Partigiani della Pace

In vista del 77° anniversario della prossima Festa della Liberazione, l’esplosione della guerra in Ucraina, dopo otto anni di conflitto regionale in Donbass e l’aggressione dello scorso febbraio da parte della Russia, rimette al centro del dibattito la necessità di un ripudio della guerra, così come sancito dall’art.11 della Costituzione della Repubblica Italiana, nata proprio dalla Resistenza partigiana.

Non a caso il riferimento al valore supremo della pace, così come a quelli di libertà e giustizia sociale, non solo è fra i connotati fondativi della lotta di Liberazione antifascista, ma il suo rilancio da parte dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia ha scatenato reazioni polemiche da parte delle frange più oltranziste ed atlantiste dei media italiani.

In un paese in cui la concentrazione di proprietà editoriale limita di fatto la libertà di stampa, classificata in coda a tutti gli altri paesi dell’Europa occidentale nel World Press Freedom Index di Reporter Sans Frontier, non è dunque una sorpresa che il conflitto d’interessi cerchi di condizionare l’opinione pubblica.

Perciò, i richiami alla pace e al cessate-il-fuoco sono stati fin da subito letti come un intralcio agli interessi di riarmo e di nuove commesse militari, tanto da cercare ogni pretesto per screditare il dissenso verso questa nuova guerra per procura.

Un editorialista del Corriere della Sera ha tacciato l’A.N.P.I. di essere un’associazione di “putiniani”, una diffamazione tanto spregievole quanto utile a distogliere l’attenzione dal fatto che i veri ‘filo-putiniani’ – da Berlusconi, a Salvini, passando per Meloni – siedano al governo e siano parte integrante dell’ampia coalizione che sostiene da destra il governo Draghi, insieme al PD.

L’ennesima tragedia bellica con la sua crescente emergenza umanitaria da un lato, per alcuni può rappresentare dall’altro l’occasione per lo stanziamento di risorse fino al 2% del PIL nazionale in armamenti, così come richiesto insistentemente dalla NATO, con il concomitante invio di ‘aiuti militari’ anche nascosti in convogli umanitari, come per il caso dell’aeromobile allo scalo di Pisa, contestato dai lavoratori della logistica del sindacato USB.

Le stesse priorità di ripresa post-pandemica, con risorse inizialmente focalizzate nella transizione ecologica e nel potenziamento dei sistemi sanitari e scolastici sono progressivamente espugnate dall’agenda bellica.

Per il governo dei “migliori” sembra infatti più facile reperire quasi ‘overnight’ 13mld.€ in nuovi stanziamenti militari, che destinare dotazioni adeguate a calmierare le bollette energetiche (circa 7mld.€ complessivi), o avviare investimenti strutturali in settori strategici alla tutela di ambiente e salute.

Neppure un simile paradigma purtroppo sorprende più di tanto, in un sistema di capitalismo predatorio, che sfrutta le persone e devasta i territori, la cui portata globalizzante è stata compromessa dalle restrizioni pandemiche, riproponendo chiusure alle frontiere ed interruzioni di catene di approvvigionamento, che hanno quindi acuito la logica imperialista delle zone d’influenza.

Perciò come in ogni conflitto, specialmente quando assume sempre più un carattere di contrapposizione bipolare, fra blocco occidentale e quello orientale, l’irreggimentazione dell’informazione e la propaganda giocano un ruolo dirimente.

Lo stesso travisamento del termine “resistenza”, abbinata alla legittima difesa dello stato ucraino dall’aggressione di Putin, è forse fra le insidie retoriche maggiori della prossima Festa della Liberazione.

Non è soltanto la presenza – su entrambi i fronti – di raggruppamenti di matrice nazifascista, come il battaglione Azov della guardia nazionale ucraina, o la menzione di eroe con tanto di festa nazionale nel giorno del compleanno del collaborazionista nazista ucraino (OUN) Stepan Bandera, a rendere evidente la difformità sul piano politico. Sotto questo aspetto manca il portato rivoluzionario che la lotta di Liberazione intendeva sancire rispetto allo “status quo ante”, ovvero un radicale cambio di regime, da quello monarchico-fascista, a quello repubblicano. A segnare ancor di più la forzatura di una simile operazione propagandistica è l’intero quadro di contesto: sul piano militare con la presenza di un esercito regolare ucraino, la mancata cobelligeranza di stati NATO – che pure fomentano la proliferazione di armi e milizie volontarie – in un panorama più ampio in cui fortunatamente non si sta vivendo una guerra mondiale.

Resta fondamentale la solidarietà con una popolazione aggredita, che continua a pagare il prezzo maggiore in termini di vittime civili, come per ogni guerra.

A dispetto del secondo conflitto mondiale, in cui agiva la Resistenza partigiana, oggi la comunità internazionale si è dotata di organismi multilaterali come le Nazioni Unite, la cui inefficacia segna tristemente l’assenza di una forza di interposizione pacifica.

Di fronte al rischio di ulteriore escalation, in termini di riarmo generalizzato e di impiego di armamenti di distruzione di massa o addirittura atomici, è perciò significativo riprendere l’esperienza del Movimento dei Partigiani della Pace, nato ufficialmente nell’aprile del 1949 a Parigi.

La genesi del movimento internazionalista nella Resistenza europea ed asiatica assumeva caratteri antimperialisti ed antifascisti, rivendicando l’interdizione all’arma atomica, nel tentativo di evitare un ulteriore conflitto mondiale.

Fra le personalità di spicco, che aderirono fin da subito al movimento, si distinguevano Pablo Picasso, Frédéric Joliot-Curie, premio per la fisica ed incaricato della prima relazione introduttiva, poi ancora Amado, Matisse, Ehrenburg, Neruda, Einstein. Della delegazione italiana, guidata da Nenni, facevano parte Vittorini, Guttuso, Quasimodo, Natalia Ginzburg, Giulio Einaudi.

Proprio nella fase di formazione di due blocchi avversari, i lavori della prima assemblea puntarono al rilancio della funzione originaria dell’ONU, come consesso multilaterale per la salvaguardia della pace, in grado di superare le alleanze militari ed il loro portato di contrapposizione.

Altrettanto forte l’appello al disarmo e alla riduzione delle spese militari, considerate uno “schiacciante fardello […] responsabile della miseria dei popoli”, al pari del colonialismo e delle discriminazioni razziali, che impedivano le libertà democratiche.

A questo proposito è parsa fin da subito sclerotica la reazione di censura culturale e accademica, avvenuta anche in Italia verso opere russofone, completamente avulse dalle politiche del governo di Mosca, profilando la contraddizione di limitare proprio quelle libertà, per la cui tutela si dichiara invece l’impegno politico.

La seconda riunione del comitato a Stoccolma nel 1950 avvia una campagna di adesioni di massa, che in poco tempo raggiunge 519 milioni di firme in tutto il mondo, dal Brasile alla Birmania, passando per Cina, Giappone, entrambe le Germanie di Est ed Ovest, Polonia, fino ad URSS e USA.

E’ lo scoppio della guerra in Corea e l’interventismo di Truman ad innescare un’offensiva contro il Movimento dei Partigiani della Pace, la cui assemblea internazionale viene interdetta prima a Roma e poi a Londra, per tenersi infine a Varsavia, da dove si fa nuovamente appello anche ai parlamenti nazionali per l’interdizione di armi di distruzione di massa, oltre all’istituzione di commissioni internazionali sui crimini di guerra.

Uno dei punti dirimenti dell’ “Appello all’ONU e ai popoli del mondo” è la proposta di un patto di pace fra USA, URSS, Repubblica Popolare Cinese, Gran Bretagna e Francia, aperto all’adesione di altri stati e conforme allo statuto delle Nazioni Unite. Il riarmo della Germania Ovest e la crisi di Suez precipitano ulteriormente la situazione internazionale e sembrano una riprova tangibile delle denunce del movimento.

Si decide perciò di convocare un ‘Congresso dei Popoli per la Pace’, avvicinando sempre più anche esponenti di idee neutraliste rispetto agli USA e alla NATO fra cui intellettuali democratici, come Sartre. Dall’assemblea di Vienna emerge una posizione, che potrebbe tuttora fungere da monito a “rinunciare all’idea di una guerra preventiva, ripudiare ogni spirito di crociata […] rinunciare a risolvere con la forza i problemi economici e i conflitti che attualmente si pongono all’attenzione mondiale”.

Lo sviluppo di processi distensivi nel confronto bipolare dalla seconda metà degli anni ‘50 rende più episodico l’impegno dei Partigiani della Pace, il cui ‘Consiglio mondiale’ resta operativo nella sua sede ad Helsinki.

Sempre in tema di analogie esemplari, proprio la capitale finalndese, in questi giorni ritornata alle cronache per l’intento del governo Marin di aumentare le spese militari ed aderire alla NATO, in passato è stata anche punto di svolta per gli accordi sulla Cooperazione e la Sicurezza in Europa (1975), di cui non resta che auspicare un prossimo riepilogo, come risoluzione di questo circolo vizioso della guerra.

Tommaso Chiti

20/4/2022 https://transform-italia.it

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