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Altra Informazione, Blog, Comitati di Lotta, Cronache di Lavoro, Cronache Politiche, Cronache Sindacali, Cronache Sociali — Agosto 11, 2017 6:29 am

Un breve racconto “distopico”, ma non troppo, sui tempi in cui fummo costretti a vivere e le possibili alternative. Il 15 ottobre del 2025, Giorgio Cangiani, pensionato dal 2017 con 67 anni di età e ben 43 anni di contributi versati, ricevette “la lettera”.

Pensioni. Un racconto maledetto per l’estate

Pubblicato da franco.cilenti

La Ragioneria Generale dello Stato nella lettera scrive testualmente:

“Gentile sig. Cangiani, in base al protocollo stabilito tra lo Stato Italiano e le autorità finanziarie europee, il giorno 15 ottobre 2026,  Lei si dovrà recare alla stanza nr. 8 della Asl Rm 3 per concludere la sua esistenza in vita. Come previsto dal protocollo, il sistema previdenziale-finanziario non consente di proseguire le prestazioni nei suoi confronti. A partire dal 15 ottobre 2026  ogni prestazione verrà cessata. A meno che non sia dotato di mezzi propri dovrà sottoporsi al trattamento finale previsto dal protocollo. Si ricorda che se non si presenterà all’appuntamento e non avrà dimostrato per tempo di poter sopravvivere con mezzi propri, è perseguibile a trattamento coatto da parte delle autorità di polizia preposte al rispetto del protocollo. Ogni persona, familiari inclusi, che le darà ospitalità o intralcerà l’attuazione del protocollo a partire dal 15 ottobre 2026 sarà perseguibile per legge”.

Giorgio lesse la lettera e cominciò a rimuginare. Un anno, solo un anno di vita gli avevano concesso i tecnocrati della Ragioneria Generale. I dottori erano stati meno perentori. Con la sua malattia e la terapia che stava seguendo avrebbe potuto campare almeno altri dieci anni e negli ultimi mesi si sentiva in forma. Era tornato a giocare con l’ultimo nipotino e dava mano al figlio alla bottega vegana che aveva voluto aprire per forza, ed al quale aveva contribuito prima con parte della sua liquidazione e poi con quei “prestiti” a babbo morto che ormai erano una trattenuta quasi fissa sulla pensione.

Un anno e poi avrebbe dovuto morire. Il protocollo era entrato in vigore nel 2021. Gli effetti avevano cominciato a vedersi. Molti lavoratori morivano appena dopo essere andati in pensione per la fatica, lo stress, le malattie accumulate e non curate abbattendo così i costi.  I pensionati più poveri avevano cominciato a sparire nelle stanze nr.8 delle Asl in tutta Italia.

Qualcuno aveva provato a fuggire all’estero, ma senza i soldi ben presto o era finito per strada o era rientrato rassegnato a morire nel proprio paese. Non se la cavarono neanche quelli emigrati in Portogallo o alle Canarie. Al 75simo anno di età la pensione veniva bloccata inerosabilmente. L’algoritmo della Ragioneria dello Stato era implacabile e non c’era “mano umana” che potesse intervenire.

Se l’erano cavata solo quelli che disponevano “di mezzi propri” cioè quelli che avevano abbastanza rendite per fare a meno della pensione. Ma i pensionati ricchi non erano molti. In alcuni casi, i parenti-serpenti avevano fatto in modo che ai pensionati non fossero più intestate case o rendite, in modo che non potessero sottrarsi all’attuazione del protocollo e in qualche modo potevano togliersi di torno gli anziani di casa prima che diventassero un peso.

“Un anno, solo un anno di tempo mi hanno dato, dopo una vita di lavoro” rimuginava Giorgio. Bisognava pensare rapidamente, per quanto l’età lo consentisse, e decidere cosa fare in quell’anno di tutte le cose che avrebbe voluto fare in tutta la vita e che non aveva potuto fare. La moglie, Maria, se n’era andata presto, abbassando così i costi per il sistema. Era rimasto solo. Unica consolazione i nipotini e i pochi amici rimasti. Lavoravano come tranvieri e più di qualcuno, alla guida dell’autobus a 66 anni, era morto di infarto o di ictus al posto di guida, Arturo era morto guidando, l’autobus era sbandato e aveva investito una comitiva di turisti. I giornali avevano gridato al terrorismo, e avevano anche insistito per alcuni giorni su questa balzana ipotesi.

“Un anno mi è rimasto. Che posso fare in un anno?”. La lettera che anticipava l’attuazione del trattamento finale previsto dal protocollo, non era una gentilezza. Molti pensionati non reggevano alla prospettiva e in molti casi si toglievano la vita da soli, abbassando così i costi per il sistema.

Inoltre da tre anni, le indicazioni del Ministero della Sanità agli ospedali somigliavano alle regole dei medici di guerra: segnalate i pensionati che non vale la pena curare e lasciateli andare, concentratevi solo sui soggetti ancora attivi nel mondo del lavoro e che hanno possibilità di arrivare all’ultimo giorno di lavoro possibile.

Giorgio si mise in giro, faceva domande, bazzicava i bar della malavita alla ricerca di una pistola, anche sporca tanto non aveva più molto da perdere. Ma una cosa aveva chiara: non l’avrebbe usata contro se stesso né i suoi familiari. Rimuginava su due ipotesi: o si sarebbe dotato di mezzi propri per poter fare a meno della pensione o o sarebbe andato in cerca degli ideatori e degli attuatori del protocollo. Avrebbe dato un suo contributo preventivo all’abbattimento dei costi del sistema. Aveva tutto un anno di tempo per realizzarlo.

Francois haine

9/8/2017 http://contropiano.org

 

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Autore: franco.cilenti
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