Pfas: Veneto, la battaglia per la salute e contro l’inquinamento ambientale

Gli abitanti delle provincie di Padova, Vicenza e Verona per decenni hanno bevuto acqua contaminata. I composti perfluoroalchilici, più conosciuti come Pfas, sono stati prodotti in provincia di Vicenza dall’azienda Miteni dagli anni Sessanta, scaricati nei torrenti e finiti nella ricarica della falda che alimenta trenta comuni.

Un processo penale ha coinvolto 15 dirigenti della società, ma manca la bonifica e la popolazione colpita ha deciso di reagire. Il Movimento No Pfas, in tutte le sue forme, si batte dal 2013 per diversi diritti che la contaminazione ambientale ha negato.

Pfas Veneto, in corso uno studio sulla fertilità maschile

La contaminazione da Pfas venne denunciata nel 2013 grazie ad un lavoro del Consiglio nazionale delle ricerche che per due anni aveva campionato l’acqua del Veneto. Pubblicato lo studio, i medici per l’ambiente del Veneto (Isde) decisero di allertare la popolazione con incontri e richieste alla sanità regionale.

Dopo querele dalle istituzioni ed esser stati etichettati come allarmisti da alcuni sindaci, ora i medici Isde sono parte civile al processo e inaugurano uno studio partecipato per capire come prevenire possibili rischi alla salute di una parte della popolazione colpita, i giovani maschi. Le sostanze Pfas, infatti, se ingerite dalle donne incinte arrivano direttamente al feto, determinando possibili parti prematuri e disfunzioni del sistema ormonale del nascituro.

Francesco Bertola, ematologo in pensione, negli ultimi tre anni ha costruito uno studio con lo scopo di capire la possibile incidenza di tumori al testicolo per chi è esposto fin dalla fase intrauterina. «Chiediamo ai ragazzi di fare alcune analisi e sottoporsi a visite specifiche come l’ecografia testicolare per capire l’effettività fertilità del soggetto. Non ci sono studi così nel mondo ma è necessario per prevenire determinate conseguenze, come il tumore», ha detto a Osservatorio Diritti. Il lavoro dei medici Isde è volontario, autofinanziato, indipendente e supportato da alcune associazioni che stanno cercando giovani volontari.

Malgrado la Regione Veneto dal 2017 abbia iniziato uno screening sanitario per analizzare i livelli di Pfas nel sangue e effettuare visite specialistiche, manca ancora uno studio epidemiologico che racconti come stanno i cittadini.

Al processo contro Miteni il dottor Giampaolo Stopazzolo, dirigente della Ulss di Vicenza che per diversi anni ha raccolto i dati dei contaminati, aveva confermato come la Regione ora abbia tutti i dati per costruire uno studio. Ma per ora la dirigenza sanitaria non risponde alle richieste dei giornalisti e in Consiglio regionale non si parla di finanziamenti ad hoc.

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Sit-in delle Mamme No Pfas, Comitato stop Solvay, davanti al ministero dell’Ambiente (Roma, 6 ottobre 2020) – Foto: ©Laura Fazzini

Pfas Miteni, i filtri a carboni attivi

Scoppiata l’emergenza Pfas nel 2013, le quattro reti di acquedotti colpite misero dei filtri a carboni attivi nei pozzi di approvvigionamento per depurare da questi composti l’acqua di oltre 180 mila persone. Filtri però molto costosi che si dovevano riutilizzare una volta saturi per calmierare i costi di acquisto. Venne individuata la multinazionale Chemviron nel Veronese, a Legnago, come azienda abile a ripulire questi filtri.

Nell’Autorizzazione integrata ambientale (Aia), che tutte le industrie operanti nella chimica devono ottenere dalle istituzioni locali, ottenuta dalla Chemviron, non venne mai citata l’emissione in aria e acque di questi composti.

Nel 2017 l’azienda ottenne un ampliamento della lavorazione di questi filtri – classificati come rifiuti chimici – fino a 100 mila tonnellate l’anno, tre volte di più di quelle consentite nel primo accordo del 2013.

Nel marzo 2021 il comitato scientifico Pfas.land, attraverso il referente Alberto  Peruffo, ha depositato un esposto per preoccupazione al Nucleo operativo dei carabinieri di Treviso (Noe). La richiesta era di confermare o meno il rischio per la popolazione residente vicino allo stabilimento di eventuali contaminazioni da Pfas.

Giovedì 7 aprile 2022, durante una serata organizzata dal Comitato insieme ad altre associazioni, sono stati spiegati i metodi di rigenerazione e smaltimento internazionali dei filtri per Pfas e le analisi effettuate dall’Agenzia per l’ambiente del Veneto (Arpav).

La relazione del Noe sottolinea come Chemviron smaltisca a temperature inferiori rispetto a quelle necessarie per abbattette i pfas e i terreni e acque vicino all’azienda siano altamente contaminati da Pfas.

Il comitato ha chiesto anche che l’autorizzazione dell’azienda venga impugnata e siano perseguiti i responsabili di questo inquinamento. Il sindaco di Legnago ha indicato come necessaria una normativa nazionale che limiti gli scarichi di Pfas in acqua e nell’atmosfera.

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Foto: Mamme No Pfas

Pfas nell’acqua, la lotta delle Mamme contro l’inquinamento

Le sostanze perfluoroalchiliche sono limitate con una normativa speciale dal 2013, scritta dall’Istituto superiore di Sanità ma che riguarda esclusivamente l’emergenza veneta.

Non ci sono leggi nazionali che limitino i Pfas nelle acque di scarico industriali, malgrado vengano prodotti in Piemonte dalla multinazionale Solvay e siano utilizzati da molte industrie, ad esempio nel settore conciario. Attualmente ci sono due disegni di legge promossi in Parlamento da Vilma Moronese e Mattia Crucioli.

L’attività della senatrice Moronese è stata seguita passo passo dai ricercatori del Cnr che nel 2013 fecero partire l’emergenza delle provincie venete. Insieme al loro lavoro tecnico sui limiti, diverse associazioni sono state ricevute dalla Commissione ambiente del Senato per questo Ddl.

Le Mamme no Pfas, nate nel 2017, hanno presentato diverse modifiche a questo testo puntando sul concetto limiti zero. Michela Piccoli, del gruppo delle mamme, è andata a Roma più volte per incontrare politici e istituzioni.

«Questo nuovo Ddl, che seguiamo da mesi grazie a un dialogo attivo con la senatrice, deve mettere dei primi paletti alle industrie che scaricano come in Piemonte. Poi però si deve arrivare a non aver più Pfas nelle acque, dobbiamo ottenere industrie che abbiano circuito chiuso. Perchè i Pfas nel sangue sono come bombe ad orologeria pronte ad esplodere e i nostri figli hanno valori alti da sempre».

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Manifestazione davanti alla Provincia di Alessandria – Foto: ©Laura Fazzini

Come difendersi dai Pfas: insegnare ai ragazzi come reagire alla contaminazione

«Entriamo nelle scuole per creare cittadinanza attiva, dare al futuro della nostra terra tutte le informazioni per capire quello che è successo e cosa fare per evitare che si ripeta», dice Donata Albiero, preside in pensione di Arzignano, uno dei comuni più colpiti dai Pfas.

La ex dirigente fin dal 2013 ha deciso di dedicare tempo, forze e competenze per informare i ragazzi, «perchè i più esposti sono loro, ci sono nati dentro e qui stanno. Aiutiamoli a liberarci dai Pfas». Albiero ha costruito un gruppo di esperti, medici, tecnici che entrano nelle aule con racconti diretti e informazioni in un percorso di più incontri attraverso i quali i ragazzi conoscono, capiscono e reagiscono.

«La sola arma che concepisco – dice Donata Albiero – è la cittadinanza attiva che salva il nostro territorio disarmato e violentato. Ripartiamo dai ragazzi, portiamoli a camminare lungo i nostri fiumi inquinati e mostriamo loro che meravigliosa terra abbiamo».

Osservatorio Diritti è stato invitato il 31 marzo a parlare di diritto all’informazione in uno di questi incontri, dimostrando come nell’italia del 2022 su questioni così difficili come economica e industria ci sia ancora un difficile accesso alla giusta informazione.

Pfas, il processo Miteni

Ad ottobre 2019 erano cominciate le udienze preliminari contro 15 dirigenti dell’industria Miteni, migrate poi in Corte d’assise il 26 aprile 2021 con il rinvio a giudizio di tutti gli imputati.

Ci sono oltre 300 parti civili, tra cittadini contaminati, ex operai Miteni e associazioni ambientaliste come Legambiente – circolo Perla Blu di Cologna Veneta.

Piergiorgio Boscagin è il referente del circolo Perla Blu e spesso siede in ultima fila nella grande aula magna del Tribunale di Vicenza dove si sta celebrando la fase dibattimentale. Le udienze si susseguono ogni due settimane, la prossima sarà giovedì 21 aprile.

Dove si trovano i Pfas: alimenti, acqua e terra

Ad ogni udienza Marzia Albiero si presenta con gli striscioni delle associazioni da appendere all’ingresso del tribunale. Lei è presidente di Rete Gas Vicenza, una delle pochissime associazioni escluse come parti civili perchè considerate estranee al capo d’imputazione di disastro ambientale.

«Ci hanno esclusi dicendo che non trattiamo il tema ambiente nel nostro statuto. In effetti trattiamo di alimenti biologici e diritto al cibo, cose che arrivano notoriamente da Marte e non nascono invece nella terra, dall’acqua, dal nostro ambiente».

Gli alimenti sono tema dell’ultima deposizione di Francesca Russo. La dirigente a capo del settore prevenzione di Regione Veneto ha spiegato come la contaminazione passi anche da cosa si mangia, indicando allevatori e agricoltori come i più esposti.

Laura Fazzini

19/4/2022 https://www.osservatoriodiritti.it

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