POTERI E INFORMAZIONE

Sempre più ci chiediamo quanto e come la centralità della comunicazione, nei suoi aspetti vecchi e nuovi, abbia alimentato processi quali la personalizzazione delle leadership, la verticalizzazione delle organizzazioni politiche, la presidenzializzazione dei partiti, la delegittimazione sociale dei vecchi “corpi intermedi” – la cosiddetta “disintermediazione”, la stessa spettacolarizzazione della politica. Si tratta di aspetti chiave di tante riflessioni e dibattiti, a cui si è aggiunto il ruolo delle fake news, e di quella “comunicazione ingannevole”, che non è una novità assoluta dei nostri giorni. Ma proprio perché ci troviamo nel pieno di “una grande trasformazione” o” come sostiene una recente pubblicazione con accenti pessimisti, “una grande regressione”, abbiamo necessità di uno sguardo lungo che tenga conto di origini e sviluppi della “mediatizzazione” e del rapporto complesso tra sistema dell’informazione, poteri e opinione pubblica.

Benvenuto dunque al volume “Poteri e Informazione. Teoria della comunicazione e storia della manipolazione politica in Italia (1850-1930)” per le edizioni Le Monnier. L’autore, Massimiliano Panarari, all’impegno accademico, insegna Campaigning e organizzazione del consenso e marketing politico alla Luiss e Informazione e potere alla Bocconi, accompagna proficuamente il ruolo di saggista ed editorialista di diverse testate. Coniugando sapientemente metodo storico e sociologia dei media studies, l’autore ci conduce nella storia di quella modernità segnata dal crescente ruolo dei media.
Lo fa partendo dalla genealogia di una parola magica “opinione pubblica” una entità mutevole e metamorfica, inventata dall’Illuminismo e il cui sviluppo sarà sempre più correlato al ruolo dei mezzi di comunicazione di massa. “L’opinione illuminata”, “l’opinione gridata” “l’opinione sondata” del Novecento, sono i tre stadi di sviluppo, individuati dalla sociologa Judith Lazar. Panarari dedica un’acuta analisi sul punto di non ritorno che è stata la Prima guerra mondiale. Non è certamente casuale che un classico sia stato il volume “L’opinione pubblica” (1922) dello statunitense Walter Lippmann, giornalista e studioso che poté «sperimentare direttamente la campagna di manipolazione della verità messa in atto per giustificare l’intervento e cercare di superare il sentimento neutralista che si sposava con un sentimento isolazionista di lunga data». Ecco l’operare della “comunicazione ingannevole” dove l’opinione pubblica non era altro che la proiezione dei mass media e delle élite dominanti. «La prima guerra mondiale, nella sua immane tragedia, diviene un laboratorio di modernità delle tecniche di propaganda a cui faranno riferimento il fascismo, il nazismo, e lo stesso stalinismo».
Una modernità, segnata anche dalla crescente pervasività della pubblicità, in cui nascono nuove figure professionali come i sondaggisti, gli spin doctors, gli uomini e donne delle pubbliche relazioni. È l’America della modernità, “l’impero irresistibile” dei consumi che segnerà di sé tutto il secolo breve.

Sul delinearsi di questa società di massa, con i suoi effetti di omologazione e di massificazione e di costruzione di “fabbriche del consenso”, intervengono nel secondo novecento analisi e teorie critiche tra cui quella che emerge dall’opera esemplare, “Storia e critica dell’opinione pubblica” del sociologo e filosofo tedesco Jürgen Habermas, uno degli ultimi esponenti della scuola di Francoforte. Pubblicato nel 1962 si inserisce nell’humus culturale e politico di partecipazione dal basso rivendicata nelle lotte studentesche e operaie del ‘68-69. Uno di quegli intellettuali schierato sul fronte della “battaglia delle idee”, assertore di quella democrazia deliberativa in cui il ruolo determinante viene assolto dalla comunicazione come modalità di organizzazione del processo democratico.
Dopo aver passato in rassegna le principali teorie sull’opinione pubblica e sulla comunicazione politica elaborate nel corso del Novecento, Panarari ricostruisce mezzi e strumenti dell’informazione dall’Unità agli anni della grande crisi. È il fattore politico il motore che fa venire alla luce i grandi quotidiani nazionali, ma anche giornali locali come Il Telegrafo, oggi Il Tirreno, fondato dal garibaldino Giuseppe Bandi e che proprio in questi giorni ha festeggiato i 140 anni dalla sua nascita. Ha ragioni da vendere Panarari a sottolineare come la «connotazione notabilare e oligarchica del liberalismo italiano e la mancanza nella sua cultura politica della visione di una presenza organizzata territoriale nei termini del partito fecero crescere enormemente la centralità dei giornali».
Tutto ciò si accompagnava a forti condizionamenti e a finanziamenti illeciti, alla luce anche del ruolo di banche e finanza che divennero sempre più proprietari di testate, in particolare dopo la Prima guerra mondiale. Le pagine sul laboratorio Italia sono ricche di riferimenti a fatti e personaggi del giornalismo dell’epoca, passando dalla propaganda del movimento operaio e socialista alle campagne di manipolazione della stampa borghese con il picco della prima guerra mondiale. Durante il fascismo

si avrà un’ulteriore strutturazione delle tecniche moderne di manipolazione delle masse che si basavano su affermazioni apodittiche e prive di ragionamenti razionali. Sorgeva l’alba della moderna e contraddittoria società della comunicazione anche in politica.La modernità è figlia dell’accelerazione della comunicazione e della diffusione e intensificazione dell’azione dei media. Un processo che caratterizza l’intero Occidente contemporaneo, con gli Stati Uniti quali laboratorio, e con varie specificità nei diversi Stati-nazione europei. Questo volume vuole, da un lato, indagare le trasformazioni della comunicazione – tra giornalismo, evoluzione dell’opinione pubblica, sistemi politici e propaganda – nell’Italia diventata nazione unitaria, arrivando fino agli anni Trenta dei totalitarismi. E, dall’altro, si propone di ripercorrere alcuni dei nodi fondamentali dell’intreccio tra sistemi di potere, comunicazione pubblica e soggetti della politica, guardando alle innovazioni che dall’estero arrivavano nel nostro Paese. Un’analisi multidisciplinare dei processi di mediatizzazione e dei fenomeni di manipolazione all’opera nel secondo Ottocento e nei primi decenni del XX secolo, integrata da una rassegna ragionata delle principali teorie della comunicazione elaborate nel secondo Novecento.

Enrico Mannari

3/6/2017 http://iltirreno.gelocal.it/

Autore: Massimiliano Panarari
Editore: Le Monnier (2017), pag.157, Euro 14,00

Massimiliano Panarari insegna Campaigning e organizzazione del consenso all’Università Luiss Guido Carli di Roma, Marketing politico alla Luiss School of Government e Informazione e potere all’Università Luigi Bocconi di Milano. Il suo campo di ricerca si muove tra sociologia della comunicazione e dei processi culturali, comunicazione politica, teoria politica, mass media e popular culture. È editorialista della «Stampa», del «Piccolo», dei quotidiani veneti Finegil, di «D di Repubblica» e del «Giornale di Brescia» e collabora con «Il Venerdì di Repubblica». È autore del libro L’egemonia sottoculturale (Einaudi, 2010) e coautore (con F. Motta) del libro Elogio delle minoranze. Le occasioni mancate dell’Italia (Marsilio, 2012). Ha curato (con M. Laudonio) il libro Alfabeto Grillo (Mimesis, 2014). Ha pubblicato articoli sulle riviste «Il Mulino», «Problemi dell’informazione», «Contemporanea» e recensioni sulle riviste «ComPol» e «Ricerche di Storia politica». È stato membro del Comitato scientifico del progetto «La Grande Trasformazione 1914-1918» della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli-Università Luigi Bocconi e responsabile scientifico del filone di ricerca su «Informazione e propaganda nella Prima guerra mondiale» (2015).

Indice
Prefazione; 1. I «format del potere». Teorie su informazione, potere e opinione pubblica nei sistemi liberaldemocratici; 2. L’Italia liberale; 3. La (tragica) alba di un nuovo mondo: la prima guerra mondiale come «questione comunicazionale»; Note; Bibliografia; Indice dei nomi.

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