Politica, spettacolo e farsa della polis antica e moderna

ombra

Dal vocabolario online Treccani, s.v. “teatrino”): «teatrinos. m. [dim. di “teatro”]. – 1. Piccolo teatro, spec. per rappresentazioni di burattini o di marionette (e in questo caso può significare anche lo spettacolo stesso o il suo genere) e come giocattolo per bambini. 2. estens., spreg. Situazione o condizione ambientale in cui tutto si riduce a un gioco delle parti nel quale ognuno finge di recitare un certo ruolo: il “t. della politica”, espressione usata per definire una politica basata su tattiche e strategie collaudate».

Teatrino della politica, appunto. Politica dello spettacolo, vitale artifizio retorico della centralità ossessiva dello“spettacolo” (dal lat. spectaculum, der. di spectare“guardare”) nella forma mentis dell’umanità novecentesca (cfr. Guy Debord, La Société du Spectacle, Paris 1967).

Oggi pensiamo alla disinvoltura e alla leggerezza con cui i temi politici sono presentati al pubblico (sic!) attraverso i mezzi d’informazione: giornali, radio, tv e non da ieri anche i social, media goffi ma, nel bene o nel male, assai efficienti ed efficaci.

Mi viene in mente (6 gennaio) Alex Cioni, consigliere comunale di estrema destra a Schio che vede appeso alla facciata di una chiesa il disegno stilizzato di un pesce accompagnato dalla scritta in maiuscola greca ICHTHYS,“pesce”, usato in età paleocristiana come simbolo e acronimo di Gesù Cristo, e non ha idea migliore del mettere immediatamente alla gogna l’episodio su Facebook. Come ha fatto? Annusando “Sardine” e antileghismo, salvo poi sottolineare, una volta corretto, che lui conosce benissimo l’utilizzo storico del simbolo ma è evidente la strumentalizzazione della questione da parte del parroco(https://www.nextquotidiano.it/alex-cioni-il-consigliere-comunale-di-schio-che-se-la-prende-con-il-prete-sardina).

Mi viene in mente lo stesso movimento delle Sardine, tanto pericolosamente affini ai 5 Stelle della prima ora nell’uso post moderno del web quanto palesemente più “istituzionali” e finalizzate al sostegno elettorale a un traballante PD emiliano-romagnolo. Mi viene in mente un altro consigliere comunale, questa volta a Trieste: tale Fabio Tuiach, anch’egli di estrema destra, che il 18 novembre 2019 si indigna pubblicamente – in consiglio comunale – perché Gesù sarebbe stato definito “ebreo” (https://www.tgcom24.mediaset.it/politica/trieste-consigliere-di-estrema-destra-ges-era-ebreo-mi-sento- offeso-dopo-la-gaffe-lascia-la-politica_11867826-201902a.shtml). Mi viene in mente quello che in Italia è stato probabilmente il punto più “alto” (e ironeía, “dissimulazione”) dell’istrionismo politico a cavallo fra la fine del secondo millennio e l’inizio del terzo, Silvio Berlusconi.

Mi viene ancora in mente, en passant, lo scambio comico fra Marty McFly ed Emmett “Doc” Brown di Ritorno al futuro, con il primo (proveniente dal 1985) che tenta di convincere il secondo (nel 1955) che negli anni ottanta il presidente degli Stati uniti sarà Ronald Reagan, all’epoca solo attore di film di serie B. Scherzi paradossali, se si considera il fatto che fra i successivi uomini politici di primo piano negli USA vi sono stati il wrestler Jesse Ventura (governatore del Minnesota fra il 1999 e il 2003), l’attore Arnold Schwarzenegger (governatore della California fra il 2003 e il 2011, oltre che oggetto di un curioso oracolo cinematografico del 1993 – nel film Demolition Man, chene predisse l’impegno politico attivo) e oggi, addirittura come presidente, l’indefinibile e “pittoresco” tycoon Donald Trump. Noi in compenso abbiamo il cosiddetto “capitano ”Salvini, che si strafoga di cibo alle sagre, s’incazza con la Nutella perché contiene nocciole turche e costruisce la sua carriera su Twitter (un po’ meno sui banchi delle istituzioni in cui risulta eletto). Insomma, ci sono tutti gli estremi perché l’accostamento fra “politica” e “spettacolo” finisca per essere indigesto esuscitare qualche conato. Al di là di un innegabile ma effimero divertimento, va detto.

Non è sempre stato così. Si prenda la Grecia antica. Una delle caratteristiche più interessanti del teatro comico etragico dell’Atene classica (perlomeno alla luce dei pochi testi che ci sono noti) era la capacità di mettere in scena, di “spettacolarizzare” storie e vicende in apparenza “non politiche” con un fine “politico”. L’intento risultava particolarmente evidente nella commedia, generalmente dedicata a ridicolizzare i potenti dell’epoca e quindi, nel suo approccio specificamente contemporaneo, non troppo dissimile dalla nostra satira. Niente affatto distante – seppur più sfumato – l’afflato politico della tragedia, di cui si tende troppo spesso a valorizzare la sola impronta “emotiva”, propensione che discende dalla nota teoria della katharsis (“purificazione”) esposta nella Poetica di Aristotele. In effetti, la sola tragedia di ambientazione esplicitamente contemporanea e, in tal senso, politica di cui disponiamo è I Persiani di Eschilo (472 a.C.), un audace “sguardo sull’altro” a proposito della sconfitta persiana a Salamina (480 a.C.) dal punto di vista dei perdenti. Ciò nonostante, lo storico accorto riesce comunque a individuare la politicità della tragedia classica in molte altre opere, tutte di ambientazione mitica, in cui emergono temi significativi per l’opinione pubblica del periodo: si pensi all’encomio etico-storico di Atene dipinto da Euripide ne Gli Eraclidi (430 a.C. ca.) o alla diffusa antipatia verso Tebe (nella polis beotica si manifestano alcune fra le peggiori nefandezze del patrimonio mitico classico, dal parricidio, all’incesto, al fratricidio), acerrima nemica della stessa Atene, che compare in un’ampia gamma di opere a partire da I sette contro Tebe (Eschilo, 467 a.C.) fino a Le Baccanti (Euripide, 406 a.C.).

Per la Weltanschauung della democrazia ateniese di V-IVsecolo a.C. era talmente centrale e fondante la dimensione“politica”, “politicizzante” e civile del teatro tragico ecomico da spingere vari suoi leader a promuovere la partecipazione del maggior numero possibile di cittadini agli spettacoli, attraverso l’istituzione del cosiddetto theorikon, un fondo grazie al quale si poteva letteralmente “pagare il biglietto” a chi non avrebbe potuto permetterselo. E non si trattava di mera propaganda a favore della polis di Atene, del suo regime democratico o della sua politica esterae interna. Tutt’altro, visto e considerato che un’altra dimensione fondamentale della vita politica ateniese era l’impulso a schierarsi, a creare fattivamente conflitto nella valutazione su come meglio gestire la cosa pubblica alla luce della convinzione che il rischio di una guerra civile (pure assai temuta), in ultima analisi, fosse persino meglio della prospettiva di una cittadinanza inattiva, disinteressata e incapace di individuare un “partito” a cui aderire.

Non è che la cosiddetta “democrazia” ateniese fosse rose e fiori, tutt’altro: c’era la schiavitù, i diritti di cittadinanza erano limitati a una fascia assai ristretta della popolazione, la misoginia imperava diffusa a tutti i livelli sociali. Però c’era un approccio diverso, almeno nei principi, verso la“politica” (l’arte di governare la polis, appunto), termine oggi alquanto bistrattato e vilipeso.

Loro avevano Eschilo, Sofocle ed Euripide. Noi abbiamo Salvini e la crociata contro la Nutella. Viene la tentazione di limitarsi ad andare a teatro, gratis o meno.

Giuseppe Cilenti

Storico

Pubblicato sull’inserto CULTURA/E del periodico caratceo Lavoro e Salute – gennao 2020 www.lavoroesalute.org

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