Per una cultura della riservatezza

C’è un’urgenza non solo italiana ma globale di sviluppare una cultura della riservatezza. Le legislazioni fisiologicamente non riescono a tener dietro allo sviluppo dei servizi tecnologici, permettendo azioni e funzioni il cui impatto sull’accessibilità dei nostri dati sensibili spesso non è compreso in tempo reale. La riservatezza “che è un concetto diverso della privacy, che è un concetto giuridico, perché intende incidere sulla cultura e sulla responsabilità con la sensibilizzazione della singola persona rispetto ai suoi comportamenti digitali”.

L’obiettivo è, nel medio termine, “di costruire una Carta della riservatezza e fare lobbing per permettere alle scuole, al mondo della cultura, alle istituzioni di intervenire con la formazione e non con la censura su quei quei quattro-cinque comportamenti che ciascuno di noi ha e che mettono le nostre informazioni più private a disposizione di un business sempre più redditizio”. Lo spiega Eugenia Romanelli, giornalista, scrittrice e docente universitaria che alla Camera dei Deputati il 14 dicembre alle 17,30 presenta il volume da lei curato “Web, social ed etica. Dove non arriva la privacy: come creare una cultura della riservatezza”, edito da Ets, con la prefazione di Massimo Bray. Alla presentazione, introdotta dalla stessa Romanelli, interverranno Riccardo Acciai, Direttore del Dipartimento Libertà di manifestazione del pensiero e cyberbullismo del Garante per la protezione dei dati personali; Rory Cappelli, de La Repubblica; Maria Chiara Parmiggiani, Avvocato penalista; Vincenzo Vita, Giornalista; Silvia Spanó, Perito al Tribunale di Marsala e di Trapani; Carlo Solimene, Direttore della Seconda Divisione Servizio Polizia Postale. Modera l’incontro Gianni Lattanzio, Segretario generale dell’Istituto Cooperazione Paesi Esteri.

“Forse solo la polizia postale ha una coscienza che si avvicina ai fatti di che cosa noi non governiamo quando siamo online – spiega Romanelli -. La conoscenza delle conseguenze dei nostri comportamenti anarchici e impulsivi in rete non è alla nostra portata: non pensiamo, ad esempio, che la nostra reputazione e professionalità, una volta diventati adulti, possano essere valutati in un colloquio di lavoro su quello che abbiamo condiviso da adolescenti. Fino a scenari apocalittici, a livello più globale, simili a Wikileaks o Cambridge Analitics – di cui è stato, ad esempio, protagonista Facebook che è il database online più ampio di dati personali. Facebook non si è mai pronunciato chiaramente su come tratti questi dati, tanto che quando di recente ha acquistato Whatsapp e il Garante italiano della privacy gli ha rivolto dei quesiti in merito, la società non ha mai risposto”.

Noi seminiamo continuamente dati personali. “Quando navighiamo accettiamo, attraverso dei pop up, continui cambiamenti del nostro status di privacy senza rendercene conto tanto che nemmeno un giurista esperto, alla fine di una navigazione, potrebbe ricostruirne il livello di protezione– sottolinea la scrittrice -. Non dovremmo mai postare, ad esempio, foto o informazioni di minori perché, per questa inconsapevolezza e l’evoluzione continua della normativa, potremmo metterli inconsapevolmente tutti a disposizione di pedopornografi. I tag, dove sono, dove mangio, che cosa sto facendo, tutto diventa informazione commerciabile e profilabile per fini che noi non abbiamo stabilito. Per cambiare un comportamento ci vogliono, in media, da sei mesi a un anno e mezzo di lavoro su di sé: con questa consapevolezza, dobbiamo cominciare a acquisire un comportamento adeguato”.

L’urgenza del problema viene aggravata dal nuovo business che si sviluppa intorno alle nostre informazioni.

Un anno fa, racconta ancora Romanelli “Facebook ha acquisito anche una licenza bancaria diventando, potenzialmente, la più grande banca del mondo. I dati personali sono il nuovo petrolio tanto che la Cyber security ha aperto un nuovo mercato che si chiama Security Awareness, che lavora sui comportamenti delle persone in rete, e che è molto specializzato e esclusivo. Negli Stati uniti ci sono soltanto sette società che si occupano di questo, in Italia nessuna, ma il business esplode”. Per contrastare la invasione nel nostro privato, e in quello delle grandi società, “non si costruiscono più solamente sistemi sofisticati di software ma gli operatori di Security Awareness – spiega Romanelli – simulano attacchi hacker sui singoli utenti, finché essi non acquisiscono un comportamento adeguato a quei quattro-cinque comportamenti che ciascuno di noi ha e che mettono le nostre informazioni più private a disposizione di un business sempre più redditizio”.

Dal punto di vista sociale, soprattutto sui più piccoli, “navigare senza patente della consapevolezza – nel libro lo definisco come in un cielo senza stelle – rivela Romanelli – li porta in adolescenza a confrontarsi, ad esempio, con il cyber bullismo omofobico, il sexting, fino a giochi che istigano a comportamenti estremi, dall’hate speech fino al suicidio. Oggi la nostra identità dipende anche tanto da come ci presentiamo online e se non si fanno i conti con questo nuovo paradigma legato all’identità, non si ha dimensione dell’urgenza se non etica, regolativa di questi comportamenti. Naturalmente l’argomento è delicato perché il dark web, dove si trafficano droga, armi e pedopornografia, è lo stesso spazio che ha permesso ai dissidenti, in molti Paesi repressivi e antidemocratici, di aggirare la censura”.

È importante, infatti, evitare anche ogni tentazione censoria: “Non ci siamo concentrati sulle indicazioni per i legislatori per evitare di criminalizzare delle tendenze che vanno, invece, affrontate dal punto di vista culturale: ad esempio la legge sul cyber bullismo non prevede una fattispecie di reato ma il contrasto del fenomeno senza introdurre nemmeno surrettiziamente una forma di censura. È molto importante rafforzare un’informazione che spieghi che, come ogni strumento, internet ha varie implicazioni. È per questo che, ad esempio – conclude Romanelli – in questo libro a mia cura intervengono dagli psicologi, ai tecnici, agli esperti del Tribunale, al sociologo. Ho cercato di offrire un collage di posizioni per non schiacciare un fenomeno complesso sulla semplice repressione, che non servirebbe a nulla”.

Monica D Sisto

12/12/2018 https://comune-info.net

Il libro è disponibile per l’acquisto al seguentelink
Eugenia Romanelli, curatrice del volume, è giornalista, scrittrice e docente universitaria. Dopo aver diretto la versione italiana della rivista internazionale «Time Out», fondato e diretto l’e-zine Bazarweb.info coedita da Rai Eri e La Stampa, fondato e diretto l’inserto culturale SmarTime de «Il Fatto Quotidiano», attualmente è influencer e blogger («Il Fatto Quotidiano» e «L’Espresso») e collabora con «Vanity Fair» e «Atlante» di Treccani sul tema dell’innovazione culturale e digitale. Tra le docenze, ha insegnato come docente a contratto Web writing, Nuovi giornalismi, Blogging e Social media strategy all’Universìtà Luiss, all’Università La Sapienza, all’Universita di Firenze (Progetto Nemech), all’Accademia d’Arte Drammatica «Silvio D’Amico», alla Scuola di Scienze Aziendali di Firenze, al Centro Sperimentale di Fotografia Adams e ha organizzo corsi di aggiornamento su deontologia e privacy all’Ordine dei Giornalisti. Tra le sue pubblicazioni, saggi

 

 

 

 

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