Presidio permanente: I lavoratori Bekaert sono io!

 

Un fulmine, ma non a ciel sereno!

Il 22 giugno 2018, la Bekaert, multinazionale belga leader mondiale nella filiera produttiva dell’acciaio, ha annunciato la chiusura dello stabilimento di Figline Valdarno: 318 lavoratori coinvolti, a cui si aggiungono le loro famiglie, nonchè le centinaia di lavoratori (tra appalti e indotto industriale) e l’economia locale complessiva, date le ripercussioni sui consumi.

A dire il vero, non si è trattato di un vero e proprio “fulmine a ciel sereno”, sebbene sia precipitato rapidamente dall’alto: già nel passaggio da Pirelli a Bekaert, avvenuto nel 2014, i lavoratori temevano – a ragione – ripercussioni negative sulle condizioni lavorative. Negli ultimi mesi, inoltre, era impossibile non notare come l’azienda già operasse concretamente per spostare la produzione in Romania.

La storia è sempre la stessa insomma: pur di aumentare i margini di profitto, si mettono gli uni contro gli altri lavoratori di paesi differenti, sfruttando le differenze salariali, per produrre esattamente lo stesso tipo di prodotto.

La risposta dei lavoratori è stata repentina, dapprima con un presidio ai cancelli e poi con l’organizzazione di un corteo di solidarietà che ha sfilato dallo stabilimento al centro di Figline, sabato 29 giugno,  al quale hanno partecipato ben 5.000 persone.

Da allora, ossia dal fatidico 22 giugno, in Valdarno è cominciato il conto alla rovescia…tic tac: 75 giorni  (come previsto dalla procedura sui licenziamenti collettivi) che scadranno il 5 settembre; ma la sveglia trillerà il 4 agosto, giorno in cui si teme che la chiusura estiva si traduca in una serrata aziendale.

Cosa succede in Italia quando un’azienda con più di 15 dipendenti vuole chiudere e delocalizzare?

Succede che il datore di lavoro può procedere liberamente a licenziare tutti i propri dipendenti dopo aver osservato una procedura che, però, non lo costringe ad un alcun accordo e/o ripensamento.

La procedura prevede una prima fase di 45 giorni di consultazione/trattativa sindacale durante la quale le parti possono raggiungere un accordo libero nel suo contenuto: può prevedere il ritiro della procedura, l’adozione di soluzioni alternative, la corresponsione di somme in denaro ai lavoratori per l’accettazione dei licenziamenti ecc. In caso di mancato accordo, si apre una fase di ulteriori 30 giorni durante i quali il confronto tra le parti sociali viene condotto davanti alle istituzioni politiche. Queste dovrebbero spingere a raggiungere soluzioni alternative agli annunciati licenziamenti, nell’ottica della maggior tutela possibile dell’attività produttiva e dei lavoratori.

Trascorsi questi 75 giorni senza che si sia trovata una soluzione alternativa, il datore di lavoro è libero di licenziare con preavviso tutti i lavoratori coinvolti nella procedura, con scarse possibilità che tali licenziamenti possano essere realisticamente giudizialmente impugnati.

In precedenza le aziende avevano la possibilità di accedere all’istituto della Cassa Integrazione Guadagni Straordinaria (CIGS), anche in caso di cessazione dell’attività.  Se da un lato la Cassa Integrazione, a partire dalla fine degli anni Settanta, ha permesso a tantissime aziende di far gravare i costi delle ristrutturazioni interne sulla collettività (quindi: male), d’altro canto è un istituto che, tenendo legati i lavoratori all’azienda, consentiva loro di organizzarsi insieme per ottenere una ripresa delle attività, come avvenuto in tanti casi che abbiamo seguito negli anni (quindi: bene).

Non è un caso che la riforma degli ammortizzatori sociali contenuta nel Jobs Act abbia eliminato questa possibilità: l’attivazione dei nuovi sussidi – ossia della NASPI –, nel caso della cessazione dell’attività, è possibile solo DOPO l’avvenuto licenziamento.

Nei fatti con il Jobs Act si è voluto isolare i lavoratori gli uni dagli altri: ognuno dovrà trovare lavoro per conto suo, seguendo il nuovo iter (accesso ai centri per l’impiego etc.), senza che nulla lo leghi più all’azienda che lo ha utilizzato anche per decenni. I lavoratori Bekaert si trovano dunque con uno strumento di lotta in meno e con un margine di trattativa molto ridotto. Chi ha firmato quella legge ed oggi afferma di essere dalla loro parte, semplicemente sta mentendo.

Di fronte a questa nuova situazione, incalzando il nuovo governo sul suo stesso terreno, i sindacati hanno proposto l’adozione di un Decreto Legge “salva lavoratori”, che riporti nelle loro mani gli strumenti minimi e necessari ad affrontare dignitosamente la crisi che li ha investiti:

1) ripristino della causale “crisi per cessazione anche parziale dell’attività” per poter accedere alla cassa integrazione guadagni straordinaria;

2) introduzione della possibilità da parte del Ministero dello Sviluppo Economico, nell’ipotesi in cui l’azienda non voglia trattare col sindacato, di sospendere la procedura di licenziamento dal giorno dell’incontro al Ministero fino al 12esimo mese successivo, applicando la CIGS;

3) introduzione di un obbligo di preavviso ai sindacati di 12 mesi, da parte delle aziende, nei casi in cui intendano cessare l’attività.

Il nuovo Ministro del Lavoro, che dice di essere contro il Jobs Act, deve ora dimostrare di esserlo veramente, disinnescando quelle che sono le trappole della legge e dando la possibilità ai lavoratori di guadagnare tempo e forza nella trattativa.

E noialtri? Cosa possiamo fare per non restare a guardare? Come estendere la solidarietà?

Siamo convinti che la Bekaert ci riguarda, non è un caso isolato, non coinvolge “solo” centinaia di lavoratori del valdarno, ci riguarda perché tutti siamo esposti al continuo ricatto di essere usati e sostituiti per comprimere ancora diritti e salari.

Alla Bekaert si produce un semilavorato dell’acciaio, alla S.I.M.S (dove sono stati annunciati decine di licenziamenti) si producono materie prime chimiche per l’industria farmaceutica, ma il ritornello è sempre lo stesso: per fare profitti si spremono i lavoratori sottraendo loro energie, competenze, idee, diritti e speranze, fino a sostituirli con altri lavoratori, delocalizzando se conviene, mettendo lavoratori contro lavoratori, in una continua competizione a ribasso.

Saremo al fianco dei lavoratori per rivendicare:

>> Un futuro lavorativo certo per tutto l’indotto industriale, respingendo delocalizzazione e licenziamenti!

>>>Utilizzo dello stabilimento, a controllo operaio; non una lenta agonia ma un’appropriazione del processo produttivo: siano gli operai a decidere! Intanto, i macchinari non devono uscire dalla

fabbrica!

Come esprimere la solidarietà?

>>Condividi, metti un like e resta aggiornato sulla pagina face book 
I LAVORATORI BEKAERT SONO IO

>>>Contribuisci alla cassa di solidarietà versando un aiuto concreto per i lavoratori sull’IBAN IT13C0103037850000002606648, o organizzando serate di raccolta fondi

>> Esponi bandiere, striscioni, piccoli cartelli con scritto I LAVORATORI BEKAERT SONO IO, fai vivere la lotta e la solidarietà in ogni palazzo e strada

3/8/2018 http://clashcityworkers.org

0 commenti

Lascia un Commento

Vuoi partecipare alla discussione?
Sentitevi liberi di contribuire!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *