Pensieri di una infermiera

http://www.lavoroesalute.org/

In versione interattiva https://www.blog-lavoroesalute.org/lavoro-e-salute-novembre-2020/

Sinceramente non immaginavo che questa sera, una sera qualsiasi di fine ottobre dell’anno del Covid, mi sarei trovata immersa in questi pensieri.
Cercherò di fare ordine nella mia confusione mentale.

A fine febbraio di questo 2020 sarebbe iniziato un periodo di incertezza, paura, dolore, direi quasi torpore, o forse anche sopore, alternato a narcosi, destinato ad entrare talmente in profondità nei nostri corpi e nelle nostre menti, da stravolgere la vita di ciascuno, modificare i rapporti, resettare le priorità.

Per la prima volta nella nostra vita, nella vita di tutti gli uomini e le donne in vita, siamo stati travolti da un virus, un essere infinitamente piccolo quanto immensamente aggressivo, pericoloso, mortale, il cui nome riesce solo in parte a renderne l’idea: il Covid-19 o SARS-CoV-2.

Abbiamo vissuto alcuni mesi, praticamente una stagione, nella paura del contagio, nel timore anche solo di nominare la bestia, nell’angoscia di ammalarsi, nel terrore della morte, per noi e per i nostri cari.

Siamo rimasti chiusi in casa, a condividere momenti di sollievo sui balconi, ad uscire solo per questioni di vita o di morte, rigorosamente con autocertificazione, rigorosamente con la mascherina sulla bocca (perché non sempre ce l’avevamo anche sul naso): mascherina di carta, di stoffa , fatta con carta forno, imbottita con assorbenti, spruzzata con alcool – stesa al sole – stirata con ferro bollente, bianca, nera o colorata, FFP1 – 2 o 3, con valvola o senza.

Incollati davanti a video che ci aggiornavano sui numeri, sui grafici, sui cortei di camion militari pieni di bare, ascoltando servizi che allarmavano, terrorizzavano, complottavano, alleggerivano, minimizzavano; stranamente non c’era più nessuno che si occupava di tragedie famigliari, omicidi, processi, gossip, tronisti, reality.

E come d’incanto, una delle categorie meno considerate nella storia delle professioni rivestiva improvvisamente un ruolo di spicco, il ruolo dell’eroe! Si tratta della categoria dei “sanitari”, siano essi oss, infermieri o medici. Però, chi l’avrebbe mai detto che un giorno saremmo diventati i buoni?

Improvvisamente ci siamo trovati a lavorare come fossimo in un ospedale da campo, nel pieno di una guerra in cui facevamo sicuramente parte dell’esercito dei deboli.

Buttati nella mischia di turni improponibili, in reparti completamente trasformati, a trattare tipologie di pazienti completamente nuovi, diversi, più gravi.
Quanti di noi si sono contagiati, quanti si sono ammalati, quanti sono morti….quanti? Troppi, sicuramente troppi!

Quanti malati abbiamo cercato di curare, quanti abbiamo dovuto consolare, a quanti abbiamo tenuto la mano, anche se con tre paia di guanti, con quanti abbiamo pianto, a quanti abbiamo mentito dicendo “andrà tutto bene”, a quanti abbiamo chiuso gli occhi, quanti di loro abbiamo cosparso di cloro, impacchettato e spostato rapidamente in camere mortuarie improvvisate?

E quante volte, rientrati a casa, ci siamo rinchiusi in bagno per non farci vedere da nessuno, buttati sotto la doccia bollente piangendo come disperati illudendoci di riuscire a cancellare il ricordo di quella giornata, quel paziente, quel nome, quella salma?

Naturalmente dopo, nel tentativo di dormire per recuperare le forze e per non pensare, quante volte ci siamo rintanati in qualche angolo della casa, lontani quanto più possibile dai nostri amori, figli, sposi, genitori, amici, terrorizzati all’idea di poterli “infettare”?

Mamma mia, che ricordi, che periodo terribile… Quanto dolore, quante lacrime, quanta paura, quanta rabbia…

Ma poi, finalmente, la luce!

Finalmente la possibilità di prendere qualche giorno di ferie, per qualcuno anche la possibilità di cambiare aria. Ma, ahimè, sempre con una strana sensazione, sempre in uno strano stato di allerta, sempre con in mente quella maledetta frase “occhio, non abbassiamo troppo la guardia…che la seconda ondata arriverà, e sarà peggio della prima”, giusto per farsi insultare dagli altri e farci additare come i pessimisti e, perché no, gli iettatori!

Ed eccoci qui, a distanza di otto mesi, praticamente il tempo di una gravidanza, ma non certo vissuto con lo stesso stato d’animo, a rivivere le stesse cose: contagi in aumento, posti in terapia intensiva che si riempiono, scuole che chiudono, idem per esercizi commerciali e ritrovi culturali, ambulatori che sospendono le visite, posti letto dedicati solo ai positivi, malati che non si presentano più ai pronto soccorso perché la paura del Covid è maggiore della paura per l’infarto, o l’ictus, o la colica, o l’occlusione, o la polmonite (perché sì, la polmonite non Covid esiste ancora!).

In realtà, però, non è proprio la stessa cosa!

Già, perché adesso il numero di persone da sottoporre a tampone è aumentato a dismisura, così tanto che per fare un tampone ti metti in coda dalle sei del mattino per riuscire a passare, se sei fortunato, alle tre del pomeriggio, per poi avere il risultato, sempre se sei baciato dalla dea bendata, dopo circa una settimana, obbligato a isolarti in casa anche se poi alla fine risulti negativo (o meglio, devi rimanere blindato in casa, senza vedere nessuno, facendoti portare la spesa sullo zerbino e accumulando l’immondizia sul balcone, se ce l’hai, ma puoi, o meglio, devi andare a lavorare utilizzando i DPI, questi sconosciuti che sembrano comparire solo quando qualcuno deve dimostrare di averteli forniti, anche se per farlo devi salire su mezzi di trasporto sempre e comunque troppo pieni).

E non è la stessa cosa anche per un altro motivo: perché quegli eroi di cui sopra, quegli oss, quegli infermieri, quei medici che lavoravano come muli e piangevano per e con i malati, ora lacrime non ne hanno più, hanno solo tanta rabbia, e non hanno più la forza nemmeno per portare a termine un turno normale, figuriamoci il doppio turno e la reperibilità ad oltranza.

Oggi sono tutti stanchi, sconfortati, sfiduciati, delusi, amareggiati.

Stanchi di dirigenti che impongono e cambiano ordini tre volte al giorno; stanchi di proporre soluzioni senza che nessuno li ascolti; stanchi di pazienti che continuano a pretendere, come se non ci fosse alcuno stato di emergenza; stanchi della popolazione che continua ad infischiarsene di consigli, ordinanze, decreti, perché continuano a pensare di essere vittime di complotti, di essere privati della libertà personale, e che ora ci attaccano perché NOI un lavoro lo abbiamo, e dell’eroe abbiamo perso ogni traccia; stanchi di politici il cui unico obiettivo è gettare fango sui rivali anziché collaborare per la sopravvivenza di quel popolo che dovrebbero amare così tanto da volerlo governare al meglio….

Chissà, forse basterebbe ribaltare per un po’ i ruoli: da una parte, infermieri che restano in casa, in isolamento “protettivo”, per recuperare riposo, forza, motivazione e tempo con gli affetti; dall’altro, “negazionisti” che coprono turni in ospedale, che prestano assistenza a pazienti che non respirano, che tossiscono fino a vomitare, che devo essere totalmente accuditi perché sedati e intubati, “no-cov” che spruzzano cloro sui defunti potenzialmente infetti, naturalmente tutto senza l’ausilio dei famigerati DPI, che tanto non sanno nemmeno cosa siano…

Chissà, forse servirebbe a qualcosa, quantomeno a cambiare prospettiva e, perché no, l’aria che respiriamo, attualmente davvero troppo carica di cattiveria, ignoranza, superficialità, arroganza, prepotenza, egoismo, qualunquismo…e quanto di peggio ci possa essere.

Avanti, si accettano candidature.
E in attesa del cambiamento, sssssssttttt……facciamo un po’ di silenzio e portiamo rispetto a chi cerca di far sì che davvero, tutto possa andar bene….

Monica C.
(infermiera, ma anche mamma, nonna, moglie, figlia, sorella, amica. Donna. E sicuramente, non eroe.)

Lettera firmata, pubblicata sul numero di novembre del mensile Lavoro e Salute

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In versione interattiva https://www.blog-lavoroesalute.org/lavoro-e-salute-novembre-2020/

Immagine: Disegno di Milo Manara

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