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Commenti di Mauro Biani

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    Cosa si porteranno dietro le lavoratrici e i lavoratori che scamperanno alla mattanza? Si porteranno dietro ansia, stress, stanchezza e solitudine, potenziali nuove malattie professionali – non bastavano quelle “classiche” causa inadempimenti strutturali del sistema produttivo – e malattie mentali anche a lungo termine.

    Prima, durante e dopo la pandemia. Una Repubblica fondata sulla morte dei lavoratori?

    Pubblicato da franco.cilenti

    http://www.lavoroesalute.org/

    In versione interattiva http://www.blog-lavoroesalute.org/lavoro-e-salute-novembre-2020/

    Già era una tradizione istituzionale far finta di nulla di fronte ai quotidiani morti sul lavoro sottoposto un sistema produttivo da macelleria, ora con la pandemia pare che siano derubricati a numeri di partenza ai quali aggiungere, come su un pallottoliere, i morti covid
    sul lavoro.

    Con la prima ondata pandemica e ancor di più con la seconda la responsabilità penale degli imprenditori, i quali – non dimentichiamolo – hanno preteso e ottenuto dal governo la massima discrezionalità sulla decisione di chiedere o meno anche le attività non essenziali, dovrebbe essere dirimente, ma così non è in questo sistema politico malato e quindi si tende a far ricadere sui lavoratori le colpe e le responsabilità dell’avvenuta positività. Scompare così lo stesso Dlgs 81/08.
    Lo abbiamo appurato dai protocolli che stabiliscono pochi ed effimeri obblighi per i datori di lavoro, in altre parole la definizione di “buone norme”, senza contrattazione dell’organizzazione del lavoro nelle imprese, e anche nel lavoro pubblico, atta ad appurare se i datori di lavoro pubblici e privati abbiano adempiuto all’obbligo dell’articolo 2087 del codice civile attraverso protocolli e prescrizioni, è solo un semplice consiglio/appello senza verificarne la attuazione lo definiamo come una tragica presa per
    i fondelli da parte del governo.

    Cosa si porteranno dietro le lavoratrici e i lavoratori che scamperanno alla mattanza? Si porteranno dietro ansia, stress, stanchezza e solitudine, potenziali nuove malattie professionali – non bastavano quelle “classiche” causa inadempimenti strutturali del sistema produttivo – e malattie mentali anche a lungo termine. Basta ascoltare le poche testimonianze, eh si, perché
    non possono neanche esprimere pubblicamente il loro stato d’animo e descrivere l’abbandono nel quale si sono trovati pena provvedimenti disciplinari e licenziamenti comunque già avvenuti in tanti casi, tra i tantissimi, sfuggiti alla sorveglianza repressiva delle aziende e al silenzio dei media mainstream.
    Un esempio per tutti: alla Arcerol-Mittal (ex ILVA) di Taranto, la fabbrica siderurgica più grande d’Europa, sequestrata otto anni fa dalla magistratura perché produceva malattie e morte e che cade ormai a pezzi,
    gli operai e i delegati sindacali che denunciano l’assenza di sicurezza rischiano il licenziamento, e alcuni licenziamenti sono nella cronaca di queste settimane.

    Chi, nel sindacato, nelle istituzioni nazionali e regionali, si pone questi drammatici problemi in rappresentanza di quel mondo del lavoro che perso il diritto alla parola, alla protesta, allo sciopero, all’organizzazione come strumento di indagine e contrattazione delle proprie condizioni di lavoro?

    La nostra è una domanda retorica?
    Certamente, perché lo abbiamo ben presente dopo decenni di denuncia e proposta, ma in questo caso la retorica rappresenta, purtroppo, l’unico strumento a disposizione per riprendere una discussione, anche aspra e senza mediazioni indotte da rapporti politici e istituzionali, nei propri spazi d’impegno sulla sicurezza del lavoro e la ripresa di protagonismo sindacale, che ci permetta di ridare fiato e azione sul campo propedeutica al riavvicinarsi a quella moltitudine di classe sfruttata e sottoposta a ricatti e condizioni di vero e proprio ritorno schiavitù mediante un classificazione oscura di contratti collettivi e individuali nella quale ogni forza di sfruttamento è legalizzato dal silenzio di chi, secondo la Costituzione, dovrebbe garantire che civilmente la nostra continua ad essere una Repubblica fondata sul lavoro. Comunque, almeno la magistratura dovrebbe garantirlo, in assenza di democrazia politica.

    Franco Cilenti
    Redazione del mensile Lavoro e Salute

    Scheda

    Le 54 mila comunicazioni infortunistiche, dettagliate anche con l’indicazione di 319 casi mortali, rappresentano ben il 17% dei casi totali di contagio rilevati asettembre evidenziando come il mondo del lavoro abbia pagato con un tributo pesante in termini sanitari (oltre che sociali a più ampio raggio) la propria abnegazione e il senso di responsabilità verso il Paese. Il 70% dei contagiati sono di sesso femminile, mentre la stragrande parte dei decessi ha riguardato uomini.

    L’’analisi per professione dell’infortunato evidenzia come circa un terzo dei decessi riguardi personale sanitario e socio-assistenziale. Nel dettaglio, le categorie più colpite dai decessi sono quelle dei tecnici della salute (il 58% sono infermieri, di cui metà donne), con il 9,5% dei casi codificati, e dei medici con il 6,9% (uno su dieci è donna). A seguire gli operatori socio-sanitari con il 5,1% (ugualmente distribuiti per genere), il personale non qualificato nei servizi sanitari (ausiliari, portantini, barellieri) con il 3,6%, gli operatori socio-assistenziali (due su tre sono donne) con il 3,3%, infine gli specialisti nelle scienze della vita (tossicologi e farmacologi) con il 2,2%. Le restanti categorie professionali coinvolte riguardano gli impiegati amministrativi con l’11,6% (nove su dieci sono uomini), gli addetti all’autotrasporto con il 6,2%, gli addetti alle vendite con il 2,9%, i direttori, dirigenti ed equiparati dell’amministrazione pubblica e nei servizi di sanità, istruzione e ricerca con il 2,5%, i dipendenti nelle attività di ristorazione, gli addetti ai servizi di sicurezza, vigilanza e custodia e gli artigiani edili, tutti con il 2,2% ciascuno.

    Riguardo invece ai casi non mortali, l’analisi per professione dell’infortunato evidenzia la categoria dei tecnici della salute come quella più coinvolta da contagi con il 39,2% delle denunce (più di tre casi su quattro sono donne), oltre l’83% delle quali relative a infermieri. Seguono gli operatori socio-sanitari con il 20,6% (l’81,4% sono donne), i medici con il 10,1%, gli operatori socio-assistenziali con l’8,9% (l’84,9% donne) e il personale non qualificato nei servizi sanitari (ausiliario, portantino, barelliere) con il 4,7%. Il restante personale coinvolto riguarda, tra le prime categorie professionali, impiegati amministrativi (3,2%), addetti ai servizi di pulizia (1,9%) e dirigenti sanitari (1,0%).

    Testimonianza in una intervista a Raffaele Guariniello su LEFT

    Covid-19 e sicurezza sul lavoro, le leggi ci sono e vanno applicate
    Il magistrato Raffaele Guariniello denuncia «una grave crisi di organico e di professionalità negli organi di vigilanza». E sullo smart working mette in guardia i lavoratori: «Non siete senza tutele, se ve lo fanno credere vi stanno ingannando»
    Raffaele Guariniello ha scritto un ebook a marzo (poi aggiornato) dal titolo esplicito: La sicurezza sul lavoro al tempo del coronavirus. Il magistrato, noto per l’inchiesta Eternit e quella sul rogo ThyssenKrupp, ha vagliato i provvedimenti emergenziali del Covid-19 mettendoli a confronto con le leggi (e sentenze) in materia di tutela della salute dei lavoratori, a cominciare dal decreto legislativo 81 del 2008, il Testo unico per la sicurezza sul lavoro.

    Dottor Guariniello le sembra che le imprese si stiano comportando in maniera corretta a proposito di prevenzione del coronavirus alla luce della relazione Inail che parla di 54mila contagi nei luoghi di lavoro?

    È una domanda chiave. Le dovrei rispondere dicendo che questi casi devono essere segnalati dal medico all’Inail ma anche all’autorità giudiziaria perché potrebbero essere casi di omicidio colposo o di lesione personale colposa, quindi più che mai sono casi da prendere in considerazione. Ma per altro verso non sono casi che possano dimostrare l’insicurezza che regna nelle imprese pubbliche e private perché dobbiamo verificare se questi casi di infezione da Covid-19 siano stati effettivamente causati da una condotta colposa del datore di lavoro o di chi per lui o con lui. Quindi si tratta di verificare nei luoghi di lavoro se tutte le misure di sicurezza sono state adottate. E qui cominciano altri dolori. Chi è che sta facendo questi controlli? Vengono fatti in modo sistematico oppure no? Su questo ho ulteriori, grandi perplessità.

    Per quale motivo ha dei dubbi sui controlli?

    Perché i nostri organi di vigilanza, dalle Asl all’Ispettorato nazionale del lavoro versano in grave crisi sia di organico sia di professionalità. Aggiungo poi un altro dato allarmante.

    Quale?

    C’è stata una tendenza favorita purtroppo da una nota dell’Ispettorato del lavoro di marzo, di fronte a questa alluvione di norme emergenziali: la tendenza a trascurare la legge più importante, il Testo unico della sicurezza del lavoro. Infatti in questa trascuratezza è finito l’obbligo più importante di tutti: il documento di valutazione dei rischi, il Dvr, in cui le imprese devono valutare i rischi e indicare le misure di prevenzione. Si è detto: questo obbligo non vale per il Covid-19. Questa è una grave lacuna interpretativa in cui è incorso l’Ispettorato nazionale del Lavoro. Devo dire che mi sono molto battuto contro questa interpretazione e oggi possiamo dire che a sostenere questa tesi l’Ispettorato nazionale del lavoro è rimasto solo, perché tutte le istituzioni, dal ministero della Salute a quelli degli Interni e della Giustizia fino all’Unione europea con la direttiva uscita a giugno, hanno sostenuto che il Covid-19 è uno degli agenti biologici di cui dobbiamo tener conto in sede di prevenzione. Dobbiamo dare atto poi che nel decreto legge del 7 ottobre all’articolo 4 questa direttiva europea viene recepita.

    Secondo quanto lei dice sull’Ispettorato nazionale del lavoro a proposito del Dvr significa che possono esserci state conseguenze negative sui controlli nelle imprese?

    Ora non c’è più nessuno a sostenere questa tesi. Anche il ministero del Lavoro nella sua circolare del 13 settembre congiunta con il ministero della Salute dice che bisogna rispettare il decreto 81 e quindi in qualche modo sconfessa il suo Ispettorato nazionale del lavoro. Il dato dei 54mila contagi denota un fatto: conta non solo l’organo di vigilanza ma anche l’autorità giudiziaria. E anche qui noto una crisi dell’intervento giudiziario. Ci sono zone nel nostro Paese in cui i processi non vengono proprio fatti.

    Stralci di una intervista sul settimanale LEFT
    del 21 ottobre 2020 www.left.it

    Pubblicato nel numero di novembre del mensile

    http://www.lavoroesalute.org/

    In versione interattiva http://www.blog-lavoroesalute.org/lavoro-e-salute-novembre-2020/

    Tags: Confindustria contrattazione collettiva Covid-19 dlgs 81/08 DPI Governo Conte Lavoro e Salute malattie professionali Maurizio Landini Ministero del lavoro Ministero della salute morti sul lavoro Nunzia Catalfo Organizzazione del lavoro Pandemia prevenzione Raffaele Guariniello Salute sul lavoro Servizio Sanitario Nazionale sicurezza sul lavoro stress correlato
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    Autore: franco.cilenti
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