Processo carcere Santa Maria Capua Vetere

Mercoledi 15 dicembre si è tenuta la prima udienza preliminare del processso che vede imputati 108 tra agenti e dirigenti, di cui 50 per tortura, indagati per le violenze ai danni dei detenuti del carcere di Santa Maria Capua Vetere ( Caserta) del 6 aprile del 2020. In seguito ad un caso Covid nel penitenziario e alla protesta dei detenuti, la reazione della polizia penitenziaria si tradusse in una vera e propria rappresaglia che trasformò per qualche ora la Casa Circondariale “Francesco Uccella” in una sorta di Guantanamo.

Gli ospiti della casa circondariale chiedevano mascherine e igienizzante per le mani e protestavano contro la sospensione delle visite. Il sovraffollamento all’interno del carcere, dove erano detenute mille persone a fronte di una capienza di 809, rendeva impossibile qualsiasi forma di distanziamento. I detenuti protestavano anche per la scarsa igiene all’interno del carcere che, a causa della vicinanza con una discarica, è infestato dagli insetti. La protesta fu simile a quella che si svolse in altri penitenziari negli stessi giorni. Ci furono, da Nord a Sud, violenze e rivolte: a Modena morirono nove detenuti, a Rieti tre, dal carcere di Foggia riuscirono a scappare in 34.

I 108 imputati, di cui venti ancora agli arresti domiciliari, devono rispondere a vario titolo di tortura, lesioni, abuso di autorità, falso in atto pubblico e cooperazione nell’omicidio colposo del detenuto algerino Lakimi Hamine. Le responsabilità dei singoli andranno accertate durante il processo, ma le riprese delle videocamere di sorveglianza mostrano chiaramente i detenuti costretti a passare in un corridoio formato dagli agenti penitenziari con manganelli e caschi. Ogni detenuto fu colpito con calci, pugni e manganellate; alcuni detenuti furono trascinati per le scale e presi a calci, e una persona sulla sedia a rotelle venne picchiata.

Dei 178 detenuti vittime dei pestaggi in 56 hanno deciso di costituirsi sin dalla prima udienza. Tra di loro anche i familiari di Hakimi Lamine che dopo l’isolamento ‘punitivo’ morì nel carcere ingerendo una massiccia dose di oppiacei. Era maggio dell’anno scorso. Fatti per cui la Procura contesta ad alcuni agenti l’omicidio colposo.

Tra le parti civili anche il Ministero della Giustizia, presente con l’avvocato dello Stato. Proprio su questo punto i legali delle parti civili, in particolare dei detenuti, hanno focalizzato la propria attenzione sul ruolo del Ministero sostenendo che lo stessso andrebbe o escluso dalle parti civil, per essere autorizzati poi a individuarlo come responsabile per un possibile e futuro risarcimento, o autorizzarne la presenza nella duplice veste di parte civile e responsabile, come nel caso Cucchi, in modo da risarcire e poi rivalersi eventualmente sugli eventuali condannati.

Si sono inoltre costituite alcune associazioni per i diritti dei detenuti, tra cui Antigone e l’Onlus “Il Carcere possibile”, il garante dei detenuti nazionale Mauro Palma, quello regionale Samuele Ciambriello e l’Asl di Caserta. Nell’udienza fissata all’11 gennaio il gup deciderà se ammettere o meno le parti civili costituite (oltre 60). A queste, comunque, potrebbero aggiungersene delle altre.

Ai microfoni di Radio Onda d’Urto Eusepia D’Anzi avvocata di “Il Carcere Possibile onlus” associazione che si è costituita parte civile al processo e che si occupa dei diritti dei detenuti in Campania  Ascolta o scarica

16/12/2021 Radio Onda d’Urto

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