Perché il patriarcato persiste

La casa editrice VandA ha da poco pubblicato in italiano il libro del 2018 Perché il patriarcato persiste? indagine condotta dalla nota attivista femminista Carol Gilligan – che insegna alla New York University ed è già autrice dei fortunati La nascita del piacere (2003) e La virtù della resistenza (2014) – e dalla ricercatrice Naomi Snider, co-fondatrice del Radical Listening Project della NYU.

Le autrici hanno elaborato questo volume che prova a rispondere a una domanda che già racchiude in sé un punto di partenza preciso: “Già porsi questo interrogativo” scrive Wanda Tommasi che ha firmato la prefazione dell’edizione italiana, tradotta da Ilaria Baldini “presuppone la consapevolezza che qualcosa di fondamentale per un cambio di civiltà sia accaduto: ci sono stati cinquanta anni di femminismo (considerata la sua seconda ondata iniziata negli anni Settanta del secolo scorso), c’è stato l’avvento della libertà femminile, molte donne sono entrate nel mondo del lavoro, nelle professioni, nella sfera pubblica, nella politica. È come se le autrici si chiedessero perché mai, nonostante i guadagni della libertà femminile che sono sotto gli occhi di tutti, persista ancora, a livello inconscio, la tendenza sia di uomini sia di donne – ed è ciò che è particolarmente inquietante – a conformarsi agli stereotipi di genere tradizionali, ricondotti da Gilligan e Snider al regime binario e gerarchico del patriarcato”. 

Un percorso di approfondimento sul patriarcato che è “al tempo stesso sotto assedio e al potere”, che è stato pungolato dalla vittoria di Donald Trump nel 2016, un presidente evidentemente “patriarcale”, e da tutto lo stupore e il trauma che questa elezione ha suscitato in molte donne, non solo americane.

Le inquietudini sulla sopravvivenza di un patriarcato che sembra correre sottotraccia, presente a livello inconscio anche in chi pubblicamente lo critica, e il condizionamento pesante che questo ingombrante fantasma ha esercitato ed esercita sulle vite di tante donne ma anche di tanti uomini, ha portato le autrici a raccogliere diverse testimonianze, in cui si palesa una pericolosa separazione ancora viva e vegeta fra una “femminilità altruistica ed emotiva” e una “mascolinità assertiva e indipendente”.

Come si può essere pienamente in relazione all’altro, integrando l’aspetto emotivo con quello razionale, difendendo la propria soggettività, la propria voce specifica, senza però sacrificare nessun aspetto di sé in nome dell’adesione a un modello schematico che si è tanto profondamente radicato?

Nonostante anche gli uomini si siano cominciati ad affacciare al tema, come testimoniano esperienze interessanti come quella di Maschile Plurale qui in Italia, il disagio che si insinua fra retaggi di un passato che resiste e lo spaesamento rispetto alla ridefinizione di nuovi ruoli e confini, è ciò che permette ai lettori di immergersi nei racconti delle giovani donne e dei giovani uomini raccolti nel volume. Lì dove le autrici, basandosi sugli studi sull’attaccamento di John Bowlby, rintracciano una possibile risposta alla sopravvivenza del patriarcato nella difesa patologica rispetto alla perdita dell’amore, che condurrebbe gli uomini “verso il distacco emotivo e le donne verso l’accudimento ansioso”.

La soggettività femminile finirebbe per essere sacrificata sulla base del mantenimento, percepito come necessario, di quelle che finiscono per essere “pseudo-relazioni”, anche in presenza di una spinta razionale all’auto-affermazione. Risposta istintiva, anche se non subito auto evidente, risulta infatti per una donna l’evitare il conflitto, silenziare la propria rabbia, o rivolgere la rabbia contro di sé invece che contro l’altro sulla base di codici antichi e tradizionali a cui si finisce per aderire pena la paura di esclusione sociale.

La stessa Naomi Snider porta all’attenzione la sua vicenda autobiografica, contraddistinta dalla scomparsa della figura paterna quando lei aveva soltanto cinque anni: come scudo protettivo rispetto al timore di sentire nuovamente il dolore della perdita, la Snider ha riconosciuto di aver iniziato a soffocare la propria autenticità per compiacere gli altri, finendo per perdersi. Solo a contatto con i diari del padre prima, con cui è entrata in dialogo intimo attraverso la scrittura, e poi con l’incontro di storie simili alla sua, in cui ha trovato una risonanza, è riuscita a fare luce sui meccanismi psicologici difensivi messi in atto, come sulla necessità di recuperare un nesso fra vero sé e relazione.

Un sacrificio del proprio esserci effettivo non a caso può sfociare anche in depressione, che ha ricadute politiche, e non solo personali: la difesa patologica dalla perdita “non costituisce solo un ostacolo all’amore, alla possibilità di una relazione autentica” sottolinea Tommasi “ma compromette anche la capacità di resistere all’ingiustizia”.

Patriarcato contro democrazia, dunque: l’intelligenza emotiva deve essere messa in gioco per far sì che possa esprimersi al meglio la “voce umana relazionale” oltre ogni stereotipo o codice gerarchico imposto dal patriarcato.

Possono le donne riuscire a tracciare la strada perché la società molli finalmente le sue antiche strutture, restituendo all’emotività come canale di accesso all’esperienza il suo giusto ruolo indipendentemente dall’appartenenza di genere?

Citando come esempi il Viaggio per la Pace del 2017 di donne israeliane e palestinesi organizzato da Women Wage Peace e movimento MeToo, il libro prova ad tracciare una via, ragionando sul protagonismo femminile nell’orizzonte dell’abbandono di un patriarcato “interiore”, frutto di complesse spinte sociali e politiche, e a favore di un cambiamento verso una piena integrazione di sé che vede coinvolti a pieno titolo sia le donne che gli uomini.

Elena Paparelli

30/12/2021 https://www.ingenere.it

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