PRECARI: OCCUPABILI ANZICHÉ OCCUPATI

Ormai il tono della voce del presidente del Consiglio e segretario del Pd, Matteo Renzi che parla dei dati sull’occupazione, somiglia molto allo stridore dei polpastrelli contro lo specchio su cui tenta maldestramente di arrampicarsi. I fatti confermano testardamente il completo fallimento del Jobs act. L’ultimo rapporto dell’Osservatorio sul precariato dell’Inps mostra che nel primo trimestre di quest’anno, con gli sgravi fiscali per le assunzioni a tempo determinato dimezzati rispetto a quelli del 2015, i contratti stabili subiscono un crollo clamoroso.

Rispetto ai primi tre mesi del 2015, quest’anno sono stati registrati il 33,4% in meno di contratti stabili. “Il calo – ammette l’Inps – è da ricondurre al forte incremento delle assunzioni a tempo indeterminato registrato nel 2015 in corrispondenza dell’introduzione degli incentivi legati all’esonero contributivo triennale”. In pratica si ammette che nel 2015 il dato era drogato dagli incentivi fiscali. E sono diminuite anche le trasformazioni a tempo indeterminato (-31,4%). Manco a dirlo, ad aumentare (+45,6%) sono i voucher.

Insomma, i dati dell’Inps dimostrano ciò che era stato previsto e che era stato detto: il Jobs act e gli sgravi fiscali per le nuove assunzioni sono un affare non per i lavoratori, ma solo per le imprese che confermano la tradizione “prenditoriale” del capitalismo italiano, che preferisce incrementare i rapporti di precarietà, non certo quelli di stabilità.

D’altronde, in occasione dell’incontro tra il ministro Giannini e l’omologo tedesco Wanka per rinnovare accordi sulla formazione professionale, la titolare del dicastero dell’istruzione aveva chiarito l’idea sua e del governo in materia di flessibilità. “Il mercato richiede la formazione di personale flessibile” e a questo punta il governo Italiano, per rispondere alle esigenze di flessibilità delle imprese, che vuol dire “dinamismo e mobilità del lavoro e delle persone”. Insomma, un accordo per formare persone flessibili per il lavoro flessibile; cioè, per rifornire il mercato del lavoro di lavoratori precari. Un’intesa che richiama un accordo tra Italia e Germania del 2012. Quel memorandum prevedeva di assegnare giovani a stage e tirocini in aziende italiane e tedesche. L’obiettivo, che quindi viene confermato con il rinnovo dell’accordo del 2012, era di agevolare l’apprendistato perché diventasse la normale via di accesso al mondo del lavoro. La strada da seguire, anche con riferimento agli ammortizzatori sociali, era (ed è) quella dell’occupabilità del lavoratore contro il modello di tutela dell’occupazione, cioè contro “la rigidità novecentesca” che per il ministro Giannini “va abbattuta”.

Il salto concettuale è evidente: non si tutela il lavoratore, ma si impone una disponibilità al lavoro secondo le richieste del mercato, le necessità di impresa. Essere occupabili non significa nient’altro che essere disponibili ad accettare la precarietà di lavoro e di vita, anche quella peggiore, sottopagata, senza tutele e senza diritti, oggi rappresentata dalla diffusione massiccia dei voucher.

Per avere un’idea del livello di utilizzo delle prestazioni pagate in buoni lavoro, basti osservare i dati dell’Inps per notare che dal 2008 al 2015 si è passati da poco più di 24.000 lavoratori coinvolti, a quasi 1.400.000; e mentre nel 2008 non si arrivava a 10.000 datori di lavoro utilizzatori di voucher, nel 2015 questi sono cresciuti fino a 473.000, molti dei quali fanno ricorso ai voucher in maniera rilevante, intensiva ed estensiva. Ad essere coinvolti, oggi, sono soprattutto giovani. L’età media di lavoratori pagati in buoni lavoro si è abbassata notevolmente in pochissimi anni, passando dai 60 anni del 2008 a 36 del 2015. Questo dato è importante rispetto all’attività formativa dei lavoratori, attuali e futuri, ed al tendenziale sviluppo della produzione.

Le affermazioni del ministro Giannini rispetto alla “formazione di personale flessibile” per rispondere alle esigenze d’impresa, significa, per i lavoratori, essere disponibili ad una conoscenza ristretta alle necessità d’impresa. La “conoscenza operaia” quale strumento di contrapposizione alle imposizioni d’impresa, rimane in questo modo un ricordo. Ai lavoratori non è concesso di appropriarsi dei frutti della formazione, essendo questa funzionale ad una congiuntura economica, ad una contingenza d’impresa. Insomma, una formazione molto volatile, adatta ad un regime di bassi salari. Un regime funzionale ad una guerra tra poveri nel mercato del lavoro che vuole lavoratori in competizione per la conquista di un posto di lavoro, sui quali vengono fatte ricadere tutte le responsabilità del proprio futuro. Un regime che pone la produzione italiana in competizione con Paesi più poveri e soggetti alla sussunzione di Paesi centrali.

La lotta alla precarietà, quindi, ha una valenza generale. Trovare forme di organizzazione che coinvolgano i lavoratori precari, futuri lavoratori e lavoratori (ancora per poco) stabili, deve diventare una priorità del sindacato e della sinistra di classe.

Carmine Tomeo

20/5/2016 www.lacittafutura.it

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