulazione del profitto”.

Il ruolo della magistratura nelle lotte operaie e popolari. Verità storica e verità giuridica

Una delle parole d’ordine che abbiamo sempre sostenuto in fabbrica fin dagli anni ‘70 è stata: “La salute non si paga – la nocività si elimina”. Per questo ci siamo scontrati con il padrone (che dava la paga di posto più alta per i lavori nocivi e mezzo litro di latte), con il sindacato che barattava salario e salute, e anche con alcuni nostri compagni di lavoro che vedevano nell’indennità di nocività la possibilità di arrotondare (anche se di poche lire) il salario, senza essere coscienti dei pericoli che correvano. Per il medico di fabbrica anche gli operai malati e quelli con problemi respiratori erano sempre “abili e arruolati” e costretti a lavorare in reparti e ambienti nocivi.

Questa concezione è tuttora dominante nella società e nei luoghi di lavoro.

Nei processi, penali e civili, si continua a monetizzare la salute e la vita umana e gli interessi dei padroni a scapito dei proletari.

I giudici, se gli imputati di omicidio colposo risarciscono le parti offese e civili, – anche nei pochi casi in cui condannano a pene irrisorie i responsabili, (che non fanno mai un giorno di galera), e non intervenga la prescrizione – generalmente concedono le attenuanti generiche. Anche nei pochi casi, in cui i manager sono stati riconosciuti colpevoli di omicidio colposo, sono rimasti impuniti e nessuno di loro ha pagato.

Questa è la verità storica che emerge e la “verità giuridica” diventa una chimera, perché riconoscere questi fatti significherebbe mettere sotto accusa un intero sistema industriale, quello stesso sistema che produce migliaia di morti sul lavoro, altre decine di migliaia per malattie professionali, e circa un milione di infortuni ogni anno.

Il progresso sociale è lastricato di sangue proletario, di lavoratori e cittadini degli strati bassi della popolazione, esseri umani considerati solo dei numeri, una merce “usa e getta”.

Il mercato, la produttività, la competitività e soprattutto il profitto sono gli obiettivi di tutti i padroni, i governi, delle multinazionali e della Confindustria. Questi obiettivi nella crisi economica e sanitaria, nella pandemia si realizzano ancor più sulla pelle dei lavoratori e cittadini, annullando il diritto alla salute, alla sicurezza e alla vita.

In Italia l’unico diritto riconosciuto, è quello di fare profitti, a questo sono subordinati tutti gli altri “diritti umani”. Le leggi, le norme, una giustizia di classe che protegge in ogni modo i padroni, i manager e un intero sistema economico, politico e sociale fondato sul capitalismo fa sì che la salute e vita umana, davanti ai profitti, passino in ultimo piano.

Ancora oggi nel 2021, nella” moderna e democratica” società capitalista, gli operai e i lavoratori continuano a morire di lavoro – e di non lavoro – come nell’Ottocento.

In questa guerra del capitale contro i lavoratori – negli ultimi anni sono in forte aumento anche i suicidi di lavoratori disoccupati, cassintegrati o colpiti dalla repressione e dal dispotismo padronale nel totale silenzio delle istituzioni e della stampa Tv, e non è un incidente di percorso o una dimenticanza, il fatto che la magistratura non apra inchieste.

Il nostro Comitato da anni si batte in fabbrica e sul territorio per il rischio zero.

Basta con l’ipocrisia di chi legittima e sostiene l’aumento dello sfruttamento per realizzare maggiori profitti come fanno le istituzioni e i sindacati confederali e poi in pubblico versa lacrime di coccodrillo.

Per noi ogni strage, anche una sola morte sul lavoro o malattia professionale sono intollerabili e vanno impedite.

Le lotte nelle fabbriche, nelle piazze e nei tribunali – con presidi e manifestazioni davanti ai tribunali e la presenza nelle aule giudiziarie di lavoratori e dei cittadini – è caratteristico.

Più di tante parole la partecipazione e la lotta dimostrano ai lavoratori e ai parenti delle vittime presenti nelle aule di tribunale che la giustizia, la scienza, le leggi sono di classe e difendono il diritto dei padroni di fare profitti sulla pelle di milioni di lavoratori e proletari.

Noi abbiamo sperimentato che i risultati a favore delle vittime si ottengono quando i lavoratori diventano protagonisti del loro destino partecipando attivamente insieme alle procure, ad avvocati, medici del lavoro, consulenti e tecnici, nel rispetto dei ruoli, senza però delegare la difesa dei loro diritti e interessi ai soli “esperti” o ai politici.

Noi dobbiamo creare nel paese un movimento operaio e popolare di lotta per la salute, e la sicurezza sui posti di lavoro e nel territorio, per “costringere” il legislatore a varare una legge che sancisca che i disastri ambientali, gli infortuni, le morti sul lavoro e di malattie professionali non vadano mai in prescrizione e siano considerati crimini contro l’umanità.

Il movimento operaio e popolare si deve battere contro la nocività e le sostanze inquinanti nei luoghi di lavoro e nel territorio, per il rischio zero.

Non possiamo accettare, sotto il ricatto del posto di lavoro, che le esigenze del “mercato” ci costringano a rimetterci la salute e la vita, e a ipotecare il futuro delle nuove generazioni inquinando il pianeta.

Il ruolo dell’INAIL e dell’INPS

Da anni è in atto un contenzioso tra le vittime dell’amianto e delle malattie professionali contro l’INAIL e l’INPS. Questi enti si comportano con i lavoratori come se fossero degli istituti privati e non Enti pubblici.

L’INAIL sul territorio nazionale tende a respingere di solito le malattie professionali, in primis i mesoteliomi, costringendo i lavoratori a lunghe e costose cause legali che spesso giungono a compimento quando il lavoratore è ormai deceduto, causando danni economici anche agli stessi enti.

Anche l’INPS si comporta nello stesso modo.

In molti casi ormai i lavoratori non ricorrono neanche più al tribunale ma rinunciano a far valere i propri diritti perché, oltre al danno in caso di sconfitta legale, spesso subiscono anche la beffa di pagare le spese processuali e legali.

Noi da anni denunciamo il conflitto d’interessi di questi enti. In particolare dell’INAIL, un’assicurazione pubblica che deve certificare la malattia professionale, ad esempio l’esposizione all’amianto e altre sostanze cancerogene, e nello stesso tempo è l’ente che deve risarcirlo.

E’ assurdo che in capannoni, dove si lavora stipati come polli, in reparti divisi solo da una striscia gialla per terra, dove è stata accertata la presenza di lavorazioni nocive, in particolare oggi con il covid, questi enti non riconoscano la malattia professionale.

Nella nostra esperienza abbiamo sperimentato che la lotta paga. Anche se costretti a pagare le spese processuali come sta succedendo in molti processi (l’ultimo riguarda il processo Breda/Ansaldo) difendere la dignità e i diritti del lavoratore, anche nei tribunali dei padroni con manifestazioni e presidi davanti alle sedi di INAIL, INPS e ai tribunali, serve a dimostrare che non siamo carne da macello anche se leggi sono a favore dei padroni.

E’ giunto il momento di scendere in piazza. Organizzare manifestazioni locali e nazionali contro i morti sul lavoro e del profitto, unificare tutte lotte operaie, proletarie e sociali in difesa della salute e della vita: questa è l’unica strada per difenderci dal capitalismo assassino.

Bisogna manifestare contro il governo Draghi di “unità nazionale”, come abbiamo fatto in passato con altri governi, affinché INAIL e INPS riconoscano i diritti dei lavoratori e delle vittime esposte a sostanze cancerogene e nocive, delle malattie professionali dovute al covid 19, perché sia un ente terzo e non l’INAIL quello che deve certificare la malattia (lasciando a questo ente solo il compito di indennizzarle come spetta all’assicurazione pubblica). Questo è l’obiettivo che oggi ci poniamo per risolvere il conflitto d’interessi dell’INAIL.

Michele Michelino

Comitato per la Difesa della Salute nei Luoghi di Lavoro e nel territorio

13/4/2021 https://www.comitatodifesasalutessg.com

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