«Per noi sikh nei campi l’emergenza non vale»

“Iorestoacasa” è la frase più diffusa sui media e sui social nazionali. È quello che ha stabilito il Governo a tutela di tutti gli italiani. Nulla di più corretto. Bisogna fronteggiare il corona virus e bisogna farlo con senso di responsabilità. Questa domiciliazione collettiva a tutela della salute pubblica non vale però per tutti. Restano fuori, tra gli altri, anche i dimenticati, gli sfruttati e gli emarginati. Tra questi soprattutto i migranti privi di permesso di soggiorno per via dello sfruttamento a cui sono sottoposti ogni giorno da anni. «Nessuno ci ha detto nulla e io continuo ad andare a lavorare tutti i giorni con la mia bicicletta perché ho bisogno di soldi per vivere. Se salto anche solo una settimana vado in crisi e con me anche la mia famiglia in India. Poi ho saputo da amici che si può andare a lavorare in campagna. Se non vado il padrone mi sostituisce con un altro lavoratore, tanto lavoro a nero e sostituirmi è facile», afferma Kuldip, primo bracciante indiano gravemente sfruttato ad ottenere il permesso di soggiorno per motivi di giustizia, salvato dal Comando provinciale dei Carabinieri di Latina dopo sei anni di schiavitù alle dipendenze di un padrone italiano molto vicino alla ndrina Pesce-Bellocco di Rosarno.

Certo, gli uffici pubblici sono chiusi ma non è stata data comunicazione diretta ai migranti e soprattutto ai più emarginati tra questi, tanto che alcuni di loro si sono messi in cammino per raggiungere l’ufficio immigrazione di turno per provare a rinnovare il titolo di soggiorno, salvo tornare indietro perché trovano chiuso. Ai migranti sfruttati, agli emarginati delle campagne, ai sommersi di questo Paese vengono dedicate, come sempre, le postille di provvedimenti che parlano ancora e solo agli italiani e in parte ai regolari, a testimonianza di un ordinamento che prevede norme e procedure di tutela per gli autoctoni e invece norme repressive e emarginanti per coloro che ogni giorno vengono reclutati da caporali e padroni per lavorare senza sosta sui ponteggi dei nostri edifici o sotto le serre nelle campagne italiane.

Cosa accadrà quando i lavoratori e le lavoratrici migranti sfruttati dovranno rinnovare il permesso di soggiorno dopo aver perduto, tra le altre cose, due mesi circa di retribuzione? Accadrà che aumenterà la loro ricattabilità e la loro esposizione alle pratiche estorsive di padroni italiani e caporali spesso stranieri che fanno dell’immigrazione il loro business principale. C’è da aspettarsi un aumento del business delle agromafie, che già nel 2019 toccava i circa 25 miliardi di euro secondo l’Eurispes, in corrispondenza con l’aumento dello stato di povertà, emarginazione e ricattabilità dei lavoratori stranieri.

«Stiamo provvedendo noi, come lavoratori indiani, ad avvertire i nostri connazionali sulle azioni preventive da adottare per evitare il contagio da corona virus», afferma Harbhajan, lavoratore indiano della provincia di Latina da anni in prima fila contro lo sfruttamento e il caporalato.

Tra gli organizzatori degli scioperi del 18 aprile del 2016 e del 21 ottobre del 2019, Harbhajan ogni giorno lancia sui social alcuni video da lui stesso girati, post e commenti indirizzati ai suoi connazionali con le raccomandazioni da rispettare per tutelare anche la salute dei suoi connazionali. Con lui anche Harvinder Singh, da anni bracciante nelle campagne pontine che racconta la sua giornata di lavoro durante questa pandemia: «nessuno ci ha detto cosa fare e se non fosse per l’attività che autonomamente abbiamo organizzato saremmo rimasti soli ed emarginati. Ma siamo abituati. L’Italia si ricorda di noi solo per lavorare come schiavi nelle sue campagne». I furgoncini dei caporali sono ancora pieni di uomini e donne portati a lavorare nelle campagne dal Nord al Sud della provincia pontina. Si parte da Sabaudia, Terracina, San Felice e fanno stradine di campagne interne per non essere fermati da Carabinieri e dalla polizia. «Tanto state all’aria aperta e non vi succede nulla, mi ha detto il padrone», afferma Pappu sorridendo e nel contempo scuotendo la testa. Pappu ha braccia stanche di fatica, ogni mattina si sposta in bicicletta su ordine del caporale indiano per lavorare sotto padrone italiano garantendogli profitti milionari, spesso a nero, e ai nostri supermercati prodotti agricoli necessari per superare questa fase di dramatica emergenza nazionale. Papu, Harbhajan e Harvinder sono tra coloro che pagherano più a lungo le conseguenze di questa pandemia, nel silenzio generale di un Paese che ha deciso di non considerare gli ultimi tra gli ultimi se non come braccia utili per produrre prodotti agricoli acquistati dagli italiani al tempo del coronavirus.

Marco Omizzolo

18/3/2020 ilmanifesto.it

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