Per la vita di Alfredo Cospito

Alfredo Cospito è a un passo dalla morte nel carcere di Bancali a Sassari all’esito di uno sciopero della fame che dura, ormai, da 80 giorni. Detenuto in forza di una condanna a 20 anni di reclusione per avere promosso e diretto la FAI-Federazione Anarchica Informale (considerata associazione con finalità di terrorismo) e per alcuni attentati uno dei quali qualificato come strage pur in assenza di morti o feriti, Cospito è in carcere da oltre 10 anni, avendo in precedenza scontato, senza soluzione di continuità, una condanna per il ferimento dell’amministratore delegato di Ansaldo Nucleare Roberto Adinolfi.

Dal 2016 è stato inserito nel circuito penitenziario di Alta Sicurezza 2, mantenendo, peraltro, condizioni di socialità all’interno dell’istituto e rapporti con l’esterno. Ciò sino al 4 maggio 2022, quando è stato sottoposto al regime previsto dall’art. 41 bis ordinamento penitenziario, con esclusione di ogni possibilità di corrispondenza, diminuzione dell’aria a due ore trascorse in un cubicolo di cemento di pochi metri quadri e riduzione della socialità a una sola ora al giorno in una saletta assieme a tre detenuti. Per protestare contro l’applicazione di tale regime e contro l’ergastolo ostativo, il 20 ottobre scorso Cospito ha iniziato uno sciopero della fame che si protrae tuttora con perdita di 35 chilogrammi di peso e preoccupante calo di potassio, necessario per il corretto funzionamento dei muscoli involontari tra cui il cuore. La situazione si fa ogni giorno più grave, e Cospito non intende sospendere lo sciopero, come ha dichiarato nell’ultima udienza davanti al Tribunale di sorveglianza di Roma: «Sono condannato in un limbo senza fine, in attesa della fine dei miei giorni. Non ci sto e non mi arrendo. Continuerò il mio sciopero della fame per l’abolizione del 41 bis e dell’ergastolo ostativo fino all’ultimo mio respiro».

Lo sciopero della fame di detenuti potenzialmente fino alla morte è una scelta esistenziale drammatica che interpella le coscienze e le intelligenze di tutti. È un lento suicidio (che si aggiunge, nel caso di Cospito, agli 83 suicidi “istantanei” intervenuti nelle nostre prigioni nel 2022), un’agonia che si sviluppa giorno dopo giorno sotto i nostri occhi, un’autodistruzione consapevole e meditata, una pietra tombale sulla speranza. A fronte di ciò, la gravità dei fatti commessi non scompare né si attenua ma deve passare in secondo piano. Né vale sottolineare che tutto avviene per “scelta” del detenuto. Configurare come sfida o ricatto l’atteggiamento di chi fa del corpo l’estremo strumento di protesta e di affermazione della propria identità significa tradire la nostra Costituzione che pone in cima ai valori, alla cui tutela è preposto lo Stato, la vita umana e la dignità della persona: Per la sua stessa legittimazione e credibilità, non per concessione a chi lo avversa. Sta qui – come i fatti di questi giorni mostrano nel mondo – la differenza tra gli Stati democratici e i regimi autoritari.

La protesta estrema di Cospito segnala molte anomalie, specifiche e generali: la frequente sproporzione tra i fatti commessi e le pene inflitte (sottolineata, nel caso, dalla stessa Corte di assise d’appello di Torino che ha, per questo, rimesso gli atti alla Corte costituzionale); il senso del regime del 41 bis, trasformatosi nei fatti da strumento limitato ed eccezionale per impedire i contatti di detenuti di particolare pericolosità con l’organizzazione mafiosa di appartenenza in aggravamento generalizzato delle condizioni di detenzione; la legittimità dell’ergastolo ostativo, su cui il dibattito resta aperto anche dopo l’intervento legislativo dei giorni scorsi e molto altro ancora. Non solo: la stessa vicenda di Cospito è ancora per alcuni aspetti sub iudice ché la Corte costituzionale deve pronunciarsi sulla possibilità che, nella determinazione della pena, gli effetti della recidiva siano elisi dalla concessione dell’attenuante della lievità del fatto e la Cassazione deve decidere sul ricorso contro il decreto applicativo del 41 bis. Su tutto questo ci si dovrà confrontare, anche con posizioni diverse tra di noi. Ma oggi l’urgenza è altra. Cospito rischia seriamente di morire:può essere questione di settimane o, addirittura, di giorni. E l’urgenza è quella di salvare una vita e di non rendersi corresponsabili, anche con il silenzio, di una morte evitabile. Il tempo sta per scadere.

Per questo facciamo appello all’Amministrazione penitenziaria, al Ministro della Giustizia e al Governo perché escano dall’indifferenza in cui si sono attestati in questi mesi nei confronti della protesta di Cospito e facciano un gesto di umanità e di coraggio. Le possibilità di soluzione non mancano, a cominciare dalla revoca nei suoi confronti, per fatti sopravvenuti e in via interlocutoria, del regime del 41 bis,applicando ogni altra necessaria cautela. È un passo necessario per salvare una vita e per avviare un cambiamento della drammatica situazione che attraversano il carcere e chi è in esso rinchiuso.

Alessandra Algostino, docente di diritto costituzionale, Università di Torino

Silvia Belforte, già docente di architettura, Politecnico di Torino

Ezio Bertok, presidente Controsservatorio Valsusa

don Andrea Bigalli, parroco in Firenze, referente di Libera per la Toscana

Maria Luisa Boccia, presidente del CRS (Centro per la Riforma dello Stato)

Massimo Cacciari, filosofo

Gian Domenico Caiazza, avvocato, presidente Unione Camere Penali Italiane

don Luigi Ciotti, presidente del Gruppo Abele e di Libera

Gherardo Colombo, già magistrato, presidente della Garzanti Libri

Amedeo Cottino, professore di sociologia del diritto nelle Università di Torino e Umeå (Svezia)

Gastone Cottino, accademico ed ex partigiano, già preside Facoltà di Giurisprudenza, Università di Torino

Beniamino Deidda, magistrato, già Procuratore generale di Firenze

Donatella Di Cesare, docente di filosofia teoretica, Università di Roma La Sapienza

Daniela Dioguardi, UDI (Unione Donne Italiane), Palermo

Angela Dogliotti, vice presidente Centro Studi Sereno Regis

Italo Di Sabato, coordinatore Osservatorio Repressione

Elvio Fassone, già magistrato e parlamentare

Luigi Ferrajoli, filosofo del diritto

Giovanni Maria Flick, già presidente della Corte costituzionale e ministro della giustizia

Chiara Gabrielli, docente di procedura penale, Università di Urbino

Domenico Gallo, magistrato, già presidente di sezione della Corte di cassazione

Elisabetta Grande, docente di Sistemi giuridici comparati nell’Università del Piemonte orientale

Leopoldo Grosso, presidente onorario del Gruppo Abele

Franco Ippolito, presidente Fondazione Basso

Roberto Lamacchia, avvocato, presidente Associazione italiana Giuristi democratici

Gian Giacomo Migone, docente di Storia dell’America del Nord nell’Università di Torino, già senatore

Tomaso Montanari, docente di storia dell’arte, rettore dell’Università per stranieri di Siena

Andrea Morniroli, cooperatore sociale, Napoli

Moni Ovadia, attore, musicista e scrittore

Giovanni Palombarini, magistrato, già procuratore generale aggiunto presso la Corte di cassazione

Michele Passione, avvocato in Firenze

Valentina Pazé, docente di filosofia politica, Università di Torino

Livio Pepino, presidente di Volere la Luna e direttore editoriale delle Edizioni Gruppo Abele

Alessandro Portelli, storico e docente di letteratura angloamericana all’Università di Roma La Sapienza

Nello Rossi, magistrato, già avvocato generale presso la Corte di cassazione

Armando Sorrentino, avvocato, Associazione italiana giuristi democratici, Palermo

Gianni Tognoni, segretario generale del Tribunale permanente dei popoli

Ugo Zamburru, psichiatra, fondatore del Caffè Basaglia di Torino

padre Alex Zanotelli, missionario comboniano

Per aderire all’appello: https://forms.gle/jtekmZS4zsdLPUht6

Vedi le prime adesioni pervenute successivamente alla pubblicazione dell’appello


Diritto di lottare: Alfredo Cospito

C’è un anarchico nelle Patrie Galere italiane, sottoposto al regime di tortura democratico del 41 bis, che sta morendo di fame. Ed io non so cosa fare per trasmettergli la mia solidarietà, posso solo scrivere… ed immaginare che cosa accadrà

di Carmelo Musumeci

Alfredo da molto tempo era convinto che solo gli stessi prigionieri potessero portare la legalità in carcere. E decise di lottare per i propri diritti. In carcere non c’è giustizia, ma non bisogna mai rinunciare a cercarla. E per cercarla bisogna muoversi, soffrire, sacrificarsi e attivarsi, lottando anche contro sé stessi.

Alfredo non era mai stato il migliore in nulla, ma quella volta decise di esserlo. E pensò di tentare di essere migliore dei suoi governanti, dei suoi “educatori” e delle guardie che lo tenevano prigioniero. Spesso in carcere non si ha che la vita per difendere i propri diritti, e Alfredo usò proprio quella. Iniziò uno sciopero della fame. Nel giro di una settimana perse dieci chili: da ottanta chili arrivò a pesarne settanta. All’inizio era molto sicuro di sé. Poi iniziò a sentire i primi dolori.

Al ventesimo giorno di sciopero della fame, Alfredo non riusciva più a muoversi come i primi giorni. Si sentiva sempre più stanco. Gli facevano male i muscoli. Gli si addormentavano le gambe. Riusciva a malapena a leggere qualche pagina di qualche libro, ma subito gli veniva sonnolenza. Con il passare dei giorni, il suo corpo si indeboliva sempre di più, ma la sua anima era ancora più forte di quando aveva iniziato lo sciopero della fame. E iniziò a sentirsi abbastanza debole da essere forte. Per lui la vita non valeva nulla senza la possibilità di lottare. E non avrebbe ceduto fin quando non lo avessero tolto da regime di tortura del 41 bis.

Con il passare dei giorni non aveva neanche più la forza di alzarsi dalla branda. Poi non ebbe più neppure la forza di avere fame. Ormai aveva solo la forza di non aver paura di morire. Alfredo si stava spegnendo come una candela. Eppure continuava a credere ciecamente che non ci fosse nulla di più bello che lottare per i propri diritti. La posta che riceveva continuava ad ammucchiarsi sul tavolino della sua cella. Lui si rifiutava di leggerla. Sapeva che se lo avesse fatto, avrebbe ceduto e avrebbe iniziato a mangiare. Lui non voleva questo. Lui voleva che venissero rispettati i suoi diritti. Alfredo arrivò al cinquantesimo giorno di sciopero della fame. Ed era arrivato a pesare cinquantacinque chili. Stava morendo. Ormai era l’ombra di sé stesso. Non aveva più forza, né energia, né rabbia. Ormai non dormiva e neppure era sveglio, si trovava sospeso tra il cielo e la terra. Stava andando nel nulla, sapendo che poi non avrebbe più avuto la forza per tornare indietro. Aveva intuito che sia fuori che dentro si erano attivati per farlo ricoverare all’ospedale, per costringerlo ad alimentarsi con la forza.

Negli attimi di lucidità, Alfredo sperava di morire prima che ci riuscissero, perché lui non avrebbe mai smesso lo sciopero della fame se prima non lo avessero tolto dal 41 bis. Questa volta lui voleva vincere. Ed era disposto, se non ci fosse riuscito, a morire. Così Alfredo andò incontro al suo destino. E morì quasi senza accorgersene. La morte lo stava aspettando al di là del cancello. Gli sorrise con dolcezza. Gli venne incontro. Lo prese per la mano. Lui si voltò per vedere per l’ultima volta il suo corpo sdraiato sulla branda. Poi uscì dalla cella. Il cancello era chiuso, ma senza il corpo Alfredo lo attraversò con facilità.

E la morte fu più buona dei suoi governanti, dei suoi educatori e dei suoi guardiani, perché lo portò per l’ultima volta a vedere il mondo anarchico che aveva sempre immaginato. Almeno così gli sembrò di immaginare, perché quando muori la morte ti fa vedere tutto quello che desideri vedere.

8/1/2023 https://www.osservatoriorepressione.info

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