Povera salute! L’autonomia regionale differenziata nelle urne

1.
Siamo in campagna elettorale e per la sanità, e la salute, l’Autonomia Regionale Differenziata è un rischio tanto sottaciuto quanto immanente. Anzi, un dramma immanente. Il fatto che in Italia il Servizio Sanitario Nazionale sia già oggi articolato in 21 Servizi e Sistemi sanitari (19 regioni più 2 provincie autonome) e che ciò sia fonte di diseguaglianze e gravi problemi assistenziali è osservazione e denuncia “assai diffusa”, anche nel mondo della Sanità: una per tutte l’ultima ferma denuncia dell’ANAAO su Quotidiano Sanità dello scorso 5 luglio. Che la denuncia sia fondata lo conferma il Rapporto Le Performance Regionali, di CREA Sanità, che con la figura di seguito pubblicata sintetizza quali sono, ad oggi, i risultati dell’Autonomia Regionale Differenziata (=Federalismo Sanitario) di fatto in vigore, prima della sua adozione “istituzionale” proposta in attuazione dell’art.116 c della Costituzione.

Nello stesso rapporto CREA la figura è corredata da eloquenti tabelle di come nelle Regioni con le peggiori performance si evidenzino minori finanziamenti pro/capite, fenomeni fino al 12% di persone che hanno rinunciato alle cure per motivi economici, fino all’8% di famiglie che sono impoverite per spese sanitarie. Non credo possano esistere dubbi che tale situazione sia da ascrivere non al fato ma alle attività politiche e amministrative, sostanzialmente congiunte, dei Governi centrali e dei Presidenti e delle Giunte delle Regioni che si sono succeduti negli anni. Una per tutte, ultima e clamorosa, la mancata impugnazione da parte del Governo Draghi, e del suo ministro della Salute Speranza, della legge della Lombardia n. 22 del 14 dicembre 2021 “Modifiche al Titolo I e al Titolo VII della legge regionale 30 dicembre 2009, n. 33 (Testo unico delle leggi regionali in materia di sanità)” in franca contraddizione con la Costituzione e la normativa in vigore a partire dalla legge n. 833/78.

È una massa enorme di temi di politica ed economia sanitaria la cui soluzione, in qualsiasi senso si procederà, condizionerà l’assetto futuro del servizio sanitario nazionale, il ruolo del “privato” nel sistema sanitario italiano, in ultima analisi la tutela della salute e suoi costi “sanitari”. Tale massa enorme di temi è però, a monte, condizionata sul piano politico e istituzionale dalla scelta di procedere, o non (come fortemente auspico), sulla strada della Autonomia Regionale Differenziata ex art. 116 c Costituzione.

L’alternativa, per tutti i temi di politica sanitaria su richiamati, è se essere gestiti in un contesto istituzionale di “Federalismo sanitario regionale” oppure no, non essere più gestiti in un contesto “federalistico” (non previsto peraltro dal Titolo I della Costituzione, ma surrettiziamente inserito, senza nominarlo per evidente incompatibilità con detto Titolo I, dalla cosiddetta “riforma del Titolo V” nel 2001).
E quel “oppure no” si declina in due varianti: recuperare la centralità del Parlamento nella legislazione sanitaria, affidando al decentramento amministrativo delle Regioni e dei Comuni (controllato con il concorso delle Conferenze delle Regioni e delle Autonomie Locali ed avocabile ex art. 120 della Cost. in caso di inadempienze) la unitaria gestione del Servizio sanitario regionale per assicurare l’uguaglianza nell’accesso al diritto alla salute (come auspico) oppure centralizzare non solo l’attività legislativa sul Parlamento ma anche l’attuazione amministrativa delle leggi approvate dal Parlamento sul Ministero della Salute, o comunque sui Ministeri e sul Governo nazionale (come non auspico assolutamente poiché si butterebbe a mare quel decentramento amministrativo (non della funzione legislativa!) a Regioni ed Enti Locali che è funzionale al controllo democratico dei cittadini.

2.

Nei programmi elettorali, salvo eccezioni di cui più avanti, il tema della autonomia differenziata in Sanità non è esplicitamente trattato di fronte agli elettori, ma è nei fatti trattato nelle prese di posizione sulla Autonomia Regionale differenziata in generale, che ricomprende anche la Sanità. In particolare, le coalizioni di Centro Destra e di Centro Sinistra si impegnano, con accenti diversi ma con esito concorrente, ad attuarla nel corso della prossima legislatura, come del resto si trovarono insieme a sottoscriverla nel 2018 con l’allora Governo Gentiloni le due regioni governate dal centro destra, Veneto e Lombardia, e la regione Emilia-Romagna, governata dal centro sinistra. Si legge infatti nel “Programma quadro per un Governo di centrodestra” nel paragrafo “Riforme Istituzionali”: «Attuare il percorso già avvenuto per il riconoscimento delle Autonomie ai sensi dell’art. 116 comma 3 della Costituzione garantendo tutti i meccanismi di perequazione». E nel programma della lista “Insieme per un’Italia Democratica e Progressista” del Centro Sinistra: «Ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia alle Regioni (ndr, Autonomia regionale differenziata ex art.116 c Costituzione) potranno essere concesse nell’ambito di una legge quadro nazionale, solo previa definizione dei Livelli Essenziali di Prestazioni concernenti i diritti civili e sociali da garantire su tutto il territorio nazionale, il superamento della spesa storica come criterio esclusivo di allocazione delle risorse, il potenziamento dei fondi di perequazione infrastrutturale. Sono comunque esclusi dalla differenziazione delle competenze regionali i grandi pilastri della cittadinanza, a partire dall’istruzione».

A dire il vero, nella coalizione di centro sinistra, una lista, quella di “Alleanza Verdi Sinistra”, afferma che «è indispensabile espellere il tema Sanità dalla eventuale attuazione dell’autonomia regionale differenziata». Inoltre, in una recente intervista al quesito se il problema fosse il “federalismo” applicato alla sanità, il prof. Crisanti, tanto autorevole quanto disallineato dal programma della lista di centro sinistra nella quale è candidato, ha sostenuto: «È una iattura. Le regioni possono anche decidere se aprire o no alla sanità privata e i cittadini nemmeno ne sono consapevoli». È però vero che tali voci critiche, pur positive, sono “imbelli” a fronte di un programma elettorale della loro coalizione che conferma l’impegno per la Autonomia Regionale Differenziata.

M5Stelle e Azione-Italia Viva, si ritrovano invece in assonanza nel richiedere la riforma del titolo V per ridare più poteri allo Stato in materia sanitaria, evidentemente espungendola dalla Autonomia Regionale Differenziata. Da ultimo, Unione Popolare, sola tra le coalizioni, propone nel suo programma «la ricostruzione del Servizio Sanitario Nazionale unico per tutte le regioni, superando la controriforma del 2001», eliminando l’aziendalizzazione e tornando alle USL con controllo democratico del territorio», esplicitando l’obiettivo di «fermare l’autonomia differenziata e salvaguardare i beni comuni e i servizi locali» con «stop al progetto di Autonomia differenziata che divide ulteriormente il paese tra regioni ricche e regioni povere, in particolare penalizzando il Sud».

Alla luce di tali impegni programmatico-elettorali e della consistenza prevista delle varie rappresentanze parlamentari nel prossimo Parlamento l’Autonomia Regionale Differenziata, più che un rischio concreto è, quindi, un dramma preannunciato. Un danno preannunciato da sventare assolutamente per il Servizio Sanitario Nazionale, facendo sentire la propria voce critica a coalizioni, partiti e candidati, già oggi nel corso della campagna elettorale. Dopo sarà tardi (anche se per le lotte politiche e sociali per la salute «non è mai troppo tardi»)!

Gialuigi Trianni

1/9/2022 https://volerelaluna.it

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