Piemonte, sanità al palo

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Quali sono i criteri che guidano i progetti per la costruzione di nuovi ospedali ?

Questa è la domanda che ci si deve porre, di fronte alle scelte politiche di cosa fare, dove farlo e in che tempi .

In pratica: rispondono ai bisogni di salute della popolazione e all’obiettivo di garantire a tutti una sanità di qualità, o piuttosto a criteri di opportunità politica e convenienza economica ?

Le scelte sono condivise con i sanitari, con i pazienti, con le istituzioni locali ?

Per provare a rispondere, consideriamo tre esempi concreti, sui quali si è aperto in Piemonte un vivace dibattito.

Parco della salute

Il parco della salute, nuovo ospedale di eccellenza, che originariamente avrebbe dovuto unire Molinette, S.Anna, CTO e Regina Margherita, è in progetto da decenni e dopo innumerevoli variazioni di sede ed estensione, pare ora che sarà realizzato nell’ area Ex Fiat Avio, a Torino. Questa decisione è stata presa contro il parere dei sindacati e dell’Ordine dei Medici , fatto che ben spiega quale sia il confronto con i lavoratori e la condivisione delle scelte.

L’ area scelta è fortemente inquinata perché ex area industriale e la bonifica venne definita dalla stessa Mercedes Bresso “con problemi praticamente insormontabili e con costi e tempi improponibili”. Attualmente i costi sono stimati in 18 milioni di euro, tutti a carico della Regione.

Ma ciò che come sindacato dei medici ospedalieri abbiamo sempre contestato maggiormente sono le dimensioni dell’ area, che sono ridotte ed impongono un drastico taglio di circa 400 posti letto pur lasciando fuori dal nuovo polo sia il Regina Margherita che il CTO e il S. Anna.

La salute delle donne viene con questa scelta messa in secondo piano: un numero sempre maggiore di gravidanze si verifica in donne che hanno patologie (cardiopatie, nefropatie) e che quindi necessitano di un’assistenza multidisciplinare, ovvero cardiologi, nefrologi, ematologi ecc.

I bambini non potranno beneficiare di strutture nuove e tecnologie all’avanguardia, oltre alla collaborazione , necessaria in alcuni casi , degli specialisti dell’ adulto.
Infine il CTO, da trauma center diventerebbe (ma non è ancora chiaro, forse si, forse no) un altro ospedale generalista ma per patologie a bassa intensità. Come se il paziente fosse in grado di valutare la gravità della propria patologia: con un centro di eccellenza a poche centinaia i metri, i pazienti si rivolgeranno tutti al PS del nuovo parco della salute, con valzer di ambulanze per poi spostarli dove le cure sono più adeguate alla gravità della loro condizione.

Il covid ci ha infine dimostrato la necessità di ospedali che possano ampliarsi, se necessario, mentre in questo caso lo spazio è contingentato e non saranno possibili ulteriori ampliamenti.
Quindi : nessuna progettualità , nessuna valutazione dei costi , che aumenteranno dopo la crisi attuale, nessun coinvolgimento dei lavoratori.

Ospedale unico ASL TO5

La vetustà dei tre ospedali dell’ASLTO5 , Chieri, Moncalieri e Carmagnola, è ben dimostrata dal costo della loro manutenzione, purtroppo talvolta anche poco efficace.

Ma oltre criticità logistiche, sono preoccupanti le difficoltà di cura che una sanità ospedaliera così frammentata sul territorio comporta: nessuno dei tre presidi è autonomo nel garantire un’assistenza multidisciplinare in quanto alcune specialità sono presenti in un ospedale ma assenti nell’altro, con inevitabili allungamenti dei percorsi diagnostici terapeutici. Questo ha particolare rilievo nel caso di pazienti critici con necessità di trasporto da un ospedale all’ altro, come nel caso di infarto miocardico acuto o ictus cerebri, data la presenza dell’emodinamica e della stroke unit solo a Moncalieri.

In attesa che si decida dove e quando fare l’ ospedale unico dell’ ALTO5, rischia di accentuarsi la fuga del personale sanitario verso poli ospedalieri che per più facile accesso alle diverse specialità risultano maggiormente attrattivi e continua lo spreco di risorse economiche per mantenere a norma tre strutture obsolete.
Si farà , non si farà ? E quando ? Dubbi ancora aperti perché la giunta regionale deve ancora decidere.

Maria Adelaide

Da tempo i movimenti sociali di attivismo politico non si interessavano con tanta passione alla sanità.
Ma è arrivata la pandemia da Covid 19. Il Covid ha dimostrato che solo gli ospedali pubblici sono in grado di gestire le gravi emergenze sanitarie e nello stesso tempo ha messo in luce la sempre meno subdola privatizzazione , che nel post-covid è letteralmente esplosa.
E così la sanità ha attirato l’ attenzione di chi da sempre si occupa della difesa dei beni comuni e dei diritti sociali .

A Torino, diversi movimenti di attivisti si sono uniti ai sanitari e alla popolazione locale nel chiedere la riapertura del presidio Maria Adelaide e la sua riconversione in casa di comunità. Come recita il PNRR, le case di comunità serviranno “per ridurre gli accessi impropri al Pronto Soccorso e la riacutizzazione della malattie croniche, per migliorare la dimissione precoce a domicilio dei malati non autosufficienti e la prevenzione”. All’ interno è prevista l’attività dei medici di famiglia dalle 8 alle 20 , in collaborazione con infermieri, assistenti sociali, medici specialisti.

La riconversione del Maria Adelaide in Casa di comunità permetterebbe di usufruire dei finanziamenti del PNRR, e contemporaneamente di attuare una riforma efficiente e necessaria dell’ assistenza territoriale , perché potenzierebbe l’ offerta di cura e prevenzione in un quartiere con particolare disagio sociale e povero di servizi.

I soldi ci sono, i bisogni di salute pure. Le richieste sono avanzate da pazienti e sanitari , uniti. Ma nulla. La Regione pare sorda, dopo qualche iniziale promessa.
L’esempio del Parco della Salute , dell’ ospedale unico dell’ASL To5 e del Maria Adelaide ben chiariscono quanto sia difficile che la voce dal basso dei territori giunga ai vertici politici, che devono decidere.

I nuovi ospedali sono un investimento economico molto significativo: la cifra complessiva di quasi un miliardo e 300 milioni di euro per la realizzazione di sei nuovi ospedali a Torino, Ivrea, Vercelli, Savigliano, Alessandria e Cuneo, è per i pazienti e per gli operatori sanitari della regione una buona notizia, perché da anni molti di noi lavorano in strutture obsolete, con poche possibilità di ampliamento e chiari limiti strutturali. Ma è’ necessario che i progetti rispondano ai bisogni di salute della popolazione, perché la loro costruzione determinerà i servizi sanitari dei territori per negli anni a venire e dovrebbe quindi prevendere un confronto con i residenti e con chi dovrà lavorarci.

Invece, così non parrebbe essere.
Se questi sono i presupposti , ulteriori preoccupazioni sorgono per l’investimento dei 214 milioni di euro previsti per il Piemonte dal PNRR per 91 Case di comunità, 29 Ospedali di comunità e 43 Centrali operative territoriali.

Non ci resta che continuare ad unire in un dibattito pubblico gli amministratori locali, i sanitari , i pazienti, affinchè non si stanchino di avanzare proposte e sollevare critiche, chiedendo ripetutamente conto di tutte le scelte prese per la loro salute.

5/6/2022

Dr.ssa Chiara Rivetti

Segretaria Regionale Anaao Assomed Piemonte

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