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    Blog, Cronache Sociali — Gennaio 4, 2016 10:50 am

    Un articolo per riflettere in una società indotta al consumo delle immagini che i poteri mediatici, vecchi e nuovi, impongono costruendo recinti per masse sempre più indistinte nella personalità soggettiva, regalando felicità virtuale con feticci e totem collettivi nell’immaginario politico e religioso. Una lettura che potrebbe consentire tante riflessioni: sull’apatia e sull’assuefazione di fronte al massacro dei diritti e della cultura da parte dei poteri dominanti mediante i suoi governi, sull’oblio per il clan 5Stelle, sulla sudditanza consapevole(?) al misticismo aggregativo delle sette psicoreligiose legate tutte a poteri politici reazionari. Gli ideali per un protagonismo di lotta sociale sostituiti dall’immaginario della banalità negli spazi preziosi delle menti?

    POSSIAMO “DECOLONIZZARE L’IMMAGINARIO”?

    Pubblicato da franco.cilenti

    In questa società le immagini dirompenti che invadono l’immaginario delle persone sono quelle che, attraverso mass media e spettacolarizzazioni in generale, veicolano la forza dirompente del Pensiero unico. Questo ci rimanda al grande tema del feticismo delle merci e del capitale in Marx.
    di Laura Nanni

    Gilbert Durand definisce la nostra una società iconica[1].

    Ma in questa società delle immagini, le immagini dirompenti che invadono l’immaginario delle persone sono quelle che, attraverso mass media e spettacolarizzazioni in generale, veicolano la forza dirompente del Pensiero unico.

    Queste immagini costituiscono un pericolo perché soffocano l’immaginario collettivo ed individuale e ne mettono in pericolo il valore e l’autenticità.

    L’immaginario è una risorsa fondamentale, ha una parte importante nella costruzione dell’identità, ma lo è quando non è snaturato, quando mantiene in vita quegli aspetti della cultura che oggi tendono ad essere sopraffatti; è una risorsa quando tiene in vita l’innato senso creativo di ogni individuo.

    Oggi l’immaginario è abitato da miti legati al grande mercato del consumismo, del fascino, dell’apparire, del potere e dall’idea del bello intesa come categoria onnivora e onnipotente. […]Rossella Certini[2]

    La nostra è una società sempre più governata dai media e dal potere delle immagini che i media impongono, recintando e occupando spazi sempre più grandi della nostra immaginazione a vantaggio di chi gestisce i mezzi di comunicazione. È un potere ideologico, politico, economico e culturale, che trasforma certi modelli e certe immagini in feticci e totem collettivi.

    Il termine feticcio indica di fatto un oggetto o manufatto che si ritiene avere uno spirito ed una forza sovrannaturale, cosa che si pensava fosse un fenomeno tipico solo delle religioni primitive.

    Mentre il totem, in generale, simbolizza una figura animale o vegetale, con la quale una data tribù sente di avere un legame, rappresenta un emblema per quel clan, ha un potere sovrannaturale.

    E così, oggi, ci rendiamo conto che quelle antiche strutture antropologiche sono ancora attive e funzionanti e condizionano le società.

    Questo ci rimanda al grande tema del feticismo delle merci e del capitale in Marx. Nella teoria di Marx, il f. è il fenomeno tipico dell’economia monetaria, e di quella capitalistica in particolare, per cui le merci non rappresentano semplici oggetti fisici ma rispecchiano rapporti sociali e situazioni antropologiche, mentre i rapporti tra gli uomini si rappresentano rovesciati, come rapporti sociali tra cose. Lo sfruttamento del lavoro, su cui si basa la creazione della ricchezza borghese, viene necessariamente occultato dai rapporti di produzione capitalistici e non può essere quindi percepito dagli agenti per quello che è. Il feticismo accompagna il sorgere dell’economia monetaria e dello scambio dei prodotti mediato dal denaro il quale nasconde la vera ragione dello scambio.

    Le immagini sono diffuse dai media come feticci, dunque, che nascondono la loro provenienza e la loro funzione, occupano l’immaginario ingenuo provocando la perdita del senso più originario delle società umane e delle relazioni reali, alimentando la subordinazione al Capitale.

    L’immaginario agisce profondamente a livello delle scelte personali, ed è per questo che sarebbe importante riempirlo nuovamente di immagini, di valori, di emblemi che sono proprie di culture diverse che abbiano radici profonde, distinguendo e operando perché le mistificazioni vengano smascherate. Questo non vuol dire essere conservatori in senso repressivo, vuol dire invece fare in modo che la banalità senza radici del consumismo venga scacciata dagli spazi preziosi delle menti. Significa ridare all’immaginario la forza che gli è propria nella rappresentazione collettiva delle idee, delle forme simboliche, della coscienza/conoscenza del reale.

    Per analizzare lo spazio dell’immaginario e delle immagini delle culture presenti, non bisogna neppure tralasciare le dinamiche della globalizzazione, per cui nascono culture delocalizzate e deterritorializzate, nel senso che vivono in un luogo che non è solo quello in cui sono nate. È la cultura intesa come rete, cioè un complesso di relazioni aperto ed estensibile, che travalica ambiti di appartenenza istituzionali, che combina una pluralità di criteri. Non si basa su un territorio, può avere nodi in ambienti e continenti diversi. Uno spazio comune, che ha grande potenzialità creative, che può unire e rafforzare quelle culture che insieme possono fare la differenza.

    Lo spazio del web, è una grande risorsa per combattere il potere mediatico del Pensiero unico.

    Di contro, purtroppo, assistiamo spesso ad un uso terroristico delle immagini trasmesse dai media o, appunto, con facilità in rete; immagini forti e simboli, azioni che vogliono essere poste al centro dell’attenzione, sia che si voglia attrarre o sedurre sia che si voglia aggredire o distruggere.

    Tutto ciò va inserito in un contesto complesso in cui siamo immersi, per il quale il consumo indiscriminato ed eccessivo delle immagini, provoca un rifiuto ed una incapacità a percepire in maniera chiara e discriminata. La moltiplicazione di immagini, prive di referenzialità, di valore simbolico e significato, tutto il frastuono di colori e l’eccesso che invade lo spazio visivo delle persone, provoca una sorta di indifferenza e svalutazione, una confusione in cui ci si può perdere.

    Per questo dobbiamo essere responsabili nel momento in cui comunichiamo immagini e parole, perché sappiamo che possiamo incidere nel corso della formazione di un immaginario collettivo e individuale che vogliamo decolonizzare e sottrarre al potere del Pensiero unico.

    * Decolonizzare l’immaginario è il titolo di un testo di Serge Latouche, 2004.

    Note:

    [1] G. Durand Tra i principali studiosi dell’immaginario e di mitologia, dopo aver partecipato alla resistenza francese, ha insegnato antropologia culturale e sociologia all’Università di Grenoble ha scritto L’immaginario. Scienza e filosofia dell’immagine. L’aggettivo iconico, viene dal termine icona che traduciamo con immagine.

    [2] Università di Firenze, Pedagogia generale e sociale.

    Laura Lolli Nanni

    31/12/2015 www.lacittafutura.it

     

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    Autore: franco.cilenti
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